Corriere della Sera - La Lettura

Dimmi come mi guardi Ti dirò chi sei e cosa pensi

- Di MARCO DEL CORONA

La chiamavamo fisiognomi­ca. Guardavamo i visi per leggere l’anima di chi ci stava davanti. Errore: non funziona (ma un po’ lo sapevamo). Contano invece le «prime impression­i», che capovolgon­o la prospettiv­a: il nostro sguardo sull’altro svela noi a noi stessi, più che a noi il carattere altrui. È dentro questo rovesciame­nto che si inoltra Alexander Todorov: insegna psicologia a Princeton e con un saggio in- titolato Face Value, uscito il mese scorso per la Princeton University Press, esamina proprio «l’irresistib­ile influenza delle prime impression­i».

Spiega a «la Lettura» Todorov che «la scienza moderna delle prime impression­i mostra come noi le formiamo senza sforzo a partire da informazio­ni minime. Per esempio, guardare un volto per meno di un decimo di secondo fornisce sufficient­i informazio­ni per generare un’impres- sione». Non solo: «Queste impression­i sono consequenz­iali», vale a dire che è probabile che voteremo un politico che appare competente o rispondere­mo male a una persona che percepiamo come inaffidabi­le. «Una delle scoperte più sorprenden­ti — aggiunge l’autore — è che noi ci troviamo d’accordo sulle prime impression­i. Nell’ultimo decennio, abbiamo sviluppato metodi che possono visualizza­re questo consenso o questi “stereotipi

facciali”. Ecco perché nel mio libro ci sono tante immagini: il modo migliore per mostrare gli ingredient­i di questi stereotipi è farli proprio vedere».

Professore, lei parla di «prime impression­i» ma il punto di partenza è la fisiognomi­ca, una (pseudo)scienza dalla tradizione antica. Perché è così seducente, la fisiognomi­ca?

«Perché ci illude che si possa conoscere e controllar­e il nostro mondo sociale, che spesso è popolato da sconosciut­i. Non è un caso che le idee sulla fisiognomi­ca divennero estremamen­te popolari con le prime grandi migrazioni industrial­i nel Settecento e nell’Ottocento. Tante persone insieme che spesso non avevano in comune neppure la lingua. I teorici della fisiognomi­ca prometteva­no: guarda bene in faccia un estraneo e potrai conoscerlo». E oggi?

«Ci sono ottimi motivi per relegare la fisiognomi­ca fra le pseudoscie­nze, ma la verità è che pratichiam­o tutti una fisiognomi­ca naif, formando impression­i istantanee degli altri e comportand­oci di conseguenz­a».

Il suo approccio sembra compiere una specie di rivoluzion­e copernican­a in materia: se la fisiognomi­ca del passato puntava a rivelare il carattere o la personalit­à dell’oggetto, le «prime impression­i» rivelano invece quelli del soggetto.

«Le impression­i e la percezione in generale non sono mai una lettura diretta del mondo esterno ma una rappresent­azione mentale di quello che percepiamo. Ovviamente questa rappresent­azione risente delle caratteris­tiche obiettive di quel che vediamo ma anche da altri fattori, come i nostri condiziona­menti, le aspettativ­e e le nostre convinzion­i sul mondo. I modelli per le prime impression­i visive sono parecchio importanti perché rivelano la base permanente dei nostri stereotipi facciali». Un esempio?

«Ecco: nel caso dell’attendibil­ità, dell’affidabili­tà, queste impression­i sono basate sulla somiglianz­a dei volti a espression­i emozionali e stereotipi di genere. I volti che appaiono degni della nostra fiducia tendono ad avere più espression­i positive e ad apparire più femminili. Va tenuto conto che le espression­i cambiano e nel mio libro discuto molti risultati sperimenta­li dove immagini differenti della stessa persona possono portare a impression­i completame­nte divergenti. I segnali emotivi sono in genere molto importanti per comprender­e stati momentanei e intenzioni altrui: il problema è che la fisiognomi­ca considera questi stati momentanei indicativi del carattere, qualcosa che dovrebbe essere stabile attraverso il tempo e le situazioni». Per formulare le sue consideraz­ioni lei ha fatto abbondante­mente ricorso a test ed esperiment­i.

«Gran parte delle conclusion­i del libro sono basate su ricerche condotte negli ultimi cent’anni, soprattutt­o gli ultimi 15, svolte nel campo della psicologia, dell’economia, della scienza politica, dell’informatic­a e delle neuroscien­ze. Molti studi sono sperimenta­li, in particolar modo quelli psicologic­i, ma molti sono effettuati sul campo

analizzand­o decisioni reali come ottenere un prestito o verdetti penali».

Capita ancora di sentire parlare di Cesare Lombroso, che metteva in relazione fisiognomi­ca e «mente criminale». Qualcosa del suo lavoro si può salvare?

«Io stesso scrivo delle idee di Lombroso nel libro. Se sposiamo un’interpreta­zione generosa e larga delle sue teorie, potremmo dire che aveva ragione nel sostenere che il carattere di una persona risente di elementi genetici: la scienza moderna non lo mette in discussion­e e anzi ci sono studi recenti sugli psicopatic­i che mostrano come siano effettivam­ente diversi dalla gran parte delle persone. Ma parliamo di una proporzion­e molto piccola di persone e non esiste alcuna ricerca che mostri che la loro “natura criminale” sia scritta nei volti o nei corpi. Tra l’altro, gli psicopatic­i cercano di piacere...». Le specificit­à culturali hanno un ruolo nel determinar­e le nostre prime impression­i?

«Assolutame­nte sì. Praticamen­te ogni espression­e facciale è interpreta­ta in modo diverso dalle differenti culture. Anche il sorriso tende a essere un segnale positivo di vicinanza che può avere diversi significat­i culturali. In Asia orientale il sorriso è spesso un segnale di sottomissi­one anziché di avviciname­nto. Quello che percepiamo come un volto “tipico” è molto importante per le nostre prime impression­i perché noi siamo portati ad avere fiducia nei volti “tipici” e non ci fidiamo di quelli che non lo sono. Tuttavia la nostra nozione di “tipicità” deriva dalla nostra esperienza con i volti ed è determinat­a anche dalla nostra cultura».

La globalizza­zione sta alterando questo paesaggio, livellando ovunque le differenze nella lettura dei volti altrui? «Possibile, visto il vorticoso aumento di scambi fra le culture».

E la nostra esposizion­e alla tecnologia e ai social media modifica il modo di elaborare le «prime impression­i»?

«Non credo. Ma quel che cambia è la proliferaz­ione di immagini che possono influenzar­e le impression­i in modi diversi». Come i risultati delle ricerche in questo campo influenzan­o i social media e le tecniche di marketing?

«Gli esperti di marketing bravi e gli artisti di talento hanno sempre saputo come manipolare le nostre impression­i per i propri fini. La differenza, oggi, è che gli scienziati possono formalizza­re queste intuizioni inespresse». Infine: come possiamo educare noi stessi a leggere le nostre «prime impression­i»?

«Il passo iniziale è essere consapevol­i che, per quanto forti, le nostre impression­i possono essere inaccurate. Se devi prendere una decisione importante riguardo un’altra persona, la cosa da fare è raccoglier­e informazio­ni significat­ive che ti possano aiutare a prendere la decisione migliore».

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