Corriere della Sera - La Lettura
Ambizioni, affari e affanni Il mestiere del giurato
Festival Si apre la stagione delle rassegne cinematografiche. Dove, al di là delle storie proposte sullo schermo, si consumano intrecci non meno avvincenti: quelli di coloro che sono chiamati ad attribuire i premi. «La Lettura» ha raccolto il dietro le qu
ACannes si vince la Palma, a Venezia il Leone, a Berlino l’Orso, a Locarno il Pardo. A ciascuno il suo premio. L’unica regola, ai festival cinematografici, è l’assenza di regole. Giovedì 27 si presenta la Mostra di Venezia, al via il 30 agosto. Presidente della giuria sarà l’attrice Annette Bening. Ma com’è il mestiere del giurato? Ai membri della Croisette per evitare fughe di notizie, nella riunione per il verdetto, sequestrano il cellulare; poi vengono portati in una località segreta.
Secondo il carisma e il carattere, c’è il presidente «democratico» e il «dittatore» che magari si attribuisce due voti. Ci sono i film premiati che non hanno alcun risultato commerciale e neppure escono nelle sale; ci sono i nazionalismi e per Alberto Barbera, direttore a Venezia, «non facciamo finta che un giurato di prestigio non abbia il suo peso per sostenere il suo Paese e strappare qualcosa». Il Leone d’oro alla carriera (quest’anno a Robert Redford e Jane Fonda) non viene espresso dalla giuria ma è scelto dal Cda su indicazione del direttore.
I regolamenti variano e si modificano nel tempo, non sono leggi dello Stato. Paolo Baratta, presidente della Biennale, quando nel 2010 si lasciò il divieto di cumulo di premio solo per il vincitore, spiegò che «il regolamento è uno strumento a disposizione dei curatori e non va inteso come delle tavole di pietra immodifi- cabili». Al Lido il ’68 provocò l’abolizione del concorso, mettendo le basi per il sorpasso di Cannes: fu ripristinato da Carlo Lizzani direttore nel 1980. Per registi e attori l’unica garanzia di autonomia, con tutti i difetti, è data dalla giuria: colleghi, con inserimenti di intellettuali, scrittori, pittori… Si tende, per un senso di colpa, a essere benevoli verso le cinematografie più povere; prevale (giudicando Paesi del Terzo mondo o emergenti) il senso di purezza e freschezza sull’autore celebre che non ha bisogno di premi. Ma allora perché invitarlo?
Le giurie di pubblico possono essere preda di umori ballerini e pressioni delle case di produzione. La Festa di Roma, su sollecitazione dei Beni Culturali, ha ri- nunciato alla giuria di esperti per smussare rivalità con la Mostra di Venezia.
Se i premiati sorridono e, sopraffatti dall’emozione, dicono cose di circostanza, le reazioni degli sconfitti sono varie. Il finlandese Aki Kaurismäki, favorito all’ultima Berlinale con The Other Side of
Hope, disse «buonasera signore e signori», puntò minaccioso il dito verso la giuria, e si risedette sdegnato rifiutando il premio non di primo piano. A Locarno un’attrice cinese disse che se un suo connazionale fosse tornato a mani vuote l’avrebbero arrestato. A Cannes Dustin Hoffman ci chiese: «Quanti film dovete vedere ogni giorno? Fino a tre? Ecco perché non ho mai fatto parte di una giuria».