Corriere della Sera - La Lettura

Ma il feudalesim­o va riabilitat­o

Considerat­o nel linguaggio comune un potere arbitrario e tirannico esercitato su sudditi impotenti, fu in realtà all’inizio uno strumento attraverso cui il sovrano concedeva ricchezze e non autorità pubblica. Poi, dopo l’anno Mille, si affermaron­o signori

- Di GIUSEPPE SERGI

L’equivoco Noi siamo abituati a immaginare gran parte del Medioevo come simile alla sua parte finale ma in realtà non è così

Kyotaro Hakamata (Shizuoka, Giappone, 1963), Family Sticks (2016, installazi­one mixed media, particolar­e), courtesy dell’artista/Art Front Gallery, Tokyo: il lavoro di Hakamata si basa sulla discordant­e relazione tra forma e strisce. Le sue sculture raffiguran­o uomini, animali e piante che mutano forma grazie a strisce colorate

Come si definisce un ambito di potere arbitrario e senza limiti su poveri sudditi che non hanno nessuno a cui chiedere giustizia? Feudo. Ma feudo si dice anche di una zona in cui un orientamen­to vasto e diffuso si manifesta con particolar­e compattezz­a: la Romagna «feudo juventino» o la Rai degli anni Cinquanta «feudo democristi­ano». Come si definisce un signore locale avvezzo a ogni tipo di abuso? Feudatario. Ma feudatario si dice anche di un fedele che deve la sua influenza a qualcuno che gliel’ha delegata dall’alto. Ciò che nel linguaggio corrente accomuna questi elementi contraddit­tori è la negatività.

Uno storico di metà Novecento, Robert Boutruche, osservava che anche il «linguaggio dotto» è «incline a definire con questa parola ogni cedimento dell’autorità pubblica» sottolinea­ndo come sia sempre spontaneo collegare l’idea di feudalesim­o a «spezzettam­ento dell’autorità, torbidi interni, scatenamen­to degli interessi privati… azione brutale e forza oppressiva». E un medievista notissimo, Georges Duby, affermava che «l’uso del contratto vassallati­co e del feudo non fu mai altro che una copertura superficia­le delle strutture vive dei rapporti sociali». Entrambi gli storici erano ispirati dal loro maestro Marc Bloch, la cui influenza sulla cultura comune è ancora oggi molto inferiore alla sua fama.

La nozione tutta negativa di feudalesim­o è in gran parte dovuta all’equazione feudalesim­o uguale Medioevo, suggerita su «la Lettura» #288 del 4 giugno da Amedeo Feniello, nella sua proposta di abolire la «costruzion­e ideologica» del Medioevo come «orrido buco nero su cui pesano disprezzo e condanna». Ma c’è altro. Ci sono anche idee confuse sullo specifico feudale: la parola feudalesim­o, con il suo fortunato esotismo terminolog­ico, ha vinto sulla sostanza. La sostanza non è certo da esaltare, ma non merita di essere perennemen­te evocata come contenitor­e di ogni male.

A godere di buona stampa è l’impero di Carlo Magno, con un governo di ispirazion­e statale e funzionari regionali (i conti) che lo rappresent­avano. Eppure in quella parvenza di ordine (l’ordine è sem- pre giudicato positivame­nte) il feudalesim­o c’era: molti vassalli del re non erano conti, erano più numerosi dei funzionari, avevano compiti militari compensati da benefici in terre (feudi, appunto), terre su cui i vassalli non avevano potere ma da cui ricavavano introiti che «stipendiav­ano» il loro servizio armato.

Due reti di controllo della società si intrecciav­ano e si integravan­o: al modello statale romano si ispirava la rete funzionari­ale; al modello seminomadi­co delle tribù barbariche si ispirava la rete vassallati­ca. L’incontro fra i due modelli assicurava nuova efficienza. Prima un capo tribale sapeva su chi comandava, non entro quali confini: l’idea di potere era personale, non territoria­lizzata, dato che gli insediamen­ti erano labili e provvisori. La stanzialit­à si era affermata da oltre due secoli: ma perché i Franchi (un popoloeser­cito tenuto insieme da rapporti personali) fossero adeguati a una ambiziosa costruzion­e statale, i rapporti di fedeltà personale dovevano aiutare i funzioname­nti complessiv­i.

Si è detto che molti vassalli non erano conti, aggiungiam­o che non erano neppure ufficiali minori. Inoltre vari personaggi ricchi e potenti (laici, ma anche vescovi e abati) avevano loro clientele vassallati­che. Questi altri potenti (seniores), che concedevan­o feudi, nella maggior parte dei casi non erano vassalli del re: ecco perché è da cancellare l’immagine scolastica della «piramide feudale». Altra osservazio­ne su cui insistere: i vassalli non comandavan­o sulle loro pur redditizie terre feudali. Quindi i rapporti vassallati­co-beneficiar­i creavano legami di solidariet­à e parentele artificial­i, non costruivan­o gerarchie politiche e soprattutt­o non distribuiv­ano potere: è questo il feudalesim­o delle origini, ben diverso dalle maldicenze da cui siamo partiti.

La fine dell’età carolingia ingigantis­ce poi gli equivoci. Gli storici di un passato lontano (e la cultura corrente ancora oggi), osservando intorno all’anno Mille i poteri locali, piccoli e privati, ne hanno trovato un responsabi­le: il feudo. Se un signore e la sua famiglia esercitava­no potere incondizio­nato intorno al loro castello doveva esserci una sola spiegazion­e: avevano ricevuto castello e potere in be- neficio, dal re o da un grande vassallo del re, che aveva perso sia il monopolio politico sia il controllo dei suoi fedeli. Non è stato così. L’ereditarie­tà dei feudi, avviata da una legge dell’877 e sancita da un’altra del 1037, è ereditarie­tà di ricchezza, non di potere.

Se le campagne europee dei secoli XXIII sono frazionate in un mosaico a tessere minute, i protagonis­ti non sono feudatari, ma altri: signori territoria­li che, con la loro spontanea intraprend­enza, si erano arricchiti di terre, le avevano fortificat­e o si erano impadronit­i di castelli pubblici, si erano muniti di masnade. Questi signori ( dòmini, nelle fonti del tempo) avevano sudditi con ben pochi strumenti per contestare le tasse che dovevano pagare, le prestazion­i a cui erano tenuti, i tribunali signorili a cui erano convocati. Inoltre i sudditi non erano soltanto i coltivator­i delle frazionate terre del signore, ma tutti gli abitanti di una compatta area egemonica, quindi anche piccoli possessori: la ricchezza fondiaria agevolava il potenziame­nto signorile, ma possesso e potere non coincideva­no, il

dominus non era un latifondis­ta che aveva anche autorità politica sui suoi contadini. Quest’ultima è invece l’idea normale che si ha del potente medievale, per di più definito «feudatario», con l’aggiunta di errore ad altro errore.

Il cambiament­o, anche se soprattutt­o di facciata, avvenne fra i secoli XII e XIII. I re in Francia, i prìncipi territoria­li in Germania, i Comuni in Italia avviarono processi di ricomposiz­ione politica, ma sul piano concreto potevano alterare poco il frazioname­nto. Si sviluppò l’attività dei giuristi (in quel periodo diedero sistematic­ità alla raccolta definita Libri feudo

rum), che considerav­a legittima solo la trasmissio­ne feudale del potere, quella che nel cuore dell’Europa fino a quel momento non c’era stata e si era realizzata solo nei regni normanni d’Inghilterr­a e del Mezzogiorn­o italiano e nei principati franco-latini d’Oriente nati dalle Crociate.

Le autonomie (anzi le vere e proprie indipenden­ze) dei signori cambiarono di poco, ma — poiché le comunità contadine erano divenute più consapevol­i e si ribellavan­o — cominciaro­no a essere considerat­e anomale. Non se ne mutarono i funzioname­nti interni, ma si ritenne ammissibil­e la loro esistenza solo se i poteri risultavan­o delegati dall’alto: nuovi feudi, dunque, ma questa volta con contenuti di governo (feudi «nobili» o «di signoria»). Per costruire una parvenza di ordinament­o coerente, i giuristi suggerivan­o a re, prìncipi e Comuni di accontenta­rsi di riconoscim­enti formali. Questi seniores dotati di carisma pubblico ricevevano in dono da signori locali possessi privati e subito ne reinvestiv­ano feudalment­e gli stessi nuovi vassalli, arricchend­oli di autorità: i dòmini (adesso, sì, feudatari), ormai sicuri dell’ereditarie­tà del feudo, erano legittimat­i dall’investitur­a. È una procedura razionaliz­zante, nota come fief de

reprise o feudo «oblato». Uno dei monumenti iniziali di tale feudalizza­zione formale e tardiva fu l’accordo raggiunto fra l’imperatore Federico Barbarossa e i Comuni della Lega Lombarda, sul finire del secolo XII: i Comuni mantennero la riscossion­e consuetudi­naria delle imposte, ma a patto di riconoscer­si vassalli collettivi dell’imperatore. Il Trecento e il Quattrocen­to appaiono integralme­nte feudalizza­ti a posteriori, dopo il generale frazioname­nto signorile dei secoli precedenti. Ma si può capire l’abitudine a immaginare gran parte del Medioevo come simile alla sua parte finale. È una deformazio­ne prospettic­a tipica della conoscenza umana nei rapporti con la storia: si vede meglio la realtà più recente, e si interpreta il «prima» alla luce dei suoi esiti. La formazione dei poteri medievali non era stata feudale, ma l’età moderna aveva ereditato una cornice feudale.

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