Corriere della Sera - La Lettura
Mufloni e cannonau: il giallo della Pro Loco
Nel nuovo libro del sardo Gesuino Némus il lavoro sui personaggi è la caratteristica vincente. E un trascolorare di toni che va dalla malinconia all’ironia
Mai uguale a se stesso, Gesuino Némus. Era già accaduto con I bambini sardi non piangono mai, rispetto al precedente La teologia del cinghiale (Premio Campiello opera prima): sia pur con un procedimento nel quale un incipit da thriller pareva indirizzare la narrazione per tutt’altri percorsi, rispetto alla componente antropologica della Teologia, salvo far emergere con gradualità il legame col primo libro, ribaltando il risvolto giallo, in un continuo incontro tra presente e passato intriso anche di richiami storico-politici. E con un Gesuino comunque presenza da deus ex machina, pur in un ruolo più defilato rispetto al precedente, col suo entrareuscire a mano libera dalla vicenda.
Qui, con Ora Pro Loco, accade qualcosa di ancor più marcatamente differente, pur nel permanere di quella sapienza costruttiva che propone un romanzo in costante crescita di tensione. Perché se nel secondo romanzo il punto di partenza era da thriller, qui ci si rende conto che si ha a che fare con un thriller solo in un secondo momento; con, a quel punto, l’impossibilità di smettere la lettura. La situazione rispetto ai Bambini è infatti ribaltata. Nel senso che ora l’autore-personaggio, pur non essendo venuto meno, e anzi riservandosi anche qui un ruolo da deus ex macchina, lo fa ritagliandosi presenze da star: affacciandosi in ruoli tanto da cameo autocitazionista, quanto essen- ziali nella vicenda che va gradualmente assumendo le tinte del thriller.
Dico gradualmente perché all’inizio, nonostante qualche dubbio, non più di un incidente pare quella macchina precipitata in un dirupo mentre percorreva anguste strade di montagna. Né pare prendere avvio una vera indagine quando interviene il presunto suicidio di Sergiolino, l’autista del pullman che per primo aveva dato l’allarme.
Perché Némus è assai abile a giocare le sue depistanti carte verso un romanzo che pare qui attento semmai al dato sociale, mettendo in scena l’arrivo a Telévas del goffo faccendiere ragionier Farruncas, finto rappresentante dell’Ente del Turismo, che attraverso la Pro Loco cerca di coinvolgere i paesani nel progetto di «un supercarcere per i mafiosi e i condannati al 41 bis» col quale far «rinascere» quella terra dimenticata da Dio e soprattutto dai turisti e dare «un sacco di lavoro per tutti, coi contributi e tutto in