Corriere della Sera - La Lettura

Indagini intorno alla malinconia

La nuova avventura di Penelope Poirot firmata da Becky Sharp, ovvero Silvia Arzola

- Di ALESSANDRO BERETTA

Arrivate alla seconda avventura, Penelope Poirot, nipote del mitico Hercule di Agatha Christie, e la sua segretaria Vera Hamilton si confermano come un’ottima coppia per indagini intarsiate di equivoci, atmosfere d’altri tempi, echi letterari non invadenti, umorismo ben distribuit­o. Becky Sharp, pseudonimo preso da La fiera delle vanità di William M. Thackeray dall’autrice italiana Silvia Arzola, le riporta sulla pagina in Penelope Poirot e il male inglese ed è un piacere ritrovarle. La formosa Penelope, sarcastica e snob, ormai «firma» del giornalism­o e vista dalla proletaria e anarchica Vera come «un bombolone. Ripieno di fiele», è impegnata in un reportage che ripercorre le tappe del Grand Tour ottocentes­co, quando in spiaggia, nel golfo del Tigullio, incrocia una vecchia conoscenza, il giornalist­a Pepe Pestacozzi. È ospite con la sua compagna, racconta Pepe, di villa Travers a Portofino, luogo che da 10 anni era chiuso per la scomparsa tragica di un membro della famiglia: Samuel, amico e antico amore di Penelope.

Lo scatto d’ira per non essere stata invitata nella villa riaperta è immediato e fa partire la vicenda perché, con due telefonate, le protagonis­te sono accolte dai Travers e sistemate nella camera verde che Penelope usava da giovane, sistemazio­ne «molto romantica; se il romanticis­mo include muffa e umidità». Entrate in un gruppo chiuso, dove spiccano Lea, bella e sfacciata vedova di Samuel, e i figli di quest’ultimo, Andrew e Margherita, la mente indagatric­e di Penelope si accende seguendo la pista del cold case legato a Samuel e alla prima moglie, Fiammetta, morta dal dentista.

Una pista felicement­e sbagliata, perché a scombinare le carte arriva una nuova vittima: dopo un party decadente in piscina tra sangria e sauté, la mattina seguente Lea viene trovata morta. Alle indagini della polizia, si af- fiancano in parallelo quelle della coppia che toccano sia le vicende che un sentimento su cui si continuano a interrogar­e: la malinconia, detta altrimenti come nel titolo «il male inglese», che trova corpo in una misteriosa e bianca statua di un angelo abbandonat­a in giardino.

Chi l’ha messa e cosa simboleggi non sarà facile da chiarire né lo sarà scoprire che ruolo hanno fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevski­j, romanzo amato dal giovane e indolente Andrew che «da quando era nato, la tragedia gli alitava sul collo». Si arriva a una soluzione, con ritmo ben tenuto, e Becky Sharp, dopo Pene-

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