Corriere della Sera - La Lettura
Genealogia della colpa. E di un dubbio
Scozia Graeme Macrae Burnet è arrivato tra i finalisti del Man Booker Prize con la storia di un ragazzo condannato per l’omicidio di tre persone, vittima lui stesso di una crudele concatenazione di eventi. Il lettore deve scegliere fra due ipotesi
Uno scrittore scozzese si mette a fare ricerche sulla propria famiglia. Si reca all’Archivio Centrale di Inverness, e mentre scartabella documenti sperando di trovare qualcosa sul nonno Donald «Tramp» Macrae, s’imbatte nel memoriale di un altro Macrae, un certo Roderick, detenuto nel 1869 prima nella prigione di Inverness con l’accusa di avere massacrato tre persone: il connestabile Lachlan Mackenzie, sua figlia di 15 anni e suo figlio di 3.
Così inizia il memoriale di quello che, nella finzione di Graeme Macrae Burnet, Progetto di sangue, molto ben tradotto da Massimo Ortelio per Neri Pozza, sarebbe diventato il più scottante caso giudiziario dell’epoca: «Scrivo su richiesta del mio avvocato, il signor Andrew Sinclair, che fino dal giorno della mia incarcerazione qui a Inverness mi ha trattato con una cortesia che so di non meritare. La mia vita è stata breve e priva d’importanza, e non voglio certo sfuggire alle responsabilità per le cose che ho commesso ultimamente. È solo per ripagare la gentilezza che l’avvocato mostra nei miei confronti che affido queste parole alla carta».
Macrae Burnet, che ha pubblicato questo notevole secondo romanzo da un piccolissimo editore scozzese nel silenzio della critica, per poi vederlo entrare a sorpresa tra i finalisti del Man Booker Prize dell’anno scorso, racconta che quando Roderick John Macrae, detto Roddy, scrisse queste parole nella sua cella, era un ragazzo di 17 anni che non aveva mai lasciato il paesino delle Highlands con le case dal tetto di paglia e il pavimento di terra battuta dove era nato nel 1852. Suo padre era un fittavolo che si spezzava la schiena su un misero pezzo di terra. Sua madre una donna allegra e bella, morta di parto dando alla luce il quinto dei suoi figli. «Da quel momento cambiò tutto nella nostra famiglia, e la desolazione scese su ognuno di noi come una cappa fetida». Era il principio della fine. Ispirandosi al caso di Pierre Rivière, il giovane contadino normanno che nel 1835 massacrò madre, fratello e sorella e scrisse un memoriale su cui Michel Foucault avrebbe tenuto un celebre seminario al Collège de France, Macrae Burnet ha costruito un brillante thriller psicologico mascherato da true crime, avvalendosi di una serie di documenti «trovati» per raccontare la dura vita di una comunità scozzese alla fine del Diciannovesimo secolo. Ma anche per giocare a smontare e rimontare il genere del crime book: negandone il principio fondante (sappiamo fin dal principio chi ha commesso il crimine); introducendo la variabile di un memoriale di qualità letteraria scritto da un giovane contadino; e giocando con una quantità di testimonianze: la brava donna vicina di casa, il prete senza cuore, l’amico cattivo maestro, il fattore insensibile, il criminologo borioso e i reporter che seguono il processo. Tutte testimonianze inaffidabili perché colorate da pregiudizio, razzismo, bigotteria, vanagloria, ignoranza e quant’altro. Ma che proprio perché non credibili, sono l’anima del mistero che per tutto l’arco del romanzo tiene il lettore con il fiato sospeso.
Sappiamo che Roddy è colpevole, ma a quale versione dobbiamo credere: quella secondo cui è un ragazzo eccezionalmente intelligente, come dimostra il suo memoriale, o quella secondo cui è lo scemo del villaggio, come dicono i più ottusi? In altre parole, era lucido o affetto da infermità mentale quando ha ucciso due ragazzini innocenti e il connestabile che per puro sadismo aveva rovinato la sua famiglia? E merita la forca o la commutazione della pena?
Tutto inizia il giorno che Roddy uccide per errore un montone dell’arrogante Mackenzie. E suo padre non ha i soldi per ripagare il prezzo della bestia. Da questo momento il ragazzo tarchiato che fin dall’infanzia si nasconde parlando poco; che ha un padre che lo picchia; che potrebbe riscattarsi diventando insegnante se solo qualcuno ascoltasse le preghiere del suo maestro; che quando trova finalmente un amico, ha la sfortuna di cadere su un poco di buono; e quando s’innamora della figlia quindicenne del connestabile perché ha «un modo di camminare come se il suo corpo cantasse», viene da lei respinto — si può dire che è dal momento che commette il primo passo falso, che Roddy è condannato. E anche se non sapremo mai con certezza se la sua è una storia di pazzia o di furbizia, proprio per questo resteremo col fiato sospeso fino alle fine, incantati dall’abilità di uno scrittore capace di dare voce alle sfumature più crudeli del destino e dell’animo umano.
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