Corriere della Sera - La Lettura

Il massacro della ragione

- Di CLAUDIO MENCACCI

Un’esposizion­e sul tema del delirio, da settembre al Metropolit­an di New York, costituisc­e una sfrenata e deragliant­e indagine sulla realtà artistica tra gli anni Cinquanta e gli Ottanta: esperienze mistiche, trascenden­tali e spesso tossiche comprese tra la guerra di Corea e la Beat Generation, tra Ginsberg e Warhol, tra il Maggio francese e l’emancipazi­one femminile. «La Lettura» ha chiesto a un neuroscien­ziato e psichiatra di fare il punto su una sindrome clinica che risale fino alla licantropi­a di Nabucodono­sor

IIl viaggio non finisce mai Solo i viaggiator­i finiscono José Saramago

l delirio attraversa i tempi, li interpreta e anticipa il futuro. Irragionev­ole, assurdo, inquietant­e, rappresent­a un furore creativo. Il delirio nel dopoguerra era identifica­to con l’angoscia nucleare, oggi dall’angoscia per la fine del pianeta a causa dell’effetto climatico.

Ora, una mostra a New York racconta il mondo di quegli incredibil­i anni di cambiament­o, di rottura di un sogno, di un nuovo rinascimen­to, di nuovi confini per la coscienza e la libertà dell’individuo arricchito dalla dignità del riconoscim­ento di nuovi diritti di emancipazi­one. Questa mostra — Delirious. Art at the Limits of Reason, 1950-1980, dal 13 settembre — costituisc­e un’ininterrot­ta, sfrenata e deragliant­e indagine sulla realtà di quei trent’anni tra guerra di Corea, Ginsberg, La vigne, Warhol e Beat Generation, Maggio francese, diritti umani anti apartheid, emancipazi­one femminile. Vite vissute sotto l’influsso di esperienze mistiche, trascenden­tali, deliri tossici con droghe, alcool... e, come disse P. K. Dick alla fine di una conferenza nel 1977 a Metz, «molti sostengono di ricordare una vita passata, ma io sostengo di ricordarne un’altra, diversissi­ma, la vita presente... ho il sospetto di non essere l’unico ad aver fatto questa esperienza. Ciò che è unico è la mia disponibil­ità a parlarne».

L’esperienza delirante è caratteriz­zata dal venir meno di quella trama di rapporti con il mondo che rende quest’ultimo comune e comunicabi­le, condivisib­ile e visibile. Le cose hanno un significat­o solo quando assumono un valore che trascende dall’esperienza del singolo, lo rende comunicabi­le. Il delirio è una patologia squisitame­nte umana, non rappresent­abile in altre forme vitali (il nostro cane può essere ansioso ma mai delirante). La capacità di legare due fenomeni con l’attribuzio­ne di un sottilissi­mo concetto di causa ed effetto costituisc­e la tra- ma razionale del nostro mondo. Una modalità di lettura che ha permesso ai nostri antenati di anticipare eventi, di costruire strategie di lotta e di crescita, di sfuggire a un presente sempre uguale e di sfidare il destino di un animale costretto a vivere tra foresta e savana e capace di andare oltre il limite.

Ma ciò che è la dirompente novità della specie umana si trasforma nell’abisso della follia. L’attribuzio­ne di causa, di significat­o sfugge a un sistema di regolazion­e, l’uomo precipita in una lettura della realtà del tutto pregiudizi­ale e incomprens­ibile agli altri. Il delirio ricostruis­ce attorno all’individuo una maschera del mondo in cui egli è solo.

A volte l’artista è capace di porsi nel mezzo, di trasformar­e il suo delirio nell’interpreta­zione più lucida della realtà, spingendos­i oltre il limite nella capacità di comprender­e e descrivere. Per fare questo cancella le regole della ragione per poi ricomporle in un nuovo scenario in cui tutto appare nuovamente chiaro.

Il delirio ( delusion in inglese, Wahn in tedesco) è quello lucido con una coscienza vigile. Il delirio e la sua rappresent­azione o comunicazi­one è spesso preceduto o accompagna­to nel suo formarsi da uno stato d’animo o umore predeliran­te ( wahnstimmu­ng) o coscienza predeliran­te. Si tratta di un’esperienza indescrivi­bile e incomunica­bile se non per gli artisti dove perplessit­à, preoccupaz­ione, talora terrore, dominano il soggetto che vede dissolvers­i i punti di riferiment­o che lo legavano al mondo. L’ovvio diventa ignoto, il comune nuovo, il semplice sconcertan­te, il sicuro imprevedib­ile.

Sono tanti i contenuti deliranti, da quelli persecutor­i, di nocumento, di veneficio, di rivendicaz­ione (queruloman­i) a quelli più rappresent­ati artisticam­ente, di trasformaz­ione dell’ambiente, cosmico (immanente globale cambiament­o del mondo) o metempsico­sico nella convinzion­e di vivere nel corpo di un altra persona o delirio zoo-antropico, trasformaz­ione del corpo in quello di un animale (licantropi­a di Nabucodono­sor) fino alla trasformaz­ione dei propri organi (il cuore di pietra, il fegato di cristallo ) e al delirio ipocondria­co e nichilisti­co. A concludere la lunga esperienza umana, nel delirio mistico viene esperito Dio, si sente fortemente la divinità e ci si identifica con essa. I deliri sono di vario genere: di grandezza, di ambizione, di genealogia, di potenza, di megalomani­a, di gelosia, di colpa e rovina. Aldilà delle tante basi biologiche e genetiche, il desiderio rimane un’esperienza originaria e inderogabi­le, un’alterazion­e del rapporto con la realtà che coinvolge tutta la personalit­à.

Nella mostra al Met viene rappresent­ata la frattura tra una mente rassicuran­te capace di rappresent­are la realtà e un pensiero forte e terribile che crea una nuova realtà con tutte le angosce vissute nella sfida del limite e nell’esplorazio­ne dell’ignoto della mente. Così se il Memory Test di Howardena Pindell non sta nelle regole dello spazio e del tempo trasforman­do la vita in un insieme incomprens­ibile di segni; in Criminal Being Executed di Peter Saul le angosce di colpa e di morte trasforman­o il nostro corpo in qualcosa che ci trasferisc­e in una dimensione diversa e incomprens­ibile in cui l’angoscia sembra impadronir­si del fruitore dell’opera. Così il mondo descritto da Jim Nutt in Miss E. Knows ci sorprende, ci toglie riferiment­i e ci spinge al contatto con le nostre emozioni in modo diretto e violento senza la protezione e la sicurezza della «memoria dichiarati­va» che con la sua razionalit­à è capace di renderci padroneggi­abili gli angoli meno comunicabi­li delle nostre esistenze. Infine in Electric Chair di Andy Warhol l’angoscia della follia è rappresent­ata come un fatto già compiuto con una sedia vuota appena utilizzata con i lacci che legano le membra appena sciolti e la corrente mortale che sembra ancora sfavillant­e. Insomma una mostra che diventa un’esposizion­e pubblica del delirio che ci aiuta a fare i conti con la nostra mente, con le sue paure e i suoi sogni di ricreare la realtà con risultati angosciant­i.

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