Corriere della Sera - La Lettura
Il massacro della ragione
Un’esposizione sul tema del delirio, da settembre al Metropolitan di New York, costituisce una sfrenata e deragliante indagine sulla realtà artistica tra gli anni Cinquanta e gli Ottanta: esperienze mistiche, trascendentali e spesso tossiche comprese tra la guerra di Corea e la Beat Generation, tra Ginsberg e Warhol, tra il Maggio francese e l’emancipazione femminile. «La Lettura» ha chiesto a un neuroscienziato e psichiatra di fare il punto su una sindrome clinica che risale fino alla licantropia di Nabucodonosor
IIl viaggio non finisce mai Solo i viaggiatori finiscono José Saramago
l delirio attraversa i tempi, li interpreta e anticipa il futuro. Irragionevole, assurdo, inquietante, rappresenta un furore creativo. Il delirio nel dopoguerra era identificato con l’angoscia nucleare, oggi dall’angoscia per la fine del pianeta a causa dell’effetto climatico.
Ora, una mostra a New York racconta il mondo di quegli incredibili anni di cambiamento, di rottura di un sogno, di un nuovo rinascimento, di nuovi confini per la coscienza e la libertà dell’individuo arricchito dalla dignità del riconoscimento di nuovi diritti di emancipazione. Questa mostra — Delirious. Art at the Limits of Reason, 1950-1980, dal 13 settembre — costituisce un’ininterrotta, sfrenata e deragliante indagine sulla realtà di quei trent’anni tra guerra di Corea, Ginsberg, La vigne, Warhol e Beat Generation, Maggio francese, diritti umani anti apartheid, emancipazione femminile. Vite vissute sotto l’influsso di esperienze mistiche, trascendentali, deliri tossici con droghe, alcool... e, come disse P. K. Dick alla fine di una conferenza nel 1977 a Metz, «molti sostengono di ricordare una vita passata, ma io sostengo di ricordarne un’altra, diversissima, la vita presente... ho il sospetto di non essere l’unico ad aver fatto questa esperienza. Ciò che è unico è la mia disponibilità a parlarne».
L’esperienza delirante è caratterizzata dal venir meno di quella trama di rapporti con il mondo che rende quest’ultimo comune e comunicabile, condivisibile e visibile. Le cose hanno un significato solo quando assumono un valore che trascende dall’esperienza del singolo, lo rende comunicabile. Il delirio è una patologia squisitamente umana, non rappresentabile in altre forme vitali (il nostro cane può essere ansioso ma mai delirante). La capacità di legare due fenomeni con l’attribuzione di un sottilissimo concetto di causa ed effetto costituisce la tra- ma razionale del nostro mondo. Una modalità di lettura che ha permesso ai nostri antenati di anticipare eventi, di costruire strategie di lotta e di crescita, di sfuggire a un presente sempre uguale e di sfidare il destino di un animale costretto a vivere tra foresta e savana e capace di andare oltre il limite.
Ma ciò che è la dirompente novità della specie umana si trasforma nell’abisso della follia. L’attribuzione di causa, di significato sfugge a un sistema di regolazione, l’uomo precipita in una lettura della realtà del tutto pregiudiziale e incomprensibile agli altri. Il delirio ricostruisce attorno all’individuo una maschera del mondo in cui egli è solo.
A volte l’artista è capace di porsi nel mezzo, di trasformare il suo delirio nell’interpretazione più lucida della realtà, spingendosi oltre il limite nella capacità di comprendere e descrivere. Per fare questo cancella le regole della ragione per poi ricomporle in un nuovo scenario in cui tutto appare nuovamente chiaro.
Il delirio ( delusion in inglese, Wahn in tedesco) è quello lucido con una coscienza vigile. Il delirio e la sua rappresentazione o comunicazione è spesso preceduto o accompagnato nel suo formarsi da uno stato d’animo o umore predelirante ( wahnstimmung) o coscienza predelirante. Si tratta di un’esperienza indescrivibile e incomunicabile se non per gli artisti dove perplessità, preoccupazione, talora terrore, dominano il soggetto che vede dissolversi i punti di riferimento che lo legavano al mondo. L’ovvio diventa ignoto, il comune nuovo, il semplice sconcertante, il sicuro imprevedibile.
Sono tanti i contenuti deliranti, da quelli persecutori, di nocumento, di veneficio, di rivendicazione (querulomani) a quelli più rappresentati artisticamente, di trasformazione dell’ambiente, cosmico (immanente globale cambiamento del mondo) o metempsicosico nella convinzione di vivere nel corpo di un altra persona o delirio zoo-antropico, trasformazione del corpo in quello di un animale (licantropia di Nabucodonosor) fino alla trasformazione dei propri organi (il cuore di pietra, il fegato di cristallo ) e al delirio ipocondriaco e nichilistico. A concludere la lunga esperienza umana, nel delirio mistico viene esperito Dio, si sente fortemente la divinità e ci si identifica con essa. I deliri sono di vario genere: di grandezza, di ambizione, di genealogia, di potenza, di megalomania, di gelosia, di colpa e rovina. Aldilà delle tante basi biologiche e genetiche, il desiderio rimane un’esperienza originaria e inderogabile, un’alterazione del rapporto con la realtà che coinvolge tutta la personalità.
Nella mostra al Met viene rappresentata la frattura tra una mente rassicurante capace di rappresentare la realtà e un pensiero forte e terribile che crea una nuova realtà con tutte le angosce vissute nella sfida del limite e nell’esplorazione dell’ignoto della mente. Così se il Memory Test di Howardena Pindell non sta nelle regole dello spazio e del tempo trasformando la vita in un insieme incomprensibile di segni; in Criminal Being Executed di Peter Saul le angosce di colpa e di morte trasformano il nostro corpo in qualcosa che ci trasferisce in una dimensione diversa e incomprensibile in cui l’angoscia sembra impadronirsi del fruitore dell’opera. Così il mondo descritto da Jim Nutt in Miss E. Knows ci sorprende, ci toglie riferimenti e ci spinge al contatto con le nostre emozioni in modo diretto e violento senza la protezione e la sicurezza della «memoria dichiarativa» che con la sua razionalità è capace di renderci padroneggiabili gli angoli meno comunicabili delle nostre esistenze. Infine in Electric Chair di Andy Warhol l’angoscia della follia è rappresentata come un fatto già compiuto con una sedia vuota appena utilizzata con i lacci che legano le membra appena sciolti e la corrente mortale che sembra ancora sfavillante. Insomma una mostra che diventa un’esposizione pubblica del delirio che ci aiuta a fare i conti con la nostra mente, con le sue paure e i suoi sogni di ricreare la realtà con risultati angoscianti.