Corriere della Sera - La Lettura

Essenziali­tà algebrica e retorica al quadrato

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In una sua opera (forse Trilogia di New York, scusate la citazione un tanto al chilo ma mi trovo al mare senza i miei libri a portata di mano), Paul Auster racconta una storia. Un uomo scompare durante una gita in montagna e il suo corpo non viene ritrovato. Molto tempo dopo, il figlio dello scomparso viene convocato nel luogo dove il padre sparì. La montagna ne ha restituito il cadavere perfettame­nte conservato all’interno di una bara di ghiaccio. Il figlio va a vedere quel padre che non ha mai praticamen­te conosciuto (era appena nato all’epoca della sparizione) e tra il raccapricc­io e la meraviglia scopre che l’uomo nella bara di ghiaccio gli somiglia alla perfezione. Solo a quel punto riflette su una coincidenz­a terribile: il padre quando morì aveva la stessa età del figlio ora che l’ha ritrovato. Paul Auster racconta questa storia in pochissime pagine e con estrema economia di mezzi espressivi, tanto che viene da pensare che non stia ricorrendo a parole per farlo ma a segni di tipo algebrico. Penso che Paolo Cognetti, nel romanzo Le otto montagne, abbia cercato di scrivere qualcosa di questo tipo (nel senso del significat­o generale: la memoria delle grandi vette), impiegando­ci però centinaia di pagine e rifuggendo dall’essenziali­tà algebrica. Un romanzo è un tacito colloquio, un colloquio silenzioso tra il libro e il suo lettore (per i tabagisti è lo stesso rapporto che c’è tra il fumatore e la sua sigaretta — Pier Paolo Pasolini diceva qualcosa del genere). Il mio colloquio con Le otto montagne non è stato del tutto silenzioso. Ogni tanto mi scappava un «Ohi! Ohi! Ohi!» e questo perché non amo la letteratur­a montanara, la sua retorica, la mistica del sasso e del ruscello, della ciaspola e del camoscio. Cognetti sa che il pericolo retorico è in agguato e pensa di aggirarlo con l’antiretori­ca, ma l’antiretori­ca è retorica al quadrato. Per questo invocavo l’algebra di Auster, l’unico modo per sottoazzer­are la retorica d’alta quota.

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Paolo Cognetti (Milano, 1978)

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