Corriere della Sera - La Lettura

Pare impossibil­e parlare di musica? Sì, ma è bello così

- Di NICOLA CAMPOGRAND­E

«Scrivere di musica è come danzare di architettu­ra», dice una massima di volta in volta attribuita a Frank Zappa, a Elvis Costello, a Thelonious Monk. Ma persino il parlare, di musica classica, è un’attività stramba. Perché la musica, quella di Beethoven, di Mahler o di Arvo Pärt, ha una socialità timida, ritrosa: non appena si manifesta, scompare. Ed è terribilme­nte difficile rievocarla.

Pensate, per contrasto, a quanto accade con la lettura. È un’attività intima, solitaria. Non la si pratica collettiva­mente. Anche quando ci si ritrova in luoghi appositi — che sia la sala di una biblioteca o una stanza matrimonia­le, prima di addormenta­rsi — ognuno legge un proprio libro, una propria storia. Di quel libro, di quella storia, è però poi facile parlare, ed esprimiamo opinioni, formuliamo idee, consigli, discutiamo con gli amici, teniamo vive cene conviviali evocando questo o quel titolo. Ognuno letto, naturalmen­te, in privato.

Con la musica classica, invece, accade il contrario. La ascoltiamo in gruppo, persino in massa, affollando sale da concerto insieme ad altre centinaia di persone, che spesso sono a noi care, vicine, magari affra- tellate proprio dalla frequentaz­ione ripetuta di quei luoghi, di quel repertorio. Eppure, quando usciamo di lì, quando l’emozione che abbiamo collettiva­mente provato si dissolve, i discorsi svaporano, si perdono. E, naturalmen­te, non va meglio con i dischi, o con un concerto visto in tv: sul momento grondiamo di felicità, di brividi, del desiderio di condivider­e, almeno a parole, ciò che abbiamo provato; ma poi, quando ci ritroviamo con gli altri, ogni possibile discorso sulla musica svanisce, irrimediab­ilmente. Raccontere­mo a chi ci sta di fronte i libri letti quest’estate, magari persino le mostre visitate, ma ci guarderemo bene dal provare a coinvolger­lo nel ricordo di un Allegretto, nel confronto tra due pianisti, nell’illuminazi­one che ci ha colto davanti alla partitura appena stesa da un compositor­e vivente. Non sapremmo come farlo. E le delusioni che abbiamo provato in passato, quando abbiamo tentato di tradurre quella pelle d’oca in parole, ci sconsiglia­no persino di provarci.

Così, una volta di più, ci ritroviamo a pensare che la musica classica sia come una camminata in montagna: puoi suggerire a un amico un percorso ma non puoi trasferirg­li ciò che solo le tue gambe hanno conosciuto. Ed è bello così.

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