Corriere della Sera - La Lettura
Una macchina che si rompe
Ecco cos’è l’uomo e cos’è la morte Parla il filosofo Shelly Kagan che ha stregato Yale e poi la rete: Platone sbaglia, pensiamo alla vita
«Chiamatemi Shelly, è il nome a cui rispondo. Rispondo anche a professor Kagan, ma le sinapsi ci mettono un po’ di più». Prima lezione a Yale del corso di filosofia morale. Anche adesso che è «grigio e augusto» il professore preferisce farsi chiamare per nome dai suoi studenti: lo dice stando seduto sulla cattedra a gambe incrociate, jeans, camicia a scacchi e Converse ai piedi, mentre introduce un corso che ha per tema la morte. Ventisei lezioni tenute per un semestre nel 2007 che sono state inserite nel programma «Open Yale Courses» e ora si trovano in rete, dove tutti le possono seguire. In migliaia le hanno guardate trasformando in una star questo professore rigoroso che riesce a coinvolgere chi lo ascolta, che abbia o meno una preparazione filosofica alle spalle.
Eppure non c’è niente di semplicistico in queste lezioni. Kagan è un filosofo analitico che affronta il tema surfando sui testi, citando Lucrezio, Cartesio, Hume ma anche narratori come Tolstoj e Julian Barnes.
Perché un corso sulla morte?
«Vorrei poter dire che è stata completamente una mia idea, ma non è così. Prima di Yale ho insegnato a Chicago, all’Università dell’Illinois. Quando arrivai il capo del dipartimento di filosofia mi spiegò che un collega, che se n’era andato, ogni tanto faceva dei corsi sulla morte. Cominciai lì, ma ebbero un successo molto modesto».
Poi è andato a Yale...
«Alla prima lezione arrivarono 300 studenti. Ho subito capito che sarebbe stato un corso popolare. La ragione più ovvia è che tutti si preoccupano della morte, tutti ci pensano. Perlopiù se ne parla in contesti religiosi. Invece è importante chiedersi a quali conclusioni possiamo arrivare se non facciamo affidamento su insegnamenti re- ligiosi o su pretese di rivelazione, ma semplicemente sulla nostra capacità di pensare».
La morte è uno dei grandi temi della filosofia.
«E infatti in un corso introduttivo, dal punto di vista didattico, il tema mi permette di avviare gli studenti verso diverse aree della filosofia. Invece di usare un assortimento casuale di temi, diversi ogni settimana, ne uso uno solo».
Ma il successo è merito dell’argomento che interessa tutti o di come lei insegna? È indubbio che ha un modo di porsi coinvolgente, immediato.
«Il mio modo di insegnare è abbastanza informale e molti mi dicono che questo rende le lezioni accattivanti. Sto per la maggior parte del tempo seduto sulla scrivania e quando arrivo a un passaggio particolarmente interessante salto giù dal tavolo e inizio a muovermi. Non leggo le lezio- ni, non guardo nemmeno gli appunti. In America sono tutt’altro che un caso isolato anche se mi colloco nel punto più estremo del lato informale dello spettro dell’insegnamento. Ho un tono accorato, cerco di essere coinvolgente ma allo stesso tempo chiaro, cosa che non è sempre facile considerato che alcune questioni dal punto di vista filosofico sono particolarmente complicate. Il mio obiettivo non è insegnare che cosa ha detto questo o quel filosofo, ma insegnare a pensare ad alcune delle questioni più importanti nel modo migliore, permettere agli studenti di decidere da soli che cosa vogliono pensare. Una cosa che molti non hanno mai avuto la possibilità di fare».
Nelle prime lezioni dedica molto spazio a Platone e in particolare al dialogo «Fedone».
«Discuto le sue teorie sull’immortalità dell’anima, ma anche in questo caso mi in-
teressa decidere se i suoi argomenti sono o meno validi, non farli memorizzare».
Lei dice: «Se la morte è la mia fine, come può essere un male per me morire? Dopo tutto, una volta che sono morto non esisto e se non esisto come può la morte essere un male per me?». Il suo punto di partenza è Epicuro?
«Uno dei temi di cui mi occupo è se e come la morte è un male per noi. Sembra esserci qualcosa di sconcertante in questo. Il rompicapo risale a Epicuro secondo cui la giusta morale da trarre era che la morte non è un male. Molti pensano che questo sia sbagliato, ma dobbiamo immaginare dove il ragionamento è sbagliato. Ed è quello che faccio quando arrivo alla parte centrale del corso, dove discuto anche di Epicuro. Ma non è l’unica cosa e non è nemmeno il punto da cui partono le lezioni. Le lezioni partono con la domanda se abbiamo un’anima».
Eliminare la paura della morte è uno dei compiti della filosofia?
«Questa è l’idea che sta dietro gli argomenti di Epicuro: se la morte non è un male — e come potrebbe esserlo se io allora non esisterò piu? — non c’è nulla di cui avere paura, dal momento che dovremmo avere paura soltanto di ciò che è un male. Anche se io non sono d’accordo con la pretesa che la morte non sia un male, lo sono con l’idea che non dovremmo averne paura, non perché non sia un male ma per altre ragioni che sarebbe troppo complesso spiegare qui. Molti sono in disaccordo con me sul fatto che la paura della morte sia una risposta inappropriata alla morte stessa, a cominciare da mia moglie e dai miei figli, che pensano che io sia pazzo. Naturalmente credo che la morte spesso arrivi troppo presto e che abbiamo motivo di rattristarcene, di rimpiangere di non avere altri giorni di questa vita che può essere bella, significativa e gratificante. È giusto fare tutto ciò che possiamo per posticiparla. Ma ogni rimpianto può essere controbilanciato, o addirittura superato, dalla consapevolezza di quanto siamo stati fortunati a essere nati. Dall’altro lato — c’è sempre un altro lato in filosofia — non credo che sia desiderabile l’immortalità, altro tema controverso».
A questo proposito, nella sua lezione introduttiva espone subito i suoi punti di vista e ammette che cercherà di convincere la sua audience che sono corretti. Quindi: l’anima non esiste; l’immortalità non è un bene; il suicidio, in certe circostanze, è razionalmente e moralmente giustificabile. È un punto di vista materialistico.
«Ci sono molte idee pericolose, confuse e implausibili che le persone nutrono riguardo alla morte e io voglio aiutarle a fare chiarezza. Ma per me è anche più importante che imparino a pensare criticamente, così se alla fine sono in disaccordo con me, e spesso succede, va bene lo stesso. Mi interessa che ciò in cui credono sia basato sull’aver pensato a fondo e vicino alle cose».
Il metodo analitico, l’argomentazione razionale bastano per spiegare la morte?
«Per spiegare la morte per prima cosa dobbiamo capire che cos’è e non mi sembra che questo sia meno suscettibile di un esame razionale rispetto a qualunque altro tema. Naturalmente gli argomenti razionali non sempre persuadono, come tristemente la realtà ci insegna. Ma a cos’altro dovremmo appellarci? Anche chi si rifà agli insegnamenti religiosi cerca di offrire argomenti razionali a supporto. Il dibattito riguarda soltanto quali argomenti sono buoni e quali no».
Uno dei luoghi comuni sulla morte è che ognuno muore solo...
«Mi imbatto continuamente in questa affermazione nei libri, sui giornali, alla tv. Certamente non è vero se inteso letteralmente: le persone muoiono in presenza di altri tutto il tempo. Quindi deve significare qualcos’altro. Ma cosa? Nella lezione considero diverse possibili interpretazioni, ma nessuna risulta essere vera. Penso che sia solo una di quelle idee sulla morte che si dicono senza pensare a che cosa significa».
Il corso è diviso in due parti: la prima è dedicata ai temi metafisici, la seconda a quelli etici.
«La parte metafisica prepara il terreno a quella etica. Nella prima parte quindi esamino che cos’è la morte, se possiamo sopravvivere alla morte dei corpi, se c’è qualcosa di misterioso riguardo alla morte — io credo di no. Arrivo alla conclusione che la morte è la fine e che non esisterò più dopo che sarò morto. È con questa idea che possiamo dedicarci alla questione se la morte è davvero un male e come dovremmo sentirci riguardo a questo o che cosa dovremmo fare. Mi sembra che le reazioni siano interessate e accese riguardo a entrambe le parti. Ma ho ricevuto molte email commoventi riguardo al suicidio da persone che hanno seguito le lezioni video. Un tema che di solito suscita discussioni isteriche mentre io cerco di discuterne con calma e semplicità, affrontando le varie posizioni e cercando di vedere quali argomenti le supportano. Un approccio comune tra i filosofi, naturalmente, ma la maggior parte delle persone normalmente non lo affronta in questi termini».
Nelle sue lezioni ci sono naturalmente molti riferimenti bibliografici, ma quali sono i testi fondamentali per chi si avvicina a questo tema?
«C’è un saggio interessante intitolato
Death scritto da Thomas Nagel, che è stato mio maestro. Si trova nella raccolta Mortal
Questions. È un testo che ha acceso un revival di interesse presso filosofi anglosassoni e, a differenza di altri, può essere letto anche da non specialisti. Nelle mie lezioni parto dal Fedone di Platone, testo fantastico anche se non sono d’accordo con la maggior parte di ciò che dice. Leggere Platone è quasi sempre straordinario, sopratutto i giovanili dialoghi socratici. Un altro testo che apprezzo molto è Confrontations
with the Reaper, di Fred Feldman».
Se togliamo alla morte ogni mistero che ne è della letteratura?
«Non c’è nessun mistero. La mia visione, semplificando, è che siamo solo corpi, fantastiche macchine che possono fare fantastiche cose — innamorarsi, scrivere poesie, studiare le origini dell’universo, giocare a scacchi, creare musica . La morte è più o meno come una macchina che si rompe. La letteratura si occupa della morte nella misura in cui si occupa della vita. I romanzi parlano anche di altro: amore, carriera, amicizia, famiglia, politica. Se fossimo immortali, se la morte non esistesse, la vita continuerebbe ad esistere e ci sarebbe sempre il bisogno di parlarne e scriverne. Ci sarebbe la letteratura anche se non ci fosse la morte».
Qual è il futuro della morte?
«Per pensarci correttamente, dovremmo stabilire se la morte potrebbe essere eliminata o no. Penso sia chiaro che può essere posticipata (i biologi ci stanno lavorando) in modo che le nostre vite possano diventare anche molto più lunghe di quelle che sono ora. È possibile eliminare completamente la morte? Presumibilmente i nostri cervelli finiranno per consumarsi, ma supponiamo che possiamo coltivare cervelli sintetici su cui caricare i nostri ricordi, le nostre paure, i desideri e le credenze. La persona che si sveglia da quell’operazione sarei ancora io? Ciò pone domande complicate che hanno a che fare con le basi metafisiche dell’identità personale. È un altro argomento di cui discuto nelle prime lezioni. I filosofi non sono d’accordo sulla risposta. Ma se la persona che si svegliasse non fossi io, ma solo qualcun altro che erroneamente pensa di essere me, allora potrebbe essere che non possiamo rimandare per sempre la morte. Se è così, il futuro della morte è lo stesso del suo stato attuale: viviamo e moriremo. Il nostro obiettivo, data questa verità, è capire quali tipi di vita vale la pena vivere».