Corriere della Sera - La Lettura
Sotto i ghiacci o la sabbia La storia (ri)scritta
I mutamenti climatici, con l’aumento della temperatura globale, hanno permesso di scoprire i resti di persone rimaste ibernate per lungo tempo in località molto fredde La mummia Ötzi del Sudtirolo non è un esempio isolato Tracce di un uomo preistorico che
Il 19 settembre 1991, quando i turisti tedeschi Erika e Helmut Simon trovarono nei pressi del ghiacciaio Hauslabjoch, a quota 3.210 metri, tra l’italiana Val Venosta e l’austriaca Ötztal, il corpo di un essere umano solo in parte libero dal ghiaccio, nessuno poteva immaginare che fosse una delle più importanti scoperte archeologiche di tutti i tempi. Ötzi è la più antica e meglio conservata mummia umana umida esistente e la sua scoperta segna la nascita del- l’archeologia glaciale. Il suo corpo emerse dai ghiacci a seguito di una serie di circostanze favorevoli e concomitanti. Nell’ultimo secolo, e in modo più accentuato durante gli ultimi tre decenni, lo spessore dei ghiacciai del pianeta si è molto ridotto a seguito del riscaldamento climatico. Dopo due anni di precipitazioni invernali assai scarse, il caldo dell’estate 1991 sciolse il ghiaccio in cui Ötzi e il suo equipaggiamento erano inglobati.
Per fortuna, esistevano tutte le con- dizioni iniziali necessarie a una buona conservazione: il corpo era rimasto in superficie fino a essiccarsi a freddo e a congelare prima di finire incapsulato nel ghiaccio. Ghiaccio che, in quel punto esatto, non si era più mosso durante i 5.100-5.300 anni che separano il momento della morte da quello del rinvenimento. Poiché la massa dei ghiacciai scorre costantemente, se il corpo fosse caduto in un altro punto quel movimento avrebbe frantumato e disperso Ötzi in pochi secoli.
L’archeologia glaciale ha come fine il recupero dei resti contenuti nella criosfera, l’area della terra perennemente congelata sotto forma di permafrost, ghiacciai e ghiaccio marino. Mentre il clima si surriscalda, permafrost e ghiaccio marino si ritirano verso il circolo polare, i ghiacciai arretrano e le «macchie» di ghiaccio diminuiscono o scompaiono. Queste trasformazioni rappresentano per gli specialisti dell’archeologia glaciale un’opportunità, ma anche un’emer- genza e una sfida: recuperare i reperti che hanno trascorso centinaia o migliaia di anni nel ghiaccio, prima che comincino a decomporsi.
Grazie alla crescente attenzione all’archeologia glaciale e all’impiego di tecnologie avanzate, nuovi importanti siti sono periodicamente documentati in Asia, Europa, Nord e Sud America. Intanto, nelle Alpi italiane e austriache, in Svizzera, Norvegia, Canada, Stati Uniti, in alcune zone delle Ande, in Groenlandia e in Russia i