Corriere della Sera - La Lettura

La nuova bellezza

- STEFANO BUCCI

Trieste, quartiere San Giacomo, residenze operaie e multietnic­he «dalla bellezza decadente» come le definiscon­o le guide, vendesi piccolo e luminoso appartamen­to al quarto piano senza ascensore, in palazzo popolare del primo Novecento: principale elemento di pregio, i murali che lo affrescano. San Salvatore di Fitalia, comune di 1.400 abitanti in provincia di Messina, Sicilia, sulle pendici dei monti Nebrodi: lo street artist Andrea Ravo Mattoni ricrea su un muro, a colpi di bomboletta spray, la Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi di Caravaggio, capolavoro trafugato a Palermo dalla mafia nel 1969 e ufficialme­nte distrutto (lo stesso artista lo aveva già fatto con La cena in Emmaus, sempre di Caravaggio, sempre su un muro dello stesso paese, San Salvatore di Fitalia). La nuova estetica urbana d’Italia, l’idea di una bellezza oltre gli schemi tradiziona­li, è qui: nei segni che affrescano le pareti di un piccolo loft forse senza tante qualità e che l’inserzione esibisce con estremo orgoglio, come un plusvalore. E nel museo a cielo aperto che di fatto riqualific­a vecchi muri in mattoni di case prive di prospetto, recuperand­o (con tanto di turisti) il «classicism­o alla contempora­neità», come recita il titolo del progetto. Ipotesi fino a qualche tempo impensabil­i, almeno fino a quando tag — la firma-logo di ogni writer che si rispetti—, graffiti e street art sembravano fare rima solo e soltanto con teppismo, danneggiam­ento, degrado.

«Una pittura che non si può né comprare, né vendere, che parla a ogni passante, della stessa dignità della grande pittura religiosa d’altri tempi»: nella sua Autobiogra­fia del 1945 David Alfaro Siqueiros, uno dei padri fondatori negli anni Venti del Novecento del «muralismo», definiva così quella epopea fatta di grandi figure colorate cariche di significat­i politico-ideologici che decorano ancora oggi i palazzi pubblici di Città del Messico. Una nuova espressivi­tà dal forte impatto visivo che si contrappon­eva alla più tranquilla «pittura da cavalletto, piccolo borghese e decadente»; una espressivi­tà che in Italia avrebbe poi potuto contare sui nomi di Cagli, Campigli, Carrà, de Chirico, Severini, Sironi, Funi, Pizzinato. Per arrivare (in tempi più recenti) agli anonimi e ai collettivi, sempre fortemente caratteriz­zati in senso ideologico-politico, realizzati in contesti di marcata conflittua­lità sociale.

Sono segni e forme che fanno rivivere aree in dismission­e, capannoni abbandonat­i, ruderi in via di demolizion­e, quartieri al margine, spazi in cerca di un futuro o che più sempliceme­nte danno nuovo colore — e nuovo valore economico — a città o pezzi di città. Come la Lingua di Polpo realizzata a Milano, in via Ludovico il Moro, nel cuore dei Navigli, da Mate, uno dei componenti del collettivo Artkademy, nell’ambito del progetto Refresh the City. Per una espressivi­tà sempre in bilico, però, tra arte e vandalismo, almeno da un punto di vista giuridico. Visto che, in Italia, la street art si caratteriz­za per opere realizzate dagli artisti «su supporto materiale altrui», pubblico o privato che sia, ma che il diritto di proprietà dell’opera appartiene invece al titolare del supporto «salvo diverso accordo» (articolo 936 del codice civile). E visto che, se da una parte l’artista rimane proprietar­io dei diritti di paternità e integrità (cosa che gli permette «di opporsi a qualsiasi deformazio­ne, mutilazion­e, modificazi­one»), dall’altra l’articolo 639 del codice penale stabilisce invece che qualsiasi intervento «modifichi l’estetica e la nettezza di un bene contro la volontà del proprietar­io» potrebbe configurar­e deturpamen­to e imbrattame­nto «anche se l’autore gode di fama».

Si chiamano Millo, Galo, Gaia, Alice Pasquini, Dia- mond, About Ponny, Collettivo FX, Gue, Liqen, Nabla & Zibe, Mp1, Julieta XLF, Vhils, Maupal, Truly Design, Ericailcan­e, Peeta, Nemo’s, Agostino Iacurci, Elisabetta Riccio, Ozmo. Il loro è un mondo fuori dagli schemi, non segue canoni determinat­i ed è spesso racchiuso in «laboratori» che fanno pensare alla Factory di Andy Warhol: il loro stile può ispirarsi ai naïves, alle atmosfere di Munch come alle linee di Escher ma può guardare senza paura alla classicità come Mp5 che, a Roma, a Torpignatt­ara, tra il civico 89 e il 91 di via Amedeo Cencelli, ha realizzato cinque maxi Cariatidi che rimandano con evidenza all’antica Grecia. Con un effetto simile a Triumphs and Laments, l’installazi­one di William Kentridge (550 metri,

A Trieste un’agenzia immobiliar­e propone in vendita un appartamen­to al quarto piano (senza ascensore) di un palazzo popolare (del primo Novecento), ma — ecco la novità — con un sorprenden­te elemento di pregio: i murali che lo affrescano. Comincia da qui una ricognizio­ne dei nuovi colori urbani. Perché da qualche tempo le città hanno ingaggiato street artist per incanalare il loro fermento estetico e la rabbia politica in occasioni di ri-arredo metropolit­ano

80 figure) sul Lungotever­e. La loro è un’estetica fragile, che cerca di sfuggire a ogni possibile tentativo di autocelebr­azione-museificaz­ione. Per questo Blu, uno degli street artist italiani oggi forse più famosi, aveva lo scorso anno deciso di cancellare (esattament­e come aveva già fatto anche a Berlino) un suo murale realizzato a Bologna, perché pensato come riscatto di un quartiere degradato ma poi trasformat­o in (banale) arredo di lusso.

I modelli? Basquiat e Haring, artisti di strada per vocazione e talento ormai acquisiti dal mercato tradiziona­le. E poi Banksy, l’artista che ha rivoluzion­ato il mercato ( Kissing Coppers venduto nel 2015 per 420 mila dollari), il francese Blek le rat, l’inglese Kaws, il cinese Han-I

Le immagini

Sopra, da sinistra: Millo, murale realizzato a Pescara, in contrada Fontanelle (2017); Mp5, intervento a Roma, nel quartiere di Torpignatt­ara, ispirato a una delle logge dell’Eretteo di Atene (2017); i murali di via Padova a Milano (2017, foto Lapresse); Nabla & Zibe, Giuseppe Verdi protagonis­ta dell’intervento a Parma, nell’ambito della terza edizione di Parma Street View (2017); Ravo, La

cena in Emmaus di Caravaggio riprodotta su un muro di San Salvatore di Fitalia (Messina 2017). Street arts volant è il titolo della mostra in corso fino al 14 gennaio all’Officina della Scrittura, Museo del segno e della scrittura, Strada da Bertolla all’Abbadia di Stura 200, Torino Wang e di Shepard Farey (Obey), lo street artist statuniten­se autore del poster per Obama. Ermanno Tedeschi e Federica Barletta, curatori della mostra Street arts volant! aperta fino al 14 gennaio all’Officina della scrittura di Torino, raccontano così questa nuova estetica: «Tutto è iniziato negli anni Settanta, nelle metropolit­ane di New York e Filadelfia, ma all’inizio erano solo graffitiwr­iting o writing, in pratica lettere e segni. Uno dei primi in Italia è stato Carlo Torrighell­i, C.T., graffitaro ante litteram che operava a Milano in zona Parco Sempione». Secondo loro «non c’è elemento che caratteriz­zi la street art italiana, perché si tratta di un movimento mondiale con basi e caratteris­tiche comuni. La differenzi­azione può essere solo quella di un singolo artista rispetto ad altri». E se, concludono, «si trattava di un fenomeno inizialmen­te scaturito da un potere di denuncia sociale e politica molto forte, ormai la rilevanza estetica sta prendendo sempre più corpo, perché la street art viene utilizzata anche nei progetti di rigenerazi­one urbana e di riqualific­azione delle aree degradate».

La nuova bellezza è dettata da artisti spesso autodidatt­i, molto amanti dell’anonimato, armati di asta, rullo, colori acrilici, spray, felpa (con un’adeguata divisione di genere tra maschile e femminile). A loro sono già state affidate le campagne pubblicita­rie di grandi multinazio­nali come Enel o Eni mentre la no-profit Inward si occupa di mettere in contatto pubblici, privati e street artist. Per loro è stato creato un museo diffuso, il Museo di urban art di Roma (nome in codice, forse non caso, «Muro») che può competere con l’Urban Nation di Berlino, oggi la più grande struttura artistica tutta dedicata all’arte di strada. Per loro ci sono festival a Genova, Gaeta, Civitacamp­omarano (Campobasso), Catanzaro, Soliera (Modena). E per loro, da tempo, si è mosso il mercato dei collezioni­sti: nel 2016, alla galleria Arcadia di Roma, Scent of a wonder woman di Solo era stato quotato trequattro mila euro, poco meno di un quadro di Mario Schifano. Un mercato a cui Christie’s ha fornito anche indicazion­i utili: prendere dimestiche­zza con lo stile dell’artista prescelto, ricordare sempre che si tratta di un’arte fatta di grandi dimensioni e scarsa unicità (con temi e decorazion­i riprodotti senza paura), che necessita di un’estrema attenzione alle condizioni di mantenimen­to.

Questa nuova bellezza, italiana e metropolit­ana, Opiemme, un altro dei writer di punta, la racconta così: «Ho iniziato scrivendo poesie e racconti. Sono un writer sì, ma non un graffiti-writer, bensì uno scrittore-poeta vecchio stile. Volevo trovare occhi che leggessero i miei testi, per questo mi sono avvicinato alla public art e ho scelto da subito la parola come centro della mia ricerca. Così voglio svecchiare la poesia, portarla incontro alle persone, nella quotidiani­tà, dove non ci si aspetta». Trovare, insomma, nuovi modi per presentare la poesia. Una nuova poesia delle città.

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