Corriere della Sera - La Lettura
L’impegno è cool. Banksy disegna tweet
Il writer più famoso del mondo ha preso da qualche tempo ad «affrescare» i muri dei social. Sempre la stessa potenza nella denuncia, sempre la stessa missione: prendersi cura è di tendenza, scrive ai due milioni di follower
Banksy ama prenderci in contropiede. Ha capito che, nel tempo dell’«egocalisse», meno si appare più si esiste. Lungi dal farsi ingabbiare dentro i confini istituzionali del sistema dell’arte, è invisibile. Introvabile. Abile nel costruire intorno a sé un alone di mistero. Impegnato a non far violare da nessuno la sua ostinata clandestinità.
Eppure, paradossalmente, Banksy è tra gli artisti più presenti della nostra epoca. Non espone in musei né in gallerie, ma abbandona le sue figurazioni — dense di richiami alla Pop Art, al graffitismo e ai cartoon — un po’ ovunque. In particolare, deposita le sue indocili e irrequiete iconografie in luoghi dalla forte valenza simbolica (ad esempio, in Cisgiordania): stencil che hanno la funzione di richiamare l’attenzione su alcune emergenze politiche e sociali. È, questo, il medesimo obiettivo dei tweet che da qualche mese Banksy pubblica quasi quotidianamente sull’account @therealbanksy (gestito da lui e dal suo staff anche se la descrizione dice «fan account»). Un’originale azione estetica e mediatica. Che potrebbe essere letta da diverse angolazioni.
In primo luogo, l’anonimo artista inglese conferma così la sua avversione nei confronti dell’artworld, sfruttando la dimensione libera e democratica dei social. Che tratta come un museo infinito, senza pareti, da arricchire continuamente di nuove visioni, senza tener conto delle imposizioni dei galleristi, dei mercanti e dei critici. La sfida sta nel rivolgersi non a una élite ristretta e autoreferenziale ma a un pubblico vastissimo (i suoi follower sono circa due milioni).
Banksy, inoltre, elabora una forma differita di ready-made: mostra soprattutto opere realizzate da altri writer, fotografie rubate in giro per il mondo, tweet scritti da altri e «situazioni» estratti da quell’immenso archivio che è la rete. Incuran- te del rispetto di ogni copywriting, egli preleva questi materiali. Li saccheggia. Consegnandoci, con disinvoltura, appropriazioni indebite.
Dinanzi a noi sono drammaturgie di immediata efficacia comunicativa, alle quali spesso Banksy accosta brevi testi, dando vita a una felice combinazione tra scrittura e immagini. In alcuni casi, si tratta di meri accompagnamenti. In altri casi, di affermazioni dirette: come quelle che si trovano nei manifesti di tanti movimenti della sinistra più radicale. La maggior parte dei post sono come editoriali in cui si commenta visivamente quel che accade ogni giorno. Appelli rivolti a un mondo dominato da indifferenze, da menzogne, da cinismi.
Il Banksy che scopriamo su Twitter ci ricorda il «pittore della vita moderna» di baudelairiana memoria, straordinario nell’esibire la «vita molteplice», di cui vuole rivelare la «qualità essenziale». Egli pensa l’arte come pratica militante, civile. Cronista e attivista, si fa inviato speciale tra i drammi dell’età contemporanea. Insofferente ai miti della globalizzazione e dell’omologazione, cattura attimi e scenari. Sorretto da slancio testimoniale, ci parla di emarginazioni, di alienazioni, di apocalissi imminenti, di autodistruzioni, di povertà, di handicap, di solidarietà sociale. E, inoltre: si interroga sul rapporto tra cultura e natura; sul ruolo dei libri come meravigliosi trampolini di lancio per andare verso l’altrove; sui dispositivi che segnano le nostre esistenze.
La filosofia di queste opere corsare è nel tweet che Banksy ha scelto per il suo account: «La nostra generazione pensa che sia cool fregarsene. Non è così. L’impegno è cool. Prendersi cura è cool. Rimanere fedeli è cool. Provateci». Ecco che cosa vuol dire per Banksy essere di tendenza. Un messaggio che ha il tono di un programma politico.