Corriere della Sera - La Lettura
La storia non è mai completa Per questo motivo io la falsifico
Frank Spotnitz è autore di serie come «X-Files» e «I Medici». «Conoscere i particolari del passato è impossibile. Così bisogna interpretare, immaginare. E tradurre per un’audience popolare»
Quando la Storia deve farsi storia coinvolgente, qualcosa bisogna sacrificare. È la regola di molto cinema e molta televisione, la stessa seguita da Frank Spotnitz, ospite al Mia, Mercato internazionale audiovisivo svoltosi a metà ottobre a Roma. Autore di serie come X-Files, The Man in the High Castle eI Medici, lavora su generi differenti, dal fantastico allo storico, cercando però sempre quella che a Hollywood chiamano good story. Per la quale si può anche modificare la verità dei fatti storici.
Così, ad esempio, la serie I Medici, prodotta da Big Light, Lux Vide, Wild Bunch e trasmessa da Raiuno, inizia con l’omicidio di Giovanni, padre di Cosimo de’ Medici. Un assassinio mai avvenuto. Una falsificazione che molti hanno notato e condannato, ma in ballo c’era altro: «Per raccontare quella saga, secondo alcuni avremmo dovuto partire da Lorenzo il Magnifico. Io e il coautore, Nicholas Meyer, pensavamo però fosse molto interessante anche Cosimo. Così abbiamo cercato un modo drammatico di dare forma alla sua storia. Ci siamo ispirati a due film: Il Padrino, ovviamente, e Amadeus. In quest’ultimo, si ipotizza che Salieri abbia ucciso Mozart. Non c’è alcuna prova, ma l’espediente permette allo spettatore di entrare splendidamente nel mondo di Mozart. Allo stesso modo, il mistero dell’omicidio di Giovanni funziona per I Medici ».
La tv non è un libro di testo. Può incuriosire e spingere ad approfondire altrove...
«È quello che spero. Noi “traduciamo” la Storia per un’audience popolare. Cerchiamo di tirare fuori ciò che serve dalla Storia e immetterlo in una narrazione che abbia senso per le persone che guardano la tv oggi. E poi cercare di narrare la Storia in maniera accurata fin nei minimi particolari sarebbe impossibile. Perché la Storia non è completa. Magari sai cosa ha fatto qualcuno, ma non necessariamente conosci le motivazioni, le emozioni. Per questo devi interpretare e immaginare come meglio puoi, e mostrare al pubblico perché l’evento che stai narrando è importante».
In «The Man in the High Castle», ispirato al romanzo di Philip K. Dick, la Storia si fa distopia: gli Usa hanno perso contro la Germania nazista. Il passato viene stravolto. Forse per raccontare meglio il presente?
«Per me era importante dire al pubblico: “Non considerare la vita che hai come ovvia”. E anche: “Se vuoi che il mondo sia un posto migliore, tocca a te farlo accadere”. The Man in the High Castle mostra come sia facile passare al lato sbagliato, e come sia necessario guardarsi dentro, capire l’intolleranza e l’odio in noi e combatterli. Puoi essere una persona amata e stimata, ma farti comunque traviare da un sistema di valori sbagliato. Una cosa non esclude l’altra. La serie racconta di noi, delle persone che oggi non credono di essere fascisti e nazisti, piuttosto che dei nazisti del passato. I momenti che mettono più a disagio durante la visione sono infatti quelli in cui riconosci avvenimenti della nostra cultura».
In «X-Files», Mulder era alla ricerca della verità, spesso lottando contro possibili coperture governative. Oggi la verità non interessa: non perché si accettano i fatti ufficiali, ma perché è più facile credere alle fake news. Forse perché sono storie migliori?
«In X-Files, Mulder cerca sempre la verità, ma non è mai capace di trovarla. Alla fine però ironicamente trova Scully: per me l’unica verità che possiamo conoscere come essere umani è l’amore. Penso però che interrogarsi sulla verità sia giusto. Non c’è nulla di nuovo nel fatto che le persone si perdano tra bugie, false notizie, storie che amano raccontarsi per non affrontare difficili realtà. È nuova la tecnologia: l’abilità di diffondere questa disinformazione efficacemente. Per questo bisogna lottare di più per fare emergere la verità».
A proposito di serie fantastiche, «Il Trono di Spade» è un fantasy, eppure prende spunto da reali eventi storici...
«Quello che è paradossale in una serie fantastica è che ti libera dal dover chiarire esattamente il tema del racconto e il perché sia rilevante. Serie tv come Il Trono di Spade funzionano perché sembrano ambientate in luoghi fantastici e lontani nel tempo, ma il pubblico di oggi si riconosce perfettamente in quelle storie, si lega ai personaggi, immaginando quello che farebbero nelle stesse circostanze».
Oggi la Storia in tv non è solo grandi eventi, ma anche fatti di cronaca capaci però di illuminare il nostro passato prossimo. Pensiamo al lavoro di un altro autore, Ryan Murphy, con il caso O. J. Simpson, e in futuro con l’omicidio Versace e Carlo e Diana...
«Amo l’uno e l’altro approccio, e il panorama televisivo è così ricco da poterli ospitare entrambi. Anche per i grandi eventi storici come quelli narrati nella saga de I Medici, però, devi trovare un modo per renderli “personali”. Ricostruisci un mondo, Firenze, il Rinascimento, ma se lo spettatore non ha un personaggio cui tenere, non gli interessa il resto».
Chi sono i Medici nel mondo di oggi?
«Non penso che oggi il potere si trasferisca così tanto con i legami di sangue, bensì attraverso le grandi corporation. Sono in un certo senso delle “famiglie”, infatti nella legge americana sono riconosciute come individui...».
In un certo senso, i Kennedy hanno rappresentato quel tipo di mito.
«Certo. Jfk è stata una figura idealistica, articolata, carismatica, morta in giovane età: dobbiamo ancora riprenderci da quel trauma. Più scavi nella famiglia Kennedy, e più ricca e tragica appare. Ad esempio, John non era il figlio favorito, il fratello maggiore sarebbe dovuto diventare l’eroe della famiglia, ma morì prematuramente. È ancora una storia potente. E sì, ci sono ancora famiglie al potere, i Clinton, i Bush e chissà un domani gli Obama».
La presidenza Obama non è forse stata fin troppo «cool» per diventare in futuro una «good story»?
«In realtà penso ci sia un’incredibile storia da raccontare. Attendo con curiosità il futuro libro di Obama. Però adesso siamo troppo vicini, almeno per me è così; avrei bisogno di molta più distanza. C’è stato un enorme terremoto politico dopo la sua presidenza, ci vorrà più tempo per capirne il significato».
Prima o poi toccherà anche a Trump.
«Trump è un altro straordinario e affascinante personaggio. Ma quel che conta non è raccontare solo la politica. È una parte essenziale di ciò che siamo, ma non è tutto. Perché ciò che siamo come esseri umani è più ricco e interessante, sorpassa l’identità politica che rivestiamo. In tutte le serie che ho scritto, non mi interessava raccontare un’ideologia, ma noi, e quello di cui siamo capaci. Come sceneggiatore devi stare attento a non cadere nella trappola del pensiero politico: sì, stai scrivendo di un personaggio con delle idee politiche, ma il tuo lavoro è raccontare la sua verità come essere umano. Che è ben più grande».