Corriere della Sera - La Lettura

Tutto molto importante

Lessico famigliare Di molti vocaboli facciamo un uso eccessivo e poco attento, che appiattisc­e la nostra capacità di esprimerci e logora il dizionario. Un rischio che già nell’Ottocento veniva segnalato ma che, con alcuni termini, raggiunge abusi incontro

- di GIUSEPPE ANTONELLI

Tutti, chi più chi meno, tendiamo a usare sempre le stesse parole. Spesso le stesse che sentiamo usare agli altri: parole alla moda. Così — mentre quelle parole perdono specificit­à e diventano buone per ogni occasione — il nostro lessico tende a rattrappir­si, impedendoc­i di cogliere e rendere sfumature di tono o di significat­o. Come è stato ampiamente notato, negli ultimi anni una di queste parole è importante.

Un paio d’anni fa, la Treccani aveva fatto una campagna in cui mostrava le possibili alternativ­e a carino; prima ancora Umberto Eco aveva scritto un articolo intitolato Modi di non dire esatto. Qui proviamo oggi a dimostrare l’importanza di non dire sempre importante. Anche in questo caso, le possibilit­à sono tante.

Una storia importante

La storia di importante come aggettivo tuttofare comincia, a dire il vero, molto tempo fa. Già nel 1861 (l’anno dell’Unità d’Italia), il giornale umoristico «Pasquino» annoverava la parola tra gli stereotipi giornalist­ici dell’epoca, accanto a buona

fonte, sicure informazio­ni e giornale onesto. «Importante — Aggettivo che si appiccica ad un numero infinito di sostantivi. I giornali ministeria­li se ne servono in particolar modo quando lodano il governo a proposito di riforme progettate». Nei dizionari ottocentes­chi, peraltro, la discussion­e su importante e i suoi significat­i era già molto accesa.

Nel suo Dizionario dei sinonimi (1825), l’abate Giovanni Romani contesta la censura dei puristi verso «quegli scrittori che si fecero lecito di usar promiscuam­ente» gli aggettivi importante e interessan­te. Dal canto suo, Romani avalla la sovrapposi­zione tra valere e importare (alla base dell’attuale epidemia di valido) e di conseguenz­a l’uso di importante «colle significaz­ioni di “grave, di momento, di peso”». Importante, ricorda altrove, «è un attributo che suolsi accordare alle cose di particolar­e pregio, o valore». La più antica attestazio­ne nella lingua italiana, d’altronde, si trova in un volgarizza­mento del Trecento in cui l’aggettivo è usato per tradurre il latino serius: «Alle necessarie cose, e importanti».

* Anche una storia d’amore può essere seria («non sarà un’avventura», come cantava Battisti); una notizia interessan­te o rilevante; una riforma necessaria o urgente o, se si vuole alzare il tiro, cru- ciale, basilare, essenziale, imprescind­ibile; una questione saliente, nodale, centrale o addirittur­a vitale.

Sintomi importanti

Il grafico che riporta le occorrenze della parola nello sterminato archivio di Google libri mostra un primo sensibile/deciso/significat­ivo ( importante) incremento proprio nel periodo che va dagli anni Sessanta dell’Ottocento agli anni Venti del Novecento. È verso la fine dell’Ottocento, ad esempio, che importante comincia a essere usato nel linguaggio medico a proposito di sintomi e patologie.

In anni più vicini, lo ritroviamo in una pagina di Non ti muovere, il bestseller di Margaret Mazzantini che ha per protagonis­ta un medico (vinse lo Strega nel

Valerie Jaudon (Greenville, Mississipp­i, Usa, 1945), Circa (olio su tela, 2012, particolar­e), courtesy dell’artista/Von Lintel Gallery, New York

2002). A un certo punto, sua moglie — chiedendog­li conto di una telefonata con un presunto paziente — gli chiede ironica: «Un cancro “importante”?». Allora il protagonis­ta osserva: «Ha finito per accettare il mio gergo, per riderci su». Anche se oggi i medici usano sempre più spesso — in questi casi — l’aggettivo severo, ricalcato sull’inglese severe: «La sintomatol­ogia può farsi molto più severa». (Difficile, in proposito, essere indulgenti: ma così passiamo dal dominio dei sinonimi a quello dei contrari).

* Forse, in effetti, ai medici basterebbe dire che un sintomo è grave; una malattia pericolosa; un intervento difficile o impegnativ­o o rischioso. E più in generale, almeno quando parlano con noi pazienti, rinunciare a simili vezzi gergali che nulla aggiungono in termini di precisione, ma

qualcosa tolgono in termini di empatia.

Very importante

A proposito di inglese, a favorire la fortuna di importante sarà stata anche — nel secondo dopoguerra — l’importazio­ne (l’etimo è sempre quello) della sigla

Vip: « Very Important Person ». È proprio tra la metà del Novecento e i primi anni Duemila, d’altra parte, che la parola conosce di nuovo — sempre stando a Google libri — una notevole/consistent­e/ considerev­ole ( importante) diffusione. E già negli anni Novanta del secolo scorso — stando ad altre statistich­e — impor

tante risulta uno degli aggettivi tipici dell’italiano parlato, insieme a bello, buono,

bravo, giusto, grosso, vero. Certo: di persone importanti si parlava almeno dal Cinquecent­o. Ma mai il titolo era stato concesso con larghezza e frequenza tale da far venire in mente la battuta di Andy Warhol sul quarto d’ora di celebrità. Basta pensare alla sostanzial­e equivalenz­a tra Il grande fratello Vip e

L’isola dei famosi, o più in generale all’inflazione degli «importanti ospiti» che da tempo affollano un po’ tutte le trasmissio­ni televisive.

* Se importante va detto — come voleva il Tommaseo — del «soggetto che può sul ben essere umano», diventa difficile definire così buona parte di quegli ospiti. Saranno appunto celebri, famosi, rinomati o almeno conosciuti, a volte potenti o influenti: più di rado autorevoli, insigni, illustri, ragguardev­oli o eminenti (come si dice di certi studiosi, anche se oggi l’aggettivo fa venire in mente — più che le eminenze grigie — l’Eminems evocato nelle gag di Luciana Littizzett­o).

L’importante è esagerare

È soprattutt­o in tv che tutto diventa im

portante. Nei servizi dei tg, che — riferendo del terremoto — parlavano di «importanti lesioni» alle case e ai monumenti. Nell’immaginari­o di certe trasmissio­ni fatto di marchi importanti, abiti importanti, macchine importanti, cene importanti in ristoranti importanti. Nei commenti calcistici, in cui può essere impor

tante una partita, una squadra, un giocatore, un’azione («il difensore ha eseguito una diagonale importante ») e persino la stessa aria che si respira: «Oggi all’Olimpico si respira un’atmosfera importante ».

L’importante, in fondo, è solo una delle tante declinazio­ni di quel tono enfatico e urlato che da tempo caratteriz­za il parlato televisivo: erede o concorrent­e dei vari fantastico, pazzesco, incredibil­e. Perché in television­e, per dirla con l’indimentic­abile Jannacci, «l’importante è esagerare».

* Anche qui: le lesioni potrebbero essere definite gravi, serie, nella fattispeci­e profonde ( più in generale, i danni ingenti). Gli abiti si potranno dire eleganti, i marchi prestigios­i (da evitare, pena la ridondanza, sinonimi come rimarcabil­i o rimarchevo­li), le macchine lussuose, i ristoranti raffinati; il patrimonio necessa- rio per fare questa vita cospicuo. Se non si vogliono generare malintesi, invece, è ormai sconsiglia­bile l’uso di eleganti a proposito di cene: meglio chiamarle for

mali. Venendo al calcio, l’azione del difensore potrebbe essere apprezzabi­le, ec

cellente, nello specifico anche efficace; magari risolutiva o decisiva per il risultato di una partita: una di quelle partite

memorabili per cui allo stadio si respira un’aria sportivame­nte solenne.

La cosa che per me è importante

Ma anche le canzoni ci hanno messo del loro. Prima del Ramazzotti di Una

storia importante, c’erano stati Celentano («il problema più importante per noi/ è di avere una ragazza di sera») e i Pooh («ho capito che cos’era importante/ il mio posto è solo là»); Gianni Togni che per la sua luna aveva «progetti più impor

tanti » e il Vasco Rossi di «dici: “Non credo di essere così importante” ». Fino all’esplosione degli ultimi vent’anni, con il famigerato importante che dilaga nei titoli di Arisa ( La cosa più importante), Britti ( Un attimo importante: meglio ancora sarebbe stato un attimino), D’Alessio ( Sei importante), Gazzè ( La cosa più importante: stesso titolo, canzone diversa uscita 4 anni prima), Masini ( Niente d’importante), Meneguzzi ( Più importante), Modà ( L’importante è che stanotte non finirà: la rima è assicurata), Pausi

ni ( Così importante), Silvestri ( Ancora importante), Tiro Mancino ( Per me è importante).

* Arrivati a questo punto, la tentazione sarebbe quella di rinunciare e arrendersi, ripetendo — con Mina — che L’im

portante è finire. Invece sarà bene ribadirlo ancora: con le parole l’importante è variare, riuscire a trovare di volta in volta il sinonimo giusto per ogni diverso contesto.

Le parole sono …

Sia chiaro: nessuno vuole demonizzar­e la parola importante. Importante, per dire, era un aggettivo molto amato da uno scrittore attento alla lingua come Giuseppe Pontiggia. «Per lui compendiav­a “riuscito”, “convincent­e”, “bello”», ha raccontato il suo editor Antonio Franchini. E l’aggettivo era stato usato in pieno Rinascimen­to da Lorenzo de’ Medici proprio per riferirsi alla lingua sua e di Dante, quel fiorentino che sarebbe poi diventato l’italiano: «Forse saranno ancora scritte in questa lingua cose sottili ed im

portanti e degne d’essere lette». Come in molti altri casi, il problema non è la parola in sé, ma l’uso — o l’abuso — che se ne fa. E comunque l’italiano potrebbe forse sopravvive­re senza carino o senza esatto, ma non senza importante. Anche perché, altrimenti, non potremmo più ripetere — magari dopo aver rimprovera­to qualcuno per il suo esprimersi a forza di logori stereotipi – la sacrosanta battuta di Nanni Moretti in Palombella

rossa: «Le parole sono importanti! ».

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