Corriere della Sera - La Lettura
Tutto molto importante
Lessico famigliare Di molti vocaboli facciamo un uso eccessivo e poco attento, che appiattisce la nostra capacità di esprimerci e logora il dizionario. Un rischio che già nell’Ottocento veniva segnalato ma che, con alcuni termini, raggiunge abusi incontro
Tutti, chi più chi meno, tendiamo a usare sempre le stesse parole. Spesso le stesse che sentiamo usare agli altri: parole alla moda. Così — mentre quelle parole perdono specificità e diventano buone per ogni occasione — il nostro lessico tende a rattrappirsi, impedendoci di cogliere e rendere sfumature di tono o di significato. Come è stato ampiamente notato, negli ultimi anni una di queste parole è importante.
Un paio d’anni fa, la Treccani aveva fatto una campagna in cui mostrava le possibili alternative a carino; prima ancora Umberto Eco aveva scritto un articolo intitolato Modi di non dire esatto. Qui proviamo oggi a dimostrare l’importanza di non dire sempre importante. Anche in questo caso, le possibilità sono tante.
Una storia importante
La storia di importante come aggettivo tuttofare comincia, a dire il vero, molto tempo fa. Già nel 1861 (l’anno dell’Unità d’Italia), il giornale umoristico «Pasquino» annoverava la parola tra gli stereotipi giornalistici dell’epoca, accanto a buona
fonte, sicure informazioni e giornale onesto. «Importante — Aggettivo che si appiccica ad un numero infinito di sostantivi. I giornali ministeriali se ne servono in particolar modo quando lodano il governo a proposito di riforme progettate». Nei dizionari ottocenteschi, peraltro, la discussione su importante e i suoi significati era già molto accesa.
Nel suo Dizionario dei sinonimi (1825), l’abate Giovanni Romani contesta la censura dei puristi verso «quegli scrittori che si fecero lecito di usar promiscuamente» gli aggettivi importante e interessante. Dal canto suo, Romani avalla la sovrapposizione tra valere e importare (alla base dell’attuale epidemia di valido) e di conseguenza l’uso di importante «colle significazioni di “grave, di momento, di peso”». Importante, ricorda altrove, «è un attributo che suolsi accordare alle cose di particolare pregio, o valore». La più antica attestazione nella lingua italiana, d’altronde, si trova in un volgarizzamento del Trecento in cui l’aggettivo è usato per tradurre il latino serius: «Alle necessarie cose, e importanti».
* Anche una storia d’amore può essere seria («non sarà un’avventura», come cantava Battisti); una notizia interessante o rilevante; una riforma necessaria o urgente o, se si vuole alzare il tiro, cru- ciale, basilare, essenziale, imprescindibile; una questione saliente, nodale, centrale o addirittura vitale.
Sintomi importanti
Il grafico che riporta le occorrenze della parola nello sterminato archivio di Google libri mostra un primo sensibile/deciso/significativo ( importante) incremento proprio nel periodo che va dagli anni Sessanta dell’Ottocento agli anni Venti del Novecento. È verso la fine dell’Ottocento, ad esempio, che importante comincia a essere usato nel linguaggio medico a proposito di sintomi e patologie.
In anni più vicini, lo ritroviamo in una pagina di Non ti muovere, il bestseller di Margaret Mazzantini che ha per protagonista un medico (vinse lo Strega nel
Valerie Jaudon (Greenville, Mississippi, Usa, 1945), Circa (olio su tela, 2012, particolare), courtesy dell’artista/Von Lintel Gallery, New York
2002). A un certo punto, sua moglie — chiedendogli conto di una telefonata con un presunto paziente — gli chiede ironica: «Un cancro “importante”?». Allora il protagonista osserva: «Ha finito per accettare il mio gergo, per riderci su». Anche se oggi i medici usano sempre più spesso — in questi casi — l’aggettivo severo, ricalcato sull’inglese severe: «La sintomatologia può farsi molto più severa». (Difficile, in proposito, essere indulgenti: ma così passiamo dal dominio dei sinonimi a quello dei contrari).
* Forse, in effetti, ai medici basterebbe dire che un sintomo è grave; una malattia pericolosa; un intervento difficile o impegnativo o rischioso. E più in generale, almeno quando parlano con noi pazienti, rinunciare a simili vezzi gergali che nulla aggiungono in termini di precisione, ma
qualcosa tolgono in termini di empatia.
Very importante
A proposito di inglese, a favorire la fortuna di importante sarà stata anche — nel secondo dopoguerra — l’importazione (l’etimo è sempre quello) della sigla
Vip: « Very Important Person ». È proprio tra la metà del Novecento e i primi anni Duemila, d’altra parte, che la parola conosce di nuovo — sempre stando a Google libri — una notevole/consistente/ considerevole ( importante) diffusione. E già negli anni Novanta del secolo scorso — stando ad altre statistiche — impor
tante risulta uno degli aggettivi tipici dell’italiano parlato, insieme a bello, buono,
bravo, giusto, grosso, vero. Certo: di persone importanti si parlava almeno dal Cinquecento. Ma mai il titolo era stato concesso con larghezza e frequenza tale da far venire in mente la battuta di Andy Warhol sul quarto d’ora di celebrità. Basta pensare alla sostanziale equivalenza tra Il grande fratello Vip e
L’isola dei famosi, o più in generale all’inflazione degli «importanti ospiti» che da tempo affollano un po’ tutte le trasmissioni televisive.
* Se importante va detto — come voleva il Tommaseo — del «soggetto che può sul ben essere umano», diventa difficile definire così buona parte di quegli ospiti. Saranno appunto celebri, famosi, rinomati o almeno conosciuti, a volte potenti o influenti: più di rado autorevoli, insigni, illustri, ragguardevoli o eminenti (come si dice di certi studiosi, anche se oggi l’aggettivo fa venire in mente — più che le eminenze grigie — l’Eminems evocato nelle gag di Luciana Littizzetto).
L’importante è esagerare
È soprattutto in tv che tutto diventa im
portante. Nei servizi dei tg, che — riferendo del terremoto — parlavano di «importanti lesioni» alle case e ai monumenti. Nell’immaginario di certe trasmissioni fatto di marchi importanti, abiti importanti, macchine importanti, cene importanti in ristoranti importanti. Nei commenti calcistici, in cui può essere impor
tante una partita, una squadra, un giocatore, un’azione («il difensore ha eseguito una diagonale importante ») e persino la stessa aria che si respira: «Oggi all’Olimpico si respira un’atmosfera importante ».
L’importante, in fondo, è solo una delle tante declinazioni di quel tono enfatico e urlato che da tempo caratterizza il parlato televisivo: erede o concorrente dei vari fantastico, pazzesco, incredibile. Perché in televisione, per dirla con l’indimenticabile Jannacci, «l’importante è esagerare».
* Anche qui: le lesioni potrebbero essere definite gravi, serie, nella fattispecie profonde ( più in generale, i danni ingenti). Gli abiti si potranno dire eleganti, i marchi prestigiosi (da evitare, pena la ridondanza, sinonimi come rimarcabili o rimarchevoli), le macchine lussuose, i ristoranti raffinati; il patrimonio necessa- rio per fare questa vita cospicuo. Se non si vogliono generare malintesi, invece, è ormai sconsigliabile l’uso di eleganti a proposito di cene: meglio chiamarle for
mali. Venendo al calcio, l’azione del difensore potrebbe essere apprezzabile, ec
cellente, nello specifico anche efficace; magari risolutiva o decisiva per il risultato di una partita: una di quelle partite
memorabili per cui allo stadio si respira un’aria sportivamente solenne.
La cosa che per me è importante
Ma anche le canzoni ci hanno messo del loro. Prima del Ramazzotti di Una
storia importante, c’erano stati Celentano («il problema più importante per noi/ è di avere una ragazza di sera») e i Pooh («ho capito che cos’era importante/ il mio posto è solo là»); Gianni Togni che per la sua luna aveva «progetti più impor
tanti » e il Vasco Rossi di «dici: “Non credo di essere così importante” ». Fino all’esplosione degli ultimi vent’anni, con il famigerato importante che dilaga nei titoli di Arisa ( La cosa più importante), Britti ( Un attimo importante: meglio ancora sarebbe stato un attimino), D’Alessio ( Sei importante), Gazzè ( La cosa più importante: stesso titolo, canzone diversa uscita 4 anni prima), Masini ( Niente d’importante), Meneguzzi ( Più importante), Modà ( L’importante è che stanotte non finirà: la rima è assicurata), Pausi
ni ( Così importante), Silvestri ( Ancora importante), Tiro Mancino ( Per me è importante).
* Arrivati a questo punto, la tentazione sarebbe quella di rinunciare e arrendersi, ripetendo — con Mina — che L’im
portante è finire. Invece sarà bene ribadirlo ancora: con le parole l’importante è variare, riuscire a trovare di volta in volta il sinonimo giusto per ogni diverso contesto.
Le parole sono …
Sia chiaro: nessuno vuole demonizzare la parola importante. Importante, per dire, era un aggettivo molto amato da uno scrittore attento alla lingua come Giuseppe Pontiggia. «Per lui compendiava “riuscito”, “convincente”, “bello”», ha raccontato il suo editor Antonio Franchini. E l’aggettivo era stato usato in pieno Rinascimento da Lorenzo de’ Medici proprio per riferirsi alla lingua sua e di Dante, quel fiorentino che sarebbe poi diventato l’italiano: «Forse saranno ancora scritte in questa lingua cose sottili ed im
portanti e degne d’essere lette». Come in molti altri casi, il problema non è la parola in sé, ma l’uso — o l’abuso — che se ne fa. E comunque l’italiano potrebbe forse sopravvivere senza carino o senza esatto, ma non senza importante. Anche perché, altrimenti, non potremmo più ripetere — magari dopo aver rimproverato qualcuno per il suo esprimersi a forza di logori stereotipi – la sacrosanta battuta di Nanni Moretti in Palombella
rossa: «Le parole sono importanti! ».