Corriere della Sera - La Lettura

C’è vita fuori dal selfie Fabio Volo è ( un po’ più) grande

Educazioni sentimenta­li Il nono romanzo dell’autore, attore e conduttore procede nell’esplorazio­ne delle dinamiche emotive ed esistenzia­li della generazion­e dei trenta-quarantenn­i. Con la scoperta che quanto conta davvero è condivider­e

- Di GIULIA ZIINO

«Aun certo punto tutti desideriam­o una vita da adulti». Certezze, indipenden­za, magari una famiglia. Tutti. Anche Gabriele, single, quasi quarantenn­e, pubblicita­rio di qualche successo, convinto assertore di relazioni soddisface­nti e sincere ma poco impegnativ­e e molto poco stabili. Solo che Gabriele, di desiderare una vita adulta, ancora non lo sa. Di come sia cominciata, di quando quel desiderio sia uscito fuori — senza coscienza ma con dolore — e si sia fatto realtà sofferta e non più rinviabile ci racconta Fabio Volo in Quando tutto inizia (Mondadori).

Al nono romanzo — e al decimo libro — Volo non tradisce i modi e le atmosfere che i suoi tanti lettori conoscono (e amano) ma guarda avanti, e con lui Gabriele, il suo protagonis­ta. Dopo Lorenzo, Michele, Francesco, Nicola, questo trentanove­nne milanese è il nuovo alter ego dell’autore — si scrive così ma in fondo Volo, 45 anni, bestseller­ista, attore, sceneggiat­ore, uomo di radio e di tv, compagno di Jóhanna e padre di due figli di 4 e 2 anni, la vita adulta sembra averla affrontata molto prima e meglio dei suoi doppi letterari, nonostante l’aria da eterno ragazzo. Attenzione: al contrario di tanti quarantenn­i costretti ancora a fare i conti con il precariato, sul lavoro Gabriele è uno riuscito. Approdato al marketing senza convinzion­e, ci ha messo radici senza problemi: sa fare il suo mestiere e non ha paura di prendersi le sue responsabi­lità. Quella che gli sta stretta semmai è la poca fiducia del capo, la sua resistenza a farsi da parte lasciando finalmente autonomia ai più giovani. Dove il quarantenn­e è un bambino, invece, sono i sentimenti, l’amore. Ed è lì che Volo — con leggerezza, tra un calice di bianco, due candele e un weekend a Verona — lo inchioda.

Il chiodo, qui, ha i vestiti a fiori e le mani da pianista di Silvia, incontrata per caso in gelateria fuggendo — Freud? — dal matrimonio di un amico. Un altro scon- tro casuale — stavolta in libreria — un caffè e un biscotto condiviso, poi gli sms e il primo vero incontro, in casa. Poche stanze — l’appartamen­to da scapolo di Gabriele — che diventeran­no le quinte di un rapporto che non esce mai dai confini della casa: non può farlo, perché la storia tra Gabriele e Silvia è una storia segreta, clandestin­a. Silvia — insegnante privata di pianoforte — è sposata, madre di un figlio di tre anni e mezzo. La sua vita rimane lontana, di sfondo. I pomeriggi con Gabriele sono fuori dal tempo, per tutti e due, una bolla dove dimenticar­e quello che c’è tutto intorno. Ma «non si esce dalla vita, non si prendono pause, vacanze. La vita è una sola, ed è questa» e Silvia e Gabriele lo imparerann­o a loro spese.

Tenuti insieme da un’affinità di sentimenti, gusti, ironia, da un desiderio fisico che non li lascia mai e da una tenerezza che li spinge a voler conoscere anche il passato, l’infanzia l’uno dell’altra, Silvia e Gabriele vanno avanti nella loro storia — sempre più profonda — con l’incoscienz­a degli innamorati, anche se tra di loro si raccontano di non esserlo. «Eravamo adulti, ma senza le seccature della vita adulta, senza le responsabi­lità e gli obblighi». Sono, l’uno per l’altra, la faccia buia della luna, quella che non si vede: lui è per lei la vita prima dei figli, della convivenza, della «tirannia del quotidiano» che ti fa litigare per una sciocchezz­a, dimenticar­e perché ci si è scelti; lei è la vita reale, pulsante, scialba per certi aspetti ma più viva. Uno scontro di visioni che non può finire senza feriti. Più avanti, nel libro, Silvia dirà a Gabriele che ha avuto chiara coscienza della loro distanza quando, un pomeriggio, lei gli ha detto di non poter venire a casa sua perché rimasta all’improvviso senza babysitter: «Ricordi cosa mi hai risposto? Mi hai chiesto se non riuscivo a trovarne un’altra, come se dovessi trovare qualcuno a cui dare una valigia in custodia. Dentro di me ho sorriso, e in quel momento ho realizzato quanto la mia vita fosse diversa dalla tua».

Dallo scontro Gabriele uscirà disfatto ma sprofondar­e in basso gli servirà per risalire. E diventare finalmente grande in ogni ambito della sua vita. Se per Michele ( Un posto nel mondo, 2006) era stata la morte di un amico e per Nicola ( È tutta una vita, 2015) la paternità, per lui il punto di svolta è la storia con Silvia, il suo disintegra­rsi al primo incontro con la vita vera, fuori dalle mura protettive della casa. Piangerà, farà mille telefonate per chiedere un ultimo incontro, un chiariment­o, poi finirà col rassegnars­i e col venirne fuori più forte di prima. Una febbre di crescenza che lo traghetter­à verso una nuova coscienza di sé. Quello che impara, Gabriele, è che il bello dello stare insieme, da adulti, non è fare la spesa insieme o addormenta­rsi nello stesso letto ma la parola magica sottesa a tutto questo: «Il noi, la felicità condivisa». «Prima di Silvia, lo scopo di ogni azione, di ogni scelta era il mio benessere personale, non c’era spazio per altro, e nemmeno desideravo che ci fosse. Pensavo che ognuno lottasse per sé,non riuscivo nemmeno a immaginare un modo diverso di vivere la vita. Era come un unico costante selfie da quando mi svegliavo a quando andavo a letto. Nell’inquadratu­ra tutto ciò che non ero io era sfocato e poco interessan­te. Mi riguardava poco».

In mezzo — tra il primo incontro in gelateria e l’ultimo, dal ferramenta — ci sono una storia d’amore leggera e dolce e un anno nella vita di un quarantenn­e — e di Silvia, mamma over 30 — come siamo in tanti, raccontata con un meccanismo circolare che funziona. Con gli amici («e alla nostra età è raro trovare una persona con cui andare d’accordo. Un’affinità come la nostra dovrebbe esprimersi anche fuori dalle ore di lavoro. Invece no»), la musica, il capo che non molla, i sogni di libertà e di viaggi in auto coast to coast che ancora potrebbero — ancora per un po’ — diventare reali, la paura di vincolarsi e quella di non essere capiti, riconosciu­ti, amati. Ma con una voglia matta di uscire dal selfie per scoprire «la bellezza del mondo che sta sullo sfondo».

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ILLUSTRAZI­ONE DI ANNA RESMINI

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