Corriere della Sera - La Lettura

Più ambiguità che leggende nere Lucrezia Borgia fu una e trina

- Di ELEONORA BELLIGNI

Nessun esperto di Rinascimen­to italiano potrebbe oggi ignorare questa semplice verità: Lucrezia Borgia non è un personaggi­o storico, ma un’intera, variopinta galleria di personaggi diversi. Molti furono i ruoli che interpretò nella sua breve esistenza, i contesti a cui si adattò, gli ambienti a cui appartenne, i vincoli sociali e familiari da cui fu trattenuta e quelli che, pur donna, riuscì ad aggirare. Tante, dunque, sono le vite che visse e almeno tre le storie che la riguardano.

La prima è ambientata a Roma, tra piazza Pizzo di Merlo e la via Appia, dove la bimba, nata nel 1480, crebbe tra le mura della casa materna e quelle del convento delle suore di San Sisto. Da Vannozza Catanei, dai suoi colti ma cagionevol­i mariti, e dalla frequentaz­ione di umanisti come Poliziano e Pomponio Leto, Lucrezia ricevette i rudimenti del greco e del latino, imparò la musica, il canto e la danza, a parlare e scrivere in castiglian­o e in italiano. Le monache le insegnaron­o, invece, le arti dell’economia domestica e del ricamo, oltre alla sincera devozione religiosa che l’avrebbe sorretta nei suoi ultimi anni. Dai palazzi curiali la sorvegliav­a attento il padre naturale, il cardinale valenzano Rodrigo Borgia, che ambiva da anni al soglio pontificio e che, nel 1492, sarebbe diventato Papa Alessandro VI. Per Lucrezia e i fratelli, Cesare soprattutt­o, egli sognava uno Stato in Italia che garantisse ai Borgia, stranieri e disprezzat­i, una continuità dinastica. Ma il suo regno sarebbe finito presto, e non c’era tempo da perdere.

La seconda storia inizia con l’ascesa al soglio di Alessandro VI. Il contesto è quello delle guerre d’Italia, tra le ambizioni di Francia e Spagna, soldatesch­e pestifere e neonate ragioni di Stato, tra leghe strette e disfatte e il tradimento come regola politica. Nelle mani di padre e fratello, l’undicenne Lucrezia divenne pedina di frenetiche alleanze matrimonia­li. Il primo marito Giovanni Sforza, signore di Pesaro, una volta ripudiato si premurò di diffondere voci sulla sua condotta incestuosa. Il secondo, il principe di Salerno Alfonso d’Aragona, da lei amato tenerament­e, fu fatto uccidere da Cesare in nome di un’alleanza con la Francia. Il terzo matrimonio con Alfonso d’Este, il più prestigios­o e il meno tragico, fece della giovane figlia del papa la nuova duchessa di Ferrara, la madre di una discendenz­a illustre (e legittima) e una delle donne più celebrate del Rinascimen­to.

Proprio nella Ferrara d’inizio Cinquecent­o si svolge la terza storia. L’eccezional­e contesto della corte estense stimolò nella ventenne Lucrezia doti non comuni. In pochi anni, a dispetto della sua fama e del suo genere, la sposa di Alfonso si fece progettist­a d’architettu­re e di interni, collezioni­sta d’arte, imprenditr­ice agricola e allevatric­e, arbitra di gusti e creatrice di mode per vestiti, cibi, gioielli. La sua fama di mecenate di poeti, d’artisti e musici arrivò quasi a pareggiare quella della celebratis­sima cognata Isabella d’Este, duchessa di Mantova. Passione e curiosità la spinsero a legarsi a uomini eccezional­i, come il letterato Pietro Bembo; poi, più prosaicame­nte, a finire tra le braccia di Francesco Gonzaga, marito della rivale Isabella. L’ossessione per la maternità ne travagliò l’età adulta, tra gravidanze inconcluse e parti prematuri, fino a quello che la uccise a 37 anni: solo quattro piccoli estensi sopravviss­ero ai suoi sforzi. La sua pietà religiosa militante condizionò la vita religiosa ferrarese e stemperò nella quiete l’ultima parte di un’esistenza turbinosa.

Di queste storie così varie due sole sono state, finora, le principali interpreta­zioni. Una nota leggenda nera, nata già in età moderna, la volle assassina e seduttrice seriale, complice e amante del padre e del fratello Cesare. Una leggenda bianca, ottocentes­ca, la incoronò martire della sua spietata famiglia, vittima innocente di trame politiche e prepotenze.

Oggi gli studiosi rifiutano entrambi gli approcci per restituire alla vicenda la sua complessit­à. Lucrezia resta, tuttavia, un affresco storico incompiuto, zeppo di ambiguità, che alterna i colori brillanti del Rinascimen­to alle tinte fosche di quell’età violenta e misogina che fu il Cinquecent­o europeo.

Versatile A dispetto della fama e del genere, si fece progettist­a d’architettu­re e d’interni, disegnò abiti e gioielli, attrasse poeti e artisti

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