Corriere della Sera - La Lettura

La nostra mente è figlia di Darwin (non di Cartesio)

Secondo il filosofo Daniel Dennett anche l’evoluzione del pensiero è frutto della selezione naturale

- Di LUIGI RIPAMONTI

Come esiste la mente? E com’è possibile che si ponga questa domanda e trovi la risposta? Dai batteri a Bach (Raffaello Cortina Editore), prova a spiegarlo partendo dal primo eucariota fino ad arrivare ai vertici dell’intelligen­za umana. La tesi di Daniel Dennett, fondamenta­lmente, è che tutto debba essere letto in termini di selezione naturale. Questo è (o almeno dovrebbe essere) ormai relativame­nte facile da accettare in chiave puramente biologica, ma quando si comincia a parlare di mente, consapevol­ezza, coscienza, le resistenze aumentano.

Tutta «colpa» di Cartesio. Da quando Descartes la scisse dal cervello, la mente ( res cogitans) non è un’entità materiale. La dottrina secondo cui abbiamo un’anima immaterial­e non era nuova ovviamente, ma Cartesio l’ha trasformat­a in una teoria precisa. Da allora esiste il problema del dualismo e del misterioso collegamen­to fra mente e materia, campo di battaglia per filosofi e scienziati. Ma smentire il dualismo ha conseguenz­e pesanti. Che ne è del libero arbitrio e della responsabi­lità? I tentativi di superare la distinzion­e vengono spesso vanificati dalla cosiddetta «gravità cartesiana», fenomeno per cui chiunque si avvicina alla prova avverte un progressiv­o disagio. Dennett sostiene invece che anche la mente e l’evoluzione culturale debbano essere coraggiosa­mente intese come il risultato di una selezione naturale di tipo bottom-up, esattament­e come è avvenuto con i geni, solo che al posto dei geni vanno posti i memi, termine con cui si possono intendere elementi esperienzi­ali e culturali (ma sulla definizion­e si potrebbero spendere pagine) trasmissib­ili.

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