Corriere della Sera - La Lettura
Ogni uomo è un’isola. E anche ogni donna
Valentina Farinaccio fa incontrare un Arturo di morantiana memoria e una Atlantide
«Ho fatto tardi. E l’ho fatto male», si scusa Arturo durante i giorni di convalescenza a cui viene obbligato dopo un’overdose. Era in tram, stava andando da «una ragazza di Roma la cui faccia ricorda il crollo di una diga», quando decise di chiamare il suo spacciatore per una dose che consumò tra i sedili. Quella ragazza, però, nonostante le scuse, si dissolve, come se non fosse mai esistita, nello stesso modo in cui forse sparì l’isola di cui porta il nome: Atlantide.
Arturo, rubato a Elsa Morante; Atlantide, rubata alla leggenda: Valentina Farinaccio in Le poche cose certe sceglie due isole per parlare del mare che ci separa gli uni dagli altri. Un mare che è profondo tanto quanto lo sono le nostre paure, burrascoso quanto lo sono i nostri umori. Un mare che isola prima ancora di collegare. Già dalle prime pagine capiremo che Arturo, il protagonista quarantenne, sente di essere incapace di afferrare le redini della propria vita e si trova quindi costretto a guardarla con angoscia mentre scorre e prende la deriva. Si è convinto che l’unica condizione in grado di offrirgli una certa sicurezza sia l’infelicità che si trascina appresso non come un ergastolano trascinerebbe i suoi ferri, ma come fa Linus con la sua coperta.
Per non rinunciare alla sua vita infelice procede all’autosabotaggio: boicotta il suo appuntamento con Atlantide e fa in modo che questo fallimento diventi immagine di sé stesso; intossica il suo corpo; manda in frantumi una relazione salvifica per il capriccio di una sera. L’autrice — qui al secondo romanzo, il primo è stato La strada del ritorno è sempre più breve (Mondadori, 2016) — crea un nipote per quello Zeno che sosteneva di voler smettere di fumare ma che ogni volta riaccen- deva la sua ultima sigaretta. Arturo potrebbe essere un rappresentante della categoria degli inetti contemporanei: dalla sua isola guarda le altre ed è convinto, senza aver mai tentato, di non poterle raggiungere a causa della sua inadeguatezza. Una convinzione che non deriva da un trauma, dal momento che «è cresciuto senza un buon motivo per star male», e quindi un nonmotivo che rende questo personaggio con le sue occasioni mancate e i suoi sbagli fatti di proposito vicino ai lettori e alle vite di quotidiana normalità. Prima della fine del romanzo, però, Farinaccio mostrerà come