Corriere della Sera - La Lettura
L’arte agricola (e politica) che fa rinascere Palermo
Capitale italiana della cultura, il capoluogo siciliano ospita (dal 16 giugno al 4 novembre) la dodicesima edizione di Manifesta, biennale nomade europea dedicata alla creatività contemporanea. Cinquanta protagonisti, venti sedi, un tema: «Il Giardino Pla
Dall’oratorio di Santa Chiara, nel quartiere di Ballarò, sabato 16 partirà la sion Palermo Proces
di Marinella Senatore: migranti e majorette, la cittadinanza che si fa «attiva» con un’installazione multimediale. A Palazzo Costantino, bellissimo e in rovina, venerdì 15, arriverà il nigeriano Jelili Atiku con il Festival of the earth e stavolta a sfilare saranno zucche e sculture. Nell’atrio della storica dimora, l’architetto Roberto Collovà racconta lo scempio edilizio della costa sud della città, «usata come discarica di detriti». All’Orto Botanico, «da cui è nato l’intero concetto curatoriale», sta prendendo vita Foreign Farmers di Leone Contini: «Siamo tutti abitanti di un tempo straniero, siamo tutti agricoltori stranieri». A Palazzo Forcella De Seta l’olandese Patricia Kaersenhout ha creato una montagna di sale, una videoinstallazione ne spiega il significato, nelle immagini un gruppo di rifugiati intona un antico canto degli schiavi, evidenziando il legame tra oppressi del passato e rifugiati di oggi. Quel sale «benedetto» (da una sorta di sciamano) domenica 17 sarà distribuito durante una performance. Arte ibrida in città, la periferia d’Europa diventa centro del mondo, hub di uomini, piante, creatività.
A Palermo sta per cominciare la dodicesima edizione di Manifesta, biennale nomade europea (dal 16 giugno al 4 novembre) di arte e cultura contemporanea: cinquanta protagonisti, venti sedi, un tema:
Coltivare ne creativa. la coesistenza. Messaggio Il Giardino politico, Planetario. espressio-
Lavori in corso: architetti, scultori, videomaker di ogni nazionalità «occupano» palcoscenici dismessi (come il Teatro Garibaldi, quartier generale della manifestazione), palazzi disabitati con vista spettacolare sul mare, quartieri centralissimi e altri simbolo di degrado e illegalità. Gli artisti si mescolano a turisti e immigrati — altro che città arabo-normanna, ora si dovrebbe dire indocino-africana — provando a decodificare l’Europa, le sue emergenze, le sue bellezze «in un mondo mosso da reti informative invisibili, interessi privati transnazionali, intelligenza algoritmica, processi ambientali e ineguaglianze in costante aumento».
Punto (filosofico e geografico) di partenza, l’Orto Botanico cittadino, fondato nel 1789, dove nulla è indigeno: le piante straniere sono integrate nel paesaggio, lo coabitano, lo trasformano. Da questo concetto si sviluppa il progetto curatoriale di Manifesta, ispirato dal «Giardino Planetario» del botanico Gilles Clèment (che per Manifesta, in collaborazione con lo studio Coloco, ha ideato un giardino urbano nel quartiere Zen e coinvolto la collettività nella cura dello spazio): facendosi «giardinieri» gli uomini riconoscono la propria dipendenza dalle altre specie e affrontano i cambiamenti climatici, temporali e sociali in corso.
«Il giardino non è una metafora — sottolinea uno dei quattro creative mediator della manifestazione, Ippolito Pestellini Laparelli, che ha preparato il percorso di Manifesta partendo dallo studio urbano Palermo Atlas — ma un modello». Non di spazio definito e controllabile, ma di confronto in un comune sforzo di responsabilità. Da questo approccio multidisciplinare — architettura, design, scienza, geografia, cinema, teatro, antropologia, visual art — sono nate decine di collaborazioni con la città: «Tutti i nuovi progetti realizzati dagli artisti per Manifesta 12 sono frutto di un lungo lavoro in sinergia con la realtà locale», sottolinea Maria Chiara Di Trapani, coordinatore curatoriale della rassegna. «Abbiamo scelto di essere radicalmente locali» collaborando soprattutto con scuole e università: il team dell’Education hub da mesi incontra gli studenti, i bambini e le famiglie, spiega obiettivi e natura dei progetti artistici a una popolazione spesso diffidente, «ma solo all’inizio». Rossella Pizzuto coordina l’area Education della rassegna, un vecchio bus dismesso trasformato dagli universitari raggiungerà «chi da noi non vuole venire». Non nasconde la soddisfazione: «Per me che sono palermitana — dice — è una gioia poter interagire con il territorio, costruire percorsi nuovi, destinati a durare nel tempo».
Città laboratorio, centro di produzione culturale, di partecipazione politica e civile, crocevia di tre continenti. L’energia si avverte. Nell’anno di «Palermo Capitale italiana della cultura» si aprono mostre e spazi espositivi; oggi (domenica 10) si conclude con successo il festival «Una marina di libri»; le piazze diventano set (in questi giorni si sta girando Momenti di trascurabile felicità di Daniele Luchetti con Pif e il nuovo film di Luciano Manuzzi; i turisti (che evitano Egitto e Tunisia e scelgono la Sicilia) inondano le strade; i tassisti celebrano «il venerdì dei francesi» recuperandoli all’aeroporto; intellettuali olandesi e belgi, attratti dal clima e dai prezzi, si sono trasferiti qui. Se è presto parlare di rinascita, qualcosa sicuramente si muove.
Cooking Sections è un collettivo londinese formato da Daniel Fernández Pascual e Alon Schwabe. Per Manifesta i due artisti hanno realizzato What Is Above Is What Is Below, ricerca sulle tecniche agricole tradizionali siciliane che consentono la coltivazione senza irrigazione, permettendo alle piante di sopravvivere anche in condizioni di siccità. Con gli agronomi dell’Università di Palermo, nel giardino pensile della chiesa dello Spasimo hanno ri- prodotto intorno agli agrumi un giardino pantesco, tipica struttura che consente alle piante di trattenere l’umidità. Solo che invece delle pietre hanno usato blocchi laterizi forati. I belgi Rotor hanno realizzato un percorso panoramico a Pizzo Sella, promontorio devastato dal cemento, simbolo del «Sacco di Palermo» degli anni Cinquanta, offrendo nuovi punti di vista e nuove prospettive sul rapporto tra uomo e paesaggio. All’Orto Botanico si sviluppa il tema vita delle piante, della natura che cresce nonostante l’uomo, della «tossicità»: oltre il muro del grande giardino c’è ancora lo scheletro del gasometro, i pompelmi selvatici (e non commestibili) che nascono intorno alle vasche di raffreddamento sono zeppi di metano e tremendamente rigogliosi, una struttura mobile consentirà ai visitatori di vedere cosa succede nell’ex impianto, dove la vegetazione mutante ha di nuovo trasformato lo scenario. «In questo senso — continua Pestellini Laparelli — parliamo di visione post antropocentrica della natura. Nonostante noi, il regno vegetale si adatta e trova soluzioni». Come la cucuzza che «si avviticchia alle sue omologhe coltivate da agricoltori migranti nel palermitano, in Toscana o nella Pianura padana...». Con la sua pergola ibrida Leone Contini dimostra proprio questo: «L’acclimatazione non è più un fatto imposto all’interno del rapporto di potere coloniale ma un processo naturale». Ogni nuovo ortaggio ha un cartellino con il nome scritto in cinese, in arabo, in tamil.
Piante transgeniche, malate, meravigliose. Quelle finte di Alberto Baraya, con il suo Herbarium artificiale, e quelle in miniatura, come la foresta carbonifera di Michael Wang.
La natura in trasformazione. Per una rassegna che non vuole essere un insieme di mostre ma un centro di studio e osservazione del mondo partendo da Palermo,
snodo fondamentale di flussi, persone, dati, merci, specie animali e vegetali, traffici illeciti. Su scala locale e globale. E interdisciplinare, come dimostrano i campi di studio e conoscenza dei quattro curatori: Pestellini è architetto come Andrés Jaque, Bregtje van der Haak documentarista, Mirjam Varadinis storica dell’arte. «Sempre per questo motivo abbiamo invitato non solo artisti, ma attivisti, scrittori, scienziati».
Ci vogliono sei anni (e 6,4 milioni di euro) per realizzare una biennale come quella di Palermo. Sei anni per individuare il luogo giusto, per prendere contatti con le istituzioni, con la cittadinanza. Per fare di Manifesta un incubatore socio-culturale indipendente e autorevole. La mente di tutto questo processo è la fondatrice della manifestazione, l’olandese Hedwig Fijen. «I grandi temi di oggi — racconta — sono l’immigrazione, il cambiamento climatico, la disintegrazione dell’Europa, la criminalità. Palermo ci sembrava il luogo più adatto per affrontare certe questioni, ma prima abbiamo dovuto entrare nel tessuto della città — il 70 per cento dello staff è composto da palermitani — conquistare la fiducia di amministrazione e cittadini conservando la nostra voce critica, autonoma. In questo modo l’arte diventa politica».
Manifesta sta per partire, da giovedì sono in programma feste, incontri, happening per un finesettimana di performing art (il 14 appuntamento con Laura Poitras, regista premio Oscar 2015 per il miglior documentario con Citizenfour, che incontrerà gli studenti del Centro di cinematografia al Teatro Garibaldi). Palazzi inaccessibili saranno aperti al pubblico dopo decenni, l’aspettativa è alta, come il ritmo di lavoro. Eppure il pensiero va già oltre i primi giorni della biennale: «Nostro obiettivo — conclude Hedwig Fijen — è ispirare la comunità al cambiamento, aiutarla a prendere possesso della città. Non è facile, e spesso il processo è molto lungo. Ma è la migliore eredità che Manifesta possa lasciare».