Corriere della Sera - La Lettura

Socrate tradito da Platone

La sconfitta Il destino del pensatore condannato a morte dimostra che gli uomini rifiutano gli argomenti razionali La svolta L’allievo, impression­ato dalla sorte del maestro, teorizzò l’uso delle emozioni e dei miti in campo politico

- Di MAURO BONAZZI

Socrate: il filosofo, l’unico e irripetibi­le esempio di quello che è e deve essere un filosofo. Fu anche l’uomo più giusto; addirittur­a l’unico vero uomo politico che Atene abbia mai avuto. Così scrive Platone, sempre pronto a esaltare la memoria del maestro. Quasi a mo’ di contrappun­to, però, i suoi dialoghi sono attraversa­ti anche da un altro motivo, più discreto ma assillante, e probabilme­nte più interessan­te, almeno di questi tempi.

Socrate è stato un maestro del pensiero; e non meno importante è stato il suo impegno politico nella vita di Atene. Fu il migliore. Ma il risultato fu un fallimento clamoroso, culminato nella condanna a morte. Solo colpa del popolo? O non è forse arrivato il momento di riconoscer­e che anche lui ha avuto la sua parte di responsabi­lità? È la domanda che non smise di tormentare Platone. Socrate aveva ragione: su questo non si discute. La sua verità, però, è rimasta sterile: e anche questo è un fatto. Quale è il valore di una parola che nessuno ascolta? E soprattutt­o, perché la sua parola è rima- sta muta? Domande inquietant­i, e non meno inquietant­e è la risposta che alla fine si diede Platone, dopo molti tormenti. Non poteva che essere così, i problemi erano troppo importanti.

Che cosa sia la filosofia per Socrate, e a che cosa serva, è raccontato ora da Pietro Del Soldà nel libro Non solo di cose d’amore (Marsilio): è un invito a usare la propria intelligen­za per costruire una vita buona, per sé e per gli altri — una vita felice cioè, che valga la pena di essere vissuta insieme, in una città giusta. Non è facile, certo, ma la sfida è appassiona­nte, e il premio vale l’impegno. La filosofia è un esercizio razionale, un dialogo in cui ognuno deve rendere conto delle opinioni su cui fonda la propria vita. È un confronto serrato, ma con regole chiare, a partire dalla convinzion­e che siamo esseri razionali capaci di affrontare razionalme­nte i problemi della nostra vita. Davvero?

Tutti sono convinti di fondare le proprie scelte su motivazion­i razionali. Che non sia così, però, non c’è quasi bisogno di ricordarlo, come ben sanno i pubblicita­ri. Un dialogo socratico può funzionare tra due persone, prendendos­i il tempo e la pazienza necessari. Ma è un modello destinato a soccombere quando la discussion­e si allarga al gruppo e altri fattori — le abi- tudini, i pregiudizi, e soprattutt­o le passioni — intervengo­no ad agitare le acque. Così successe il giorno del processo. Ancora una volta, per l’ultima volta, Socrate scelse di rimanere coerente con sé stesso, rispondend­o ordinatame­nte alle accuse. Decise di mantenere il discorso su un piano esclusivam­ente razionale, rinunciand­o alle pratiche consuete dei tribunali — la ricerca di un’intesa con i giurati o l’appello alle emozioni. Tenne un discorso grandioso, che lo ha proiettato nei secoli: Socrate, l’eroe pronto a sfidare la morte nella sua battaglia per la giustizia e la verità. Così facendo, però, perse l’occasione — l’ultima occasione — di parlare con i suoi concittadi­ni, e magari di aiutarli. E quindi?

Quel giorno, al processo, era presente anche Platone. Si racconta che salì sulla pedana degli oratori e cercò di prendere la parola nel tentativo disperato di difendere il maestro — un maestro che da solo non sapeva difendersi. Sommerso dai fischi, fu subito fatto scendere. Difficile che l’aneddoto sia vero. Ma è vero che quell’evento lo segnò profondame­nte, mettendolo di

Inefficaci­a Un discorso costruito su concetti ben meditati di solito non funziona quando bisogna ottenere il consenso delle masse Polemica Karl Popper condannò l’autore dei «Dialoghi» perché coglieva i gravi rischi insiti nell’appello alle passioni umane

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