Corriere della Sera - La Lettura
Socrate tradito da Platone
La sconfitta Il destino del pensatore condannato a morte dimostra che gli uomini rifiutano gli argomenti razionali La svolta L’allievo, impressionato dalla sorte del maestro, teorizzò l’uso delle emozioni e dei miti in campo politico
Socrate: il filosofo, l’unico e irripetibile esempio di quello che è e deve essere un filosofo. Fu anche l’uomo più giusto; addirittura l’unico vero uomo politico che Atene abbia mai avuto. Così scrive Platone, sempre pronto a esaltare la memoria del maestro. Quasi a mo’ di contrappunto, però, i suoi dialoghi sono attraversati anche da un altro motivo, più discreto ma assillante, e probabilmente più interessante, almeno di questi tempi.
Socrate è stato un maestro del pensiero; e non meno importante è stato il suo impegno politico nella vita di Atene. Fu il migliore. Ma il risultato fu un fallimento clamoroso, culminato nella condanna a morte. Solo colpa del popolo? O non è forse arrivato il momento di riconoscere che anche lui ha avuto la sua parte di responsabilità? È la domanda che non smise di tormentare Platone. Socrate aveva ragione: su questo non si discute. La sua verità, però, è rimasta sterile: e anche questo è un fatto. Quale è il valore di una parola che nessuno ascolta? E soprattutto, perché la sua parola è rima- sta muta? Domande inquietanti, e non meno inquietante è la risposta che alla fine si diede Platone, dopo molti tormenti. Non poteva che essere così, i problemi erano troppo importanti.
Che cosa sia la filosofia per Socrate, e a che cosa serva, è raccontato ora da Pietro Del Soldà nel libro Non solo di cose d’amore (Marsilio): è un invito a usare la propria intelligenza per costruire una vita buona, per sé e per gli altri — una vita felice cioè, che valga la pena di essere vissuta insieme, in una città giusta. Non è facile, certo, ma la sfida è appassionante, e il premio vale l’impegno. La filosofia è un esercizio razionale, un dialogo in cui ognuno deve rendere conto delle opinioni su cui fonda la propria vita. È un confronto serrato, ma con regole chiare, a partire dalla convinzione che siamo esseri razionali capaci di affrontare razionalmente i problemi della nostra vita. Davvero?
Tutti sono convinti di fondare le proprie scelte su motivazioni razionali. Che non sia così, però, non c’è quasi bisogno di ricordarlo, come ben sanno i pubblicitari. Un dialogo socratico può funzionare tra due persone, prendendosi il tempo e la pazienza necessari. Ma è un modello destinato a soccombere quando la discussione si allarga al gruppo e altri fattori — le abi- tudini, i pregiudizi, e soprattutto le passioni — intervengono ad agitare le acque. Così successe il giorno del processo. Ancora una volta, per l’ultima volta, Socrate scelse di rimanere coerente con sé stesso, rispondendo ordinatamente alle accuse. Decise di mantenere il discorso su un piano esclusivamente razionale, rinunciando alle pratiche consuete dei tribunali — la ricerca di un’intesa con i giurati o l’appello alle emozioni. Tenne un discorso grandioso, che lo ha proiettato nei secoli: Socrate, l’eroe pronto a sfidare la morte nella sua battaglia per la giustizia e la verità. Così facendo, però, perse l’occasione — l’ultima occasione — di parlare con i suoi concittadini, e magari di aiutarli. E quindi?
Quel giorno, al processo, era presente anche Platone. Si racconta che salì sulla pedana degli oratori e cercò di prendere la parola nel tentativo disperato di difendere il maestro — un maestro che da solo non sapeva difendersi. Sommerso dai fischi, fu subito fatto scendere. Difficile che l’aneddoto sia vero. Ma è vero che quell’evento lo segnò profondamente, mettendolo di
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