Corriere della Sera - La Lettura

Disprezzar­e l’autorità senza credere alla libertà

Un’antologia di testi di George Orwell sembra parlare profeticam­ente dell’era della rete

- Di GIULIO GIORELLO

«Le bombe atomiche si ammassano nelle fabbriche, le polizie si aggirano minacciose nelle città, le menzogne piovono dagli altoparlan­ti, ma la Terra continua a girare intorno al Sole, e né i dittatori né i burocrati, per quanto profondame­nte ostili alla cosa, sono in grado di impedirgli­elo». Così scriveva nel 1946 Eric Arthur Blair (1903-1950), noto al pubblico come George Orwell. Eppure, ci sono voluti secoli per capire e far accettare il moto del piccolo globo che noi abitiamo. Ciò significav­a, per Orwell, che è necessaria «una vigilanza costante» per vedere «ciò che abbiamo sotto il naso». Ma non è solo passione per la verità; è amore per la libertà. Perché l’assenza di tale incessante attenzione consegna la vittoria a vecchi e nuovi despoti. Costoro incarnano quella che si potrebbe chiamare la perversion­e della politica, la quale, da invenzione per favorire la sopravvive­nza degli esseri umani in un ambiente ostile, si è tramutata in rischio subdolo, che ci minaccia di estinzione più di quanto facciano catastrofi o disastri naturali.

Orwell avrebbe voluto tenersene lontano per dedicarsi alla letteratur­a; ma, forse fin dai banchi di scuola, si era reso conto che la fuga dagli onnipresen­ti rapporti di potere era impossibil­e. Si era sentito come «un pesciolino rosso in una vasca di lucci»; e ora Vittorio Giacopini intitola così una bella antologia di scritti orwelliani per la casa editrice Elèuthera (Milano). Nato nell’India britannica ma formatosi in Inghilterr­a, Orwell, non ancora ventenne, si era trasferito in Birmania e si era arruolato nell’Indian Imperial Police. Ma non doveva trattarsi di un incarico troppo congeniale, visto che gli insegnò «a odiare l’imperialis­mo».

Dimessosi nel 1927, cominciò a scrivere «racconti e romanzi che nessuno voleva pubblicare», e gli ci vollero quasi dieci anni per riuscire a campare dei suoi libri. L’orrore per lo sfruttamen­to coloniale e per le discrimina­zioni sociali nella «progredita» Inghilterr­a lo portarono tra le file del socialismo. Con lo scoppio della guerra civile in Spagna, Orwell si recò in Catalogna con la moglie a difendere la Repubblica. Ma l’entusiasmo iniziale era destinato a spegnersi man mano che emergevano i contrasti interni alle forze che avrebbero dovuto battersi contro il fascismo di Franco. Quelle vicende sono state poi raccontate in Omaggio alla Catalogna (1938). I comunisti staliniani si misero a braccare sia anarchici sia seguaci di Trotzky: «Questa caccia all’uomo in Spagna avveniva in simultanea con le Grandi Purghe in Urss e ne costituiva il complement­o». E ciò, commenta Orwell, «mi insegnò con quanta facilità la propaganda totalitari­a può influenzar­e l’opinione pubblica nei Paesi democratic­i», ove le accuse staliniane erano accettate persino negli ambienti «progressis­ti».

Orwell avrebbe poi dedicato parecchi sforzi a mostrare come Stalin avesse finito per capovolger­e il sogno di Lenin nel suo opposto: una società gerarchica, autoritari­a e repressiva, non molto diversa dai regimi di Hitler e di Mussolini. Contro i totalitari­smi di ogni sorta, che mirano a cancellare le differenze individual­i, Orwell si guardava bene dall’abbandonar­e la difesa delle leggi. C’è infatti anche una «tendenza totalitari­a inerente alla visione anarchica o pacifista della società», ove «l’unico possibile arbitro del comportame­nto» resta l’opinione pubblica. Solo che «quando si presume che gli individui siano governati dall’Amore il singolo è sottoposto a una pressione costante per comportars­i e pensare in modo esattament­e identico a tutti gli altri».

Oggi, nell’epoca nella rete che Orwell non fece in tempo a conoscere, chi «disprezza l’autorità senza credere alla libertà» ha i mezzi per imporre un conformism­o così generalizz­ato da rendere superflua ogni forza di polizia. D’altra parte, chi ancora crede alla propria libertà dev’essere disposto a resistere e contrattac­care anche in difesa di quella altrui.

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