Corriere della Sera - La Lettura
Birillo non ha più carte da giocare ma Sergio Endrigo non merita l’oblio
Se non avessi incontrato personalmente Sergio Endrigo, proprio a una presentazione di Quanto mi dai se mi sparo?, avrei fatto ancor più fatica ad attribuirgli l’ironia di questo romanzo. Il cantautore di Pola, autore di Aria di neve e Io che amo solo te, conserva la sua poetica malinconica vestendo i panni del collega Joe Birillo, «vecchio di cuore» e fiaccato da una gloriosa carriera che non interessa più a nessuno, ma sa farsi feroce tratteggiando quell’ambiente che non riconosce più. Gli impresari «mercanti di carne umana», indispensabili «come le agenzie per le colf filippine»; i colleghi che non firmano autografi poiché diseducativi per il popolo, mentre «i soldi no, quelli si prendono»; il discografico che «io di musica non capisco un accidente», ma «la carta igienica ha venduto sempre, con i suoi alti e bassi»; i diktat delle mode, della televisione che «nel bene e nel male, aveva cancellato tutto». È fuori tempo massimo, Birillo, non ha più carte da giocare, forse l’ultima; contratta il suo suicidio, la messa in scena della morte reale: «Se mi ammazzassi, quanti dischi venderesti»? Uscito in 500 copie nel 1995 per la Monaflat SA, una piccola casa editrice svizzera, fu riproposto nel 2004 da Stampa Alternativa e attende oggi un rilancio. «Una metafora azzeccata e pungente», ha scritto Gianni Minà, «un tentativo non banale di raccontare le miserie artistiche attuali della canzone italiana, la sua maleducazione dovuta a un’orda barbarica di note imposte dalle multinazionali». Il finale è a sorpresa, Endrigo non merita l’oblio di Birillo: neppure in versione narratore.