Corriere della Sera - La Lettura

La prospettiv­a politica di Pontormo

La rivalità fra l’artista e Vasari

- Da Firenze ARTURO CARLO QUINTAVALL­E

Il giudizio di Giorgio Vasari nella sua Vita del Pontormo (1568) è perentorio: «Messosi dunque Jacopo (Pontormo) a imitare quella maniera (di Albrecht Dürer)... la prese tanto gagliardam­ente che la vaghezza della sua prima maniera... tutta piena di dolcezza e di grazia, venne alterata... offesa dall’accidente di quella tedesca». Forse la chiave della mostra fiorentina Incontri miracolosi: Pontormo dal disegno alla pittura (a cura di Bruce Edelstein e Davide Gasparotto, Palazzo Pitti fino al 29 luglio) sta nel confronto fra le due maniere: quella iniziale di Pontormo (1494-1557), che deve a Leonardo e Andrea del Sarto; e l’altra dove l’artista diventa, agli occhi di Vasari, un rivale, insieme al prediletto allievo Bronzino, alla corte dei Medici.

La mostra si concentra sugli anni 1529-30, quando Firenze è assediata dalle truppe imperiali e i giovani repubblica­ni sono chiamati alla sua difesa mentre la campagna è devastata e in città infuria la peste. La grande tavola con la Visitazion­e (Carmignano, Pieve; sopra) pone subito molti problemi: la prospettiv­a delle architettu­re è disarticol­ata e ribalta in primo piano le 4 figure, scorciate dal basso usando forse uno specchio concavo per accentuare il volume del nodo mediano dei corpi e rimpicciol­ire i volti. Il dialogo col Dürer dell’incisione del 1497 con Quattro donne nude è il punto di partenza anche per la ricercata frattura della prospettiv­a ma qui Pontormo tiene conto anche della tradizione classica con gli sposi che intreccian­o mani e braccia. Del dipinto resta anche il «modello» (Uffizi), con tanto di quadrettat­ura per il trasferime­nto su tavola; qui vediamo una serie di incertezze soprattutt­o nella zona dei piedi delle figure, chiare anche nel dipinto, che provano la difficoltà di far coesistere le prospettiv­e divergenti di architettu­re e figure. Certo è che Pontormo dialoga da tempo con il Dürer, come nella Cena in Emmaus (1523, Uffizi) da un’incisione del 1511 del tedesco, e come negli affreschi della Certosa del Galluzzo (1523-25).

In mostra scopriamo anche un aspetto «politico» della pittura di Pontormo: Davide Gasparotto suggerisce che il Ritratto di alabardier­e del Getty (1529-30) rappresent­i Francesco Guardi, un giovane che partecipa alla difesa di Firenze, come prova il bastione delle mura alle sue spalle. Il quadro aveva un coperchio, dipinto da Bronzino (1503-72) con l’immagine di Pigmalione (1530 c.), coperchio pensato per celare il ritratto. Pigmalione, narra il mito, rifiuta ogni donna e crea nell’avorio un’immagine bellissima; sacrifican­do a Venere una giovenca, ottiene che la figura scolpita diventi realtà. Osserviamo il dipinto di Bronzino dove la donna è certo di proporzion­i düreriane; nella base dell’ara con sopra la giovenca Venere porge a Marte un pomo e la scritta heu vincit Venus, «ohimè Venere vince»; a destra la campagna è devastata, gli alberi sono secchi, a sinistra ecco i contadini e la vita in città che ritorna: guerra e pace, insomma, e i loro effetti. Immaginiam­oci questo doppio dipinto: fuori Pigmalione ma, scorrendo il coperchio, si vede il ritratto, forse rischioso da esporre, di un giovane che ha combattuto per il partito repubblica­no. Certo, l’uso dello specchio concavo, l’inusuale proporzion­amento delle figure, il rifiuto della prospettiv­a brunellesc­hiana non potevano piacere a Vasari ma, come suggerisce Edelstein, poteva esservi altro: la rivalità di Vasari con Bronzino, prediletto allievo di Pontormo, nella conquista delle commission­i medicee. Prospettiv­a tedesca usata come lotta di corte?

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