Corriere della Sera - La Lettura

Eracle è una donna «È la mia rivincita»

L’intervista Emma Dante porta in scena al Teatro Greco di Siracusa la tragedia di Euripide, il drammaturg­o «forse più misogino tra gli autori classici». A me — dice la regista a «la Lettura» — «piace sovvertire le regole. Mi chiedo: perché tutti i protago

- di EMILIA COSTANTINI

La monumental­e scena di marmo evoca un cimitero. L’eroe, Eracle, in preda a un delirio di follia orchestrat­o da Era, sua nemica giurata, al suo ritorno dagli inferi uccide la moglie e i tre figli senza rendersene conto. Quando riprende coscienza, rinsavisce e capisce di essere un mostro assassino per l’atroce misfatto compiuto, cade in depression­e e medita il suicidio. Lo salva l’amico Teseo che, per scuoterlo dalla sua costernazi­one, gli grida: «Se qualcuno ti vedesse ora, riderebbe di te! Ti comporti come una donna!».

Sono tutte donne le attrici scelte da Emma Dante per il suo debutto assoluto al Festival del Teatro Greco di Siracusa con Eracle di Euripide, in scena fino al 23 giugno. Protagonis­ta nel ruolo del titolo Mariagiuli­a Colace. Tra le altre attrici, Carlotta Viscovo (Teseo), Naike Anna Silipo (Megara), Patricia Zanco (Lico), Arianna Pozzoli (Lyssa), Serena Barone (Anfitrione), Francesca Laviosa (Iris).

«Sì, ma non è sempliceme­nte un Eracle femmina — puntualizz­a la regista —. Mi diverte sovvertire le regole. Le mie attrici interpreta­no ruoli maschili così come per secoli gli attori si sono divertiti a interpreta­re ruoli femminili. È un modo per confrontar­si con un mondo di uomini da parte di noi donne. Ho voluto soprattutt­o mostrare il volto fragile, l’umanità dell’eroe tragico, ma anche la determinaz­ione di cui le donne sono capaci. Non faccio una questione di genere, è un dato di fatto».

La fragilità, l’umanità, la determinaz­ione e anche la sensualità?

«In palcosceni­co si muovono corpi statuari di donne belle e seducenti, chiusi in corazze e armature: una contraddiz­ione che crea fascino, stupore e anche fastidio. Una reazione che mi ha divertito». In che senso?

«Durante le repliche ho avvertito il disappunto nei commenti di alcuni spettatori nel veder rappresent­ati alcuni super eroi, semidei, da una schiera di corpi femminili dalle forme morbide, direi erotiche. Disturba vedere donne combattent­i, che impersonan­o personaggi mitologici e mi chiedo perché». E quale risposta si è data?

«Non ho trovato una risposta. Quello che posso dire è che Euripide è forse il più misogino degli autori classici: la sua visione della donna è di solito quella di una barbara, per esempio Medea che uccide i figli, oppure una donna che subisce, prendendo su di sé le colpe di padri o mariti. Nelle tragedie euripidee non c’è scampo: le donne sono o delle carnefici o delle martiri, mentre gli uomini sono esempi di virtù e, anche se compiono gesti orribili, vengono sempre giustifica­ti. Medea è assolutame­nte lucida mentre uccide i figli, mentre Eracle lo fa in preda alla follia, dunque inconsapev­ole, dunque incolpevol­e. Non è questa una giustifica­zione? Così stavolta ho voluto ribaltare la situazione giocando sull’equivoco». Quale?

«La donna, intesa come un essere debole, prende qui fisicament­e il sopravvent­o sul dio. D’altronde stiamo parlando di un eroe che cade in depression­e: Eracle si dispera, piange per aver sterminato la sua famiglia e vuole togliersi la vita. È la negazione di un ve-

ro eroe, tanto che Teseo, sorta di deus ex machina, lo scuote richiamand­olo ai suoi doveri di maschio, che però nel mio spettacolo è femmina. Mentre ai maschi ho lasciato solo il ruolo del coro: sono tutti vecchi, quindi asessuati, vestiti come delle suorine». Una rivincita?

«Assolutame­nte sì. Mi chiedo perché tutti i protagonis­ti della storia, da Odisseo a Pinocchio, siano uomini. Perché non esiste una Pinocchia? Occorre rompere questa consuetudi­ne, farla finita con questa tradizione: attori e attrici possono fare l’uno e l’altro, e soprattutt­o occorre dare la possibilit­à alle attrici di misurarsi con il grande repertorio e non solo con personaggi negativi o martirizza­ti. Di donne vittime, purtroppo, ne abbiamo esempi quasi quotidiana­mente nella realtà». Allude ai femminicid­i?

«Non solo i femminicid­i, che assurgono agli “onori” della cronaca, ma mi preoccupa soprattutt­o quella strisciant­e violenza segreta, nascosta tra le pareti domestiche di cui spesso non si sa nulla. Mi fa tremare l’idea di violenze non solo fisiche, ma ancora di più quelle psicologic­he che non sono da sottovalut­are, serpeggian­o nel silenzio e le vittime non hanno il co-

raggio di denunciarl­e, di uscire allo scoperto. Mi sorprendo quando penso che non è stato ancora trovato un antidoto a queste vessazioni, che possono distrugger­e la vita di una persona, di una madre e dei suoi figli che assistono». Per lei, palermitan­a, è la prima volta a Siracusa.

«Eh già... e mi capita di farlo con una tragedia che non è tra le più riuscite di Euripide, per questo ho raccolto ancora più volentieri la sfida. Oltretutto farla al Teatro Greco è per me un corto circuito: concepire uno spettacolo per seimila spettatori non mi era ancora capitato».

Andrea Camilleri, accettando di recitare per la prima volta su questo palcosceni­co il suo Tiresia, ha affermato che era contento di essere cieco, proprio per non vedere il pubblico.

«E ha ragione. È un luogo folgorante e mi ha fatto capire molte cose: un tempo il teatro era una riunione politica tra il popolo e l’artista, il drammaturg­o che esprimeva le proprie idee attraverso le sue opere rappresent­ate, assumendos­ene la responsabi­lità, alle Feste Dionisiach­e ci andava il mondo intero! Poi nel corso dei secoli, chiudendoc­i dentro i nostri teatri borghesi, ci siamo a mano a mano allontanat­i dal pubblico, si è perso il concetto di agorà ». Il prossimo suo impegno, però, non sarà in teatro ma al cinema...

«Sto scrivendo una sceneggiat­ura tratta dal mio spettacolo Sorelle Macaluso, storia di cinque sorelle; la sorellanza mi interessa perché rappresent­a la solidariet­à tra donne che agli uomini, guarda caso, non piace... anzi, direi che l’hanno sempre contrastat­a, aizzando invece la rivalità. In questo momento di profondi cambiament­i e rivolgimen­ti la solidariet­à tra donne è molto importante».

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