Corriere della Sera - La Lettura
Millennials ragioni per (non) morire
Incontri Vedete i giovani attori qui a fianco? Al regista bosniaco Haris Pašovic hanno confidato le loro verità più intime. E lui, neodirettore del Mittelfest, le porta in scena
«Per la patria, la chiesa, la mia famiglia». Dušan Vukašinovic risponde alla domanda choc: per che cosa saresti pronto a morire? «Era il 2016, Dušan aveva 23 anni. Rimasi sorpreso ma non feci commenti», ricorda Haris Pašovic, regista bosniaco passato alla storia per aver realizzato durante l’assedio di Sarajevo un leggendario Aspettando Godot di Beckett, regia di Susan Sontag. Grande anarchico della scena, corporatura massiccia, barba alla Hemingway («il mio eroe con Orwell e Anna Achmatova»), Pašovic è il nuovo direttore artistico del Mittelfest di Cividale del Friuli: la sua prima edizione è dedicata ai millennials, quei giovani nati a cavallo tra fine Novecento e il primo decennio degli anni Duemila, protagonisti anche di un suo spettacolo, provocatorio fin dal titolo, What Would You Give Your Life
For? , il 13 luglio in «prima» italiana. Interrogativo scomodo e necessario in tempi titubanti come i nostri — per che cosa daresti la tua vita? — coinvolge sulla scena corpi e anime di quindici attori della Bosnia Erzegovina e della Serbia, di varie etnie e religioni. «L’idea — racconta il regista a “la Lettura” — è nata da un master in recitazione. Con alcuni studenti lavoravamo a ritratti teatrali di persone che avevano dato la vita per le loro idee. A vol-
te per nobili cause come Stephen Biko, attivista africano antiapartheid, o Svetozar Markovic, scrittore serbo vittima di persecuzioni politiche, o Bobby Sands, attivista irlandese morto per uno sciopero della fame. Ma a venir considerate erano anche le ragioni esecrabili di terroristi, kamikaze, nazisti, tigri tamil...». Giovani esistenze immolate per ideali antitetici. Riportarli in vita ha spinto inevitabilmente i giovani interpreti a porsi il medesimo quesito.
«Il primo a rispondere, quel Dušan pronto al sacrificio nel nome delle istituzioni più canoniche, il giorno dopo è tornato da me confessando di averci ripensato: “Né per la patria né per la chiesa né per la famiglia. La mia vita non vale niente e niente trarrebbe vantaggio dal fatto che io la offra”. Quel nichilismo così esacerbato in un ventenne, già ottimo attore e padre di un bambino, mi ha lasciato senza fiato. Ho deciso di dare spazio a una discussione di gruppo. E infine di trasformare tutto in uno spettacolo». Ma chiedersi per che cosa valga la pena di morire equivale a chiedersi per che cosa valga vivere. Morti Dio e pure Marx e Freud, quali valori possono ancora scuotere gli animi di una generazione spesso bollata di disimpegno e apatia? «Non è così. I millennials — garantisce Pašovic — sfuggono ai nostri codici perché sono una tribù nuova, che non ha patito guerre, ha vissuto l’Unione Europea come un dato di fatto, dove sono nati. Sono i figli della rivoluzione informatica, sono freschi e amichevoli, pacifisti, aperti a una visione globale del mondo». Ma benché risparmiati dalle pene più grandi, la storia ha riservato loro altre insidie. E così le risposte sul senso e nonsenso della vita non sono sempre felici. «Alcune proprio disperate, altre filosofiche, altre ancora trasognate», avverte Pašovic.
Vedi Katarina Bradonjic, 28 anni: «Darei la mia vita per amore. Solo l’amore può rendere il mondo migliore». Opinione condivisa da Marko Vasiljevic, anni 27. Anche lui pronto a immolarsi «solo per amore». Più romantico ancora, Nikola Živanovic, 25 anni: «Darei la vita per una qualità poetica della vita su questo pianeta». L’arte sembra essere il grande motore dei millennials. Vedi il grido di Miloš Lazic, anni 26: «La mia vita per l’arte!». Vedi Pedja Marjanovic, anni 27: «Darei la vita per quel momento di catarsi che a volte provo recitando». Vedi Gabor Pongo, trentacinquenne: «La vita è un flusso di tempo attraverso dimensioni intellettuali, emotive e fisiche. Ho dedicato la mia vita all’arte e questo dà senso alla mia vita». E come lui la pensa Mina Pavlica, 26 anni: «Ci sono spettacoli che come questo riportano all’essenza della vita, per farne parte darei la mia vita».
«In effetti — commenta il regista — per molti le priorità sembrano essere più estetiche che etiche. Certo, a rispondere sono degli artisti, ma una vocazione ego- tica e narcisistica è un tratto ricorrente nei millennials. E questo vale anche per i meno fortunati, i tanti senza lavoro, costretti all’eterna dipendenza da genitori e nonni. Senza prospettive né ideali, si sentono traditi dalla società, e così l’arte è l’ultimo rifugio, con l’alcol e le droghe».
«Darei la mia vita per la verità! È l’unica salvezza», assicura Sanela Krsmanovic, 3 0 a nni , c he s i di ce di s gust a t a dal l e «menzogne e corruzione dilaganti in Bosnia». E mentre Mia Simonovic, 26, si vota alla «liberazione del mondo dal male», Tamara Šustic, 23, dedica la vita alla pace. «Voglio che ovunque sia la pace, che nessuno debba lasciare la sua casa, che le madri non debbano piangere per i figli, che la violenza contro le donne si fermi. Darei la vita per un futuro di risate e gioia nel mondo». Sulla stessa linea Kemal Rizvanovic, 25: «Non più fame, non più guerre, non più soldi, non più politica. Se la gente fosse abbastanza coraggiosa da accettare la libertà, darei la mia vita per tutto questo». «Dio, teatro, amore, giustizia» sono i valori per cui Ema Stojanovic baratterebbe i suoi 26 anni, sfida non raccolta da Drazen Pavlovic, 27: «Non ci è stato chiesto se volevamo vivere né vedo la mia vita come un dono. La cederei a qualcuno che ha più passione da vivere».
La galassia dei millennials è vasta e articolata. Tanti ragazzi belli e spalancati sul mondo, tanti dimenticati, emarginati, violenti, preda di gruppi estremisti. «La politica non ha più appeal su di loro, destra o sinistra sono parole vuote. Alle ultime elezioni in Serbia si è presentato uno studente senza programma di sorta, che girava su un cavallo bianco vestito di bianco. Un personaggio da sit-com subito diventato l’eroe dei giovani che l’hanno votato in massa facendolo arrivare terzo». Tratti spettacolari, persino buffoneschi, che sembrano attrarre consensi in molti Paesi. «Si è pensato solo a creare un’Unione Europea dell’economia, si è trascurato il collante vero, la cultura. Parlo anche per l’Italia, che vive di rendita sui grandi nomi del passato ma si dimentica dei vivi. Gli artisti in Italia sono nella peggior posizione di tutta Europa, persino dei Balcani. Eppure i talenti non mancano, al Mittelfest ne presenteremo alcuni. Per esempio Nicola Borghesi, che ha trasposto Il giar
dino dei ciliegi tra gli sfrattati delle periferie di Bologna». Il futuro dell’Europa sono questi giovani, che però paiono senza futuro. «Perché a tenere le redini del potere e del denaro sono ancora i padri. Dobbiamo tatuarci la parola responsabi
lità e lavorare insieme. La nostra esperienza a confronto con la loro creatività e freschezza. Sarebbe una grande combinazione. Il nostro compito è cercare di capirli. Ma per capire qualcuno bisogna amarlo, e per amarlo bisogna ascoltarlo». © RIPRODUZIONE RISERVATA