Corriere della Sera - La Lettura
Il mito e i volti di Ercole in mostra a Venaria
In mostra Vasi greci, statue, dipinti, film. Venaria rende omaggio all’eroe che ispirò gli artisti dall’antichità fino a Cinecittà e a Disney. Edel quale nel Medioevo il cristianesimo s’appropriò
Bello, almeno nel senso tradizionale, Ercole (alla romana) o Eracle (alla greca) non lo è mai stato: muscoloso come un finalista del World Bodybuilding Championships, sempre molto affaticato, costantemente impegnato in imprese all’apparenza impossibili, come strozzare un leone a mani nude, mozzare le cento teste di un’idra furiosa, spaventare con un maxi sonaglio uccelli pericolosi anche più di quelli di Hitchcock, ripulire le stalle dal letame prodotto da 3 mila buoi. Eppure a rappresentarlo degnamente si sono impegnati in tanti, forse atterriti dalla fama che gli derivava da un carattere irascibile e dalle mirabolanti fatiche (dodici quelle certificate) che era stato obbligato a compiere per guadagnarsi l’eternità: il Pollaiolo, Rubens, Tintoretto, Carracci, Baccio Bandinelli, Canova, Cranach il Vecchio, Jan Gossaert, Salvador Dalí. Dunque, «soltanto» un bel ragazzone, forse senza nemmeno tanto cervello, , assillato da seri proble- p mi di identità (dio oppure eroe?) e di relazione: odiatissimo dalla consorte ufficiale del padre naturale (sarà lei a imporgli tutte quelle prove) nonché dalla propria (che lo ucciderà con il sangue dell’amante, quasi fossimo in un film di Tarantino), con un’accentuata tendenza al masochismo che gli fa preferire il ruolo di slave, di schiavo appunto. Da schiavo Ercole-Eracle potrà addirittura rinunciare al suo ruolo di maschio: ancora una volta sottomesso, stavolta dalla regina Onfale, verrà da lei obbligato a vestirsi da donna e a filare la lana, mentre Onfale indosserà a sua volta quella pelle di leone che costituiva uno degli attributi dell’eroe (così lo rappresenteranno, tra gli altri, Sebastiano Ricci e François Boucher).
La mostra alla Reggia di Venaria celebra, come recita il titolo, Ercole e il suo mito (13 settembre-10 marzo). Si va dalle origini pagane ai film kolossal del genere peplum (molti di quali made in Cinecittà) che tra gli anni Cinquanta-Sessanta hanno portato sullo schermo le sue avventure, puntando più sui muscoli che sull’espressività del protagonista, da Steve Reeves (forse il più famoso) a Mark Forest, da Reg Park a Mickey Hargitay (celebre come marito di Jayne Mansfield). Fino alle più recenti versioni di un Arnold Schwarzenegger al debutto cinematografico ( Hercules in New York di Arthur Allan Seidelman, 1970) dove il dialogo con il padre Zeus si svolge da una biga a Central Park (con clacson in sottofondo) e della Disney, con il cartone animato Hercules (di Ron Clements e John Musker, 1997). L’esposizione, curata da un comitato scientifico presieduto da Friedrich-Wilhelm von Hase, racconta attraverso una selezione di 70 opere tra reperti archeologici, gioielli, manufatti d’arte applicata, dipinti, sculture e manifesti anche l’eterno fascino della forza «pura e dura» al di là delle implicazioni filosofico-religioseletterarie di un mito al quale — sia pure spesso in ruoli di comprimario — Sofocle, Ovidio, Virgilio, Plauto, Seneca, Coluccio Salutati avrebbero dedicato tragedie, po- emi, commedie, trattati ( Hercules è, ad esempio, l’oratorio in tre atti di Georg Friedrich Händel, composto nel 1744 su libretto del reverendo Thomas Broughton).
Prendendo a pretesto i lavori di restauro in corso della Fontana d’Ercole, fulcro del progetto seicentesco dei Giardini della Reggia, un tempo dominata appunto dalla Statua dell’Ercole Colosso, sono stati assemblati vasi, anfore e coppe realizzate nella regione greca dell’Attica tra il 560 e il 480 a.C. che raffigurano l’eroe in tutta la sua imponenza fisica, come nella già monumentale anfora del Pittore di Berlino, considerata una delle massime espressioni della ceramica ateniese, o nell’hydria attribuita al Gruppo dei Pionieri. Per proseguire con la rappresentazione della «leggenda erculea» in ambito romano: statuette in bronzo o in terracotta, la testa colossale di Ercole in riposo (copia della seconda metà del I secolo a.C. di un’opera di Lisippo risalente al 320/310 a.C.), il calco in gesso del gruppo bronzeo di Ercole con la cerva di Cerinea di Lisippo, i due intonaci dipinti provenienti dall’Augusteum di Ercolano, oggi al Museo Archeologico Nazionale di Napoli (dove si trova un altro celeberrimo Ercole, l’Ercole Farnese). A concludere la sezione due coppe in argento dalla bottega di Gianmaria Buccellati, sbalzate e cesellate sul modello degli skyphoi rinvenuti a Pompei nella casa del Menandro.
La mostra appare, oltretutto, come un elogio del «saper fare». E non tanto di Ercole ma degli artisti-artigiani che di volta in volta lo hanno rappresentato. Insomma: che la forza sia sempre con Ercole, a patto che la raffinatezza, l’ispirazione, l’abilità di esecuzione vengano affidati ad altri. A questi stessi altri a cui verrà concesso il recupero che di Ercole avrebbe fatto il Cristianesimo nel Medioevo: quando — spiegano i curatori — «la figura del semidio dalla forza straordinaria e dal carattere esemplare è associata a quella del Salvatore, al punto
che la discesa agli inferi di Ercole per strappare Alcesti a Thanatos, prefigura la discesa di Cristo nel Limbo per liberare le anime dei giusti, così come le sue vittorie contro gli animali mitologici annunciano la vittoria del Redentore sul demonio».
Un recupero, quello di Ercole-Eracle, giocato a colpi di piccoli-grandi capolavori di arte decorativa come la placchetta in corallo rosso, realizzata a Napoli agli inizi del secolo XIX, in cui l’eroe viene sorpreso ancora una volta «a riposo» mentre con la mano sinistra regge la clava e con la destra trattiene la catena di Cerbero. Tra le tante riscoperte c’è poi quella di Gregorio de Ferrari, pittore del barocco genovese, presente per la prima volta con tutte le sue cinque grandi tele raffiguranti Ercole (ascesa all’Olimpo inclusi) provenienti dalla Galleria Nazionale di Palazzo Spinola. Grande attenzione è stata dedicata dai curatori a tutti gli Ercoli di pietra, di marmo e bronzo che costellano i giardini delle regge d’Europa, da Palazzo Pitti a Firenze e delle Tuileries a Parigi fino agli oltre 8 metri di rame che aprono i giochi d’acqua barocchi del Bergpark Wilhelmshöhe di Kassel. E al racconto del suo legame sentimental-botanico con le piante: il pioppo albero forte per definizione, l’olivo da lui sradicato sull’Elicona, i pomi d’oro sottratti alle Esperidi, il sedano con cui si incoronerà alla fine del lungo sonno post-fatiche. Un sonno che Ercole, eterno ragazzone dai troppi muscoli, si era certo ben meritato.