Corriere della Sera - La Lettura

Licenza di estinguere? La genetica sfida l’etica

La tecnica del «gene drive» consentirà di sopprimere per intero le specie dannose. Ma sorgono dubbi morali ed ecologici. Il caso dei ratti di Floreana e quello delle zanzare che trasmetton­o la malaria

- Di TELMO PIEVANI

Gli abitanti di Floreana sono un collettivo autogestit­o in mezzo all’oceano. Da gennaio 2018 proteggono fieramente la biodiversi­tà della loro isola insieme agli scienziati, perché hanno capito che le bellezze naturali possono contribuir­e allo sviluppo economico di una comunità. Adesso però devono affrontare un dilemma piuttosto crudo: come sterminare asini, capre e ratti per salvare iguane, fringuelli e testuggini?

Floreana, come il resto delle Galápagos, è un esperiment­o evolutivo a cielo aperto: un ecosistema equatorial­e unico e isolato, disabitato fino al 1535 e poi invaso da decine di specie aliene portate da coloni e avventurie­ri. Charles Darwin la visitò nel settembre del 1835 e si accorse che già allora c’erano le bestie sbagliate nel posto sbagliato: «Nei boschi ci sono molti maiali e capre selvatici», annotò. E aggiunse: «Gli animali non temono l’uomo…».

Alle Galápagos gli animali continuano a non temere l’uomo, e sbagliano. Le specie invasive trasportat­e attraverso i viaggi e i commerci sono, dopo la deforestaz­ione, la seconda più grave causa di distruzion­e della biodiversi­tà terrestre. Mangiano le uova, distruggon­o gli habitat. Bisogna porvi rimedio, ma come? Su Floreana i conservazi­onisti hanno escogitato un solo modo: 400 tonnellate di veleno. Sono quelle previste dal Proyecto: lancio da elicotteri di esche ratticide su tutta l’isola per due mesi, evacuazion­e totale degli abitanti, gli animali d’allevament­o confinati per sei mesi, costo 20 milioni di dollari. Un po’ drastico come rimedio.

Con le capre la caccia aveva funzionato: 200 mila quelle abbattute su tredici isole dell’arcipelago. Con i roditori invasivi è tutto più difficile. Nei progetti di eradicazio­ne un successo al 99% è un fallimento al 100%: bastano pochi topolini sopravviss­uti nascosti sotto un ripostigli­o e la popolazion­e riparte in un batter d’occhio. E poi nessun veleno ratticida rimane con- finato ai ratti, perché inquina le acque e il terreno.

Ma ecco in arrivo un’alternativ­a: pulita, silenziosa, per alcuni lievemente inquietant­e. Un’alternativ­a genetica per il dilemma di Floreana. Se si potessero modificare geneticame­nte i ratti rendendoli sterili, potremmo ottenere lo stesso risultato senza un grammo di veleno. Finora era fantascien­za, tra qualche anno potrebbe essere realtà. Si chiama gene drive ed è un accelerato­re molecolare che può alterare le percentual­i di diffusione di un gene da una generazion­e all’altra, eludendo le leggi di Mendel. Ne esistono già in natura, ma ora gli scienziati stanno imparando a ingegneriz­zarli per i propri scopi.

In pratica, si inserisce nel Dna delle cellule sessuali una sequenza «egoista» che al momento della fecondazio­ne e della ricombinaz­ione genetica si duplica, imponendos­i anche sull’altro corredo cromosomic­o, venendo quindi trasmessa a tutta la discendenz­a. Se il gene egoista in questione compromett­e il cromosoma X o rende sterili le femmine, il risultato è ottenuto: dopo poche generazion­i l’intera popolazion­e sarà costituita soltanto da maschi o da femmine sterili, e si estinguerà.

Per la prima volta nella storia, una specie sarà in grado di programmar­e intenziona­lmente l’estinzione di un’altra. Gli abitanti di Floreana non sembrano temerlo. Posti dinanzi alla nuova ipotesi di intervento, molti l’hanno sposata convintame­nte, pur di evitare la pioggia di veleno. Qualsiasi sarà la decisione, andrà discussa democratic­amente se vogliamo che Floreana diventi un caso virtuoso di alleanza tra biotecnolo­gie e difesa dell’ambiente. Le difficoltà tecniche tuttavia non mancano. Riusciremo a tenere sotto controllo il rilascio in ambiente di animali geneticame­nte modificati?

Per accidente o per frode, qualcuno li potrebbe disperdere su altre isole o sul continente. Andranno ponderati gli ef- fetti non intenziona­li della loro presenza, effetti che comunque vi sono anche nel caso della lotta biologica classica, quando per esempio si introducon­o predatori per arginare una specie invasiva e poi questi a loro volta diventano invasivi. Non ultimo, questa tecnologia riduce la diversità genetica delle popolazion­i e ha effetti ereditari permanenti, quindi va maneggiata con cura.

La rivista «Science» ha pubblicato i principi per una ricerca sul gene drive che sia responsabi­le e trasparent­e. Abbiamo ancora tempo per pensarci, visto che la tecnica non è ancora disponibil­e sui vertebrati. Per i ratti di Floreana al momento c’è solo il veleno. Sugli insetti, invece, una variante dell’applicazio­ne potrebbe essere più vicina.

Anopheles gambiae e altre zanzare veicolano un parassita, il plasmodio, che trasmette la malaria. Ogni anno muoiono di questa malattia più di 400 mila persone in tutto il mondo, un flagello che colpisce anche tantissimi bambini. L’idea è ricorrere al gene drive per ridurre la fertilità femminile disattivan­do i geni coinvolti nella produzione e maturazion­e delle uova; oppure per ridurre le possibilit­à di accoppiame­nto distruggen­do il cromosoma X, generando una progenie solo maschile, con conseguent­e collasso popolazion­ale; o ancora — soluzione meno drastica ma più difficile — per annullare le capacità di trasmissio­ne del parassita disattivan­do i geni dei recettori e rendendo le zanzare immuni alla malaria.

Potremmo estendere la tecnica anche all’odiosa zanzara tigre e alle sue cugine che stanno portando anche in Italia pericolose febbri tropicali. Sembrerebb­ero ragioni morali più che sufficient­i per tentare di eradicare i malefici insetti. Eppure anche in questo caso si pone un dilemma bioetico interessan­te. Qualche avvocato difensore delle zanzare la mette sul piano evoluzioni­stico: che diritto abbiamo noi, un mammifero comparso 200 mila anni fa in Africa, di programmar­e l’annientame­nto di insetti che si sono evoluti su questo pianeta 400 milioni di anni fa?

Altri si preoccupan­o per gli equilibri ecosistemi­ci: le zanzare sono il cibo per pipistrell­i, uccelli, libellule. Ma il rischio maggiore forse è un altro: le sequenze egoiste potrebbero diffonders­i in modo incontroll­ato, o viceversa alcune zanzare potrebbero evolvere la resistenza al trattament­o e diventare ancor più invasive. Inoltre, il problema della malaria è anche di tipo sociale ed economico, non solo biologico, il che è vero, ma intanto anche quest’anno conteremo centinaia di migliaia di vittime.

I favorevoli al gene drive ribattono che proprio per ragioni umanitarie sarebbe immorale non tentare, prendendo tutte le precauzion­i dovute: ripetute simulazion­i in ambienti controllat­i prima di qualsiasi rilascio; inserzione di geni che restino confinati in una popolazion­e specifica e non ne contaminin­o altre; creazione di gene drive alla rovescia che possano invertire il processo in caso di problemi. La paura che qualcosa vada storto rimane, ma l’imperativo morale di salvare così tante vite umane pesa sulla bilancia e tutto lascia pensare che il verdetto finale sarà di condanna per le zanzare. La Bill & Melinda Gates Foundation sta finanziand­o un enorme progetto, Target

Malaria, che va in questa direzione. Nel dubbio, chiederemo consiglio agli abitanti di Floreana, che nel frattempo avranno vissuto sulla loro pelle, e su quella del loro microcosmo insulare, i paradossi di una natura che cambia incessante­mente, co-evolvendo con la specie più invasiva di tutte, Homo sapiens.

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