Corriere della Sera - La Lettura
Cuori di carta (nonostante tutto) Fenomenologia del libraio
«George Orwell non aveva nessuna voglia di fare il libraio, e devo dire che lo capisco benissimo. Lo stereotipo del libraio insofferente, intollerante e misantropo (come il personaggio interpretato da Dylan Moran nella serie televisiva Black Books) trova spesso conferma nella realtà. Ci sono le immancabili eccezioni, ovvio, e molti colleghi di mia conoscenza non sono affatto così: io sì, purtroppo. Ma un tempo ero diverso, e prima di comprare la libreria ricordo di essere stato un tipo abbastanza disponibile e amichevole. Se oggi sono quel che sono, è colpa del quotidiano bombardamento di domande idiote, dell’incertezza finanziaria, delle eterne discussioni con il personale, dell’infinito, sfiancante mercanteggiare dei clienti. Eppure, se qualcuno mi chiedesse cosa vorrei cambiare, la risposta sarebbe: niente». Una vita da libraio di Shaun Bythell (Einaudi), da cui è tratto questo brano, è la divertente storia di un libraio della provincia scozzese, che racconta la sua esistenza quotidiana in mezzo ai libri: dalle sue battaglie contro Amazon alle stramberie dei suoi clienti, tutto descritto con pungente ironia. C’è chi sostiene di amare la letteratura senza comprare mai un libro, chi fa le domande più strampalate, chi si presenta al lavoro sempre in tuta da sci.
Stavo appassionandomi a queste vicende agrodolci quando sono stato attratto da due coincidenze: la morte di Carlo Conticelli e una proposta di Amazon. Nel 1964, Giangiacomo Feltrinelli aveva mandato Conticelli a Roma a gestire il primo punto vendita in via del Babuino. Conticelli è stato descritto come il consigliere, il confidente, l’amico di chi entrava in libreria e aveva voglia di scambiare quattro chiacchiere, il testimone di anni irripetibili: i pomeriggi di fronte al leggendario jukebox, i tornei di freccette, gli happening degli artisti della scuola di piazza del Popolo, le nevrotiche riunioni del Gruppo 63… Intanto, Amazon mi ha proposto 4 libri, uno più interessante dell’altro. Due, per fortuna erano già in mio possesso, a un terzo partecipavo con un breve contributo (quindi mi sarebbe arrivato), il quarto mi mancava.
Non voglio cadere nella trappola di contrapporre l’eroe romantico, che ha deciso di aprire una libreria di volumi usati in uno sperduto paesino della Scozia come missione di vita, a una multinazionale con una potenza di fuoco inusitata (ci ha già pensato Nora Ephron con il film C’è posta per te, 1998); né mettere a confronto i raffinati gusti personali di un libraio contro gli algoritmi su cui si reggono le proposte e le vendite della più grande internet company del mondo. Però, in tutta franchezza, se penso come sono ora gestite certe grandi librerie (il turnover delle novità rapidissimo, le orride pile dei bestseller, la politica delle rese), con i commessi che cercano sul computer anche i titoli più famosi, mi rendo perfettamente conto che quella del libraio è una categoria in via d’estinzione. A meno che…
Prima, però, di suggerire soluzioni, che forse non sono nemmeno in grado di dare, vorrei ricordare alcune figure di libraio che ho incrociato nella mia vita di lettore, partendo da una casa, quella dei miei genitori, che di fatto era sprovvista di libri.
Mi ricordo la libreria Moneta, sotto i portici di via Paleocapa 8 a Savona. La frequentavo per via dei libri scolastici (vocabolari, soprattutto), per articoli di uso scolastico e, dal 1965, per acquistare gli Oscar Mondadori, a partire da Addio alle armi di Hemingway, che ancora conservo. Ogni libro della collana costava 350 lire, contro le 70 lire della Bur, la biblioteca economica della Rizzoli. Allora non esisteva il meccanismo della resa e i librai dovevano essere bravi a scegliere i libri e a saperli vendere. La libreria Moneta aveva nel retro un capace magazzino dove finiva l’invenduto e un giorno il titolare, se non ricordo male si chiamava Mario Schiavi, mi introdusse