Corriere della Sera - La Lettura
Un po’ cubista, un po’ futurista lo spiritello della pubblicità
I manifesti realizzati da artisti di sensibilità diverse per lanciare i prodotti Campari all’inizio del Novecento sono opere che riflettono il gusto del tempo e addirittura anticipano tendenze che si affermeranno più avanti. Un’esposizione rende omaggio a
Una raccolta di manifesti che sono lo specchio della società italiana del secolo scorso costituisce il corpus della mostra londinese The Art of Campari, dove si trovano anche reperti originali riferibili al marchio: casse, bicchieri, bottiglie, targhe, apribottiglie, tappi, tovaglie... Le affiche di grande formato raccontano di una borghesia dinamica e moderna che anticipa i cambiamenti della società influenzandone lo stile e le mode. Il concetto di made in Italy scrutato e studiato da molti, in questi «cartelloni pubblicitari» è protagonista, rivelato con classe da alcuni maestri dell’arte della comunicazione visiva. Capisaldi di una cultura che influenzerà per molto tempo la stessa concezione di comunicazione d’impresa.
Nel 1860 Gaspare Campari fonda a Milano l’azienda che produce un liquore rosso rubino dal retrogusto amaro, il Bitter Campari. Pochi anni dopo apre un caffè ristorante in Galleria Vittorio Emanuele II, appena inaugurata nel cuore di Milano, destinata a diventare in breve il «salotto» della borghesia della città. Il figlio Davide, ai primi del Novecento trasformerà quindi l’impresa di famiglia in industria e promuoverà un’aggressiva strategia commerciale in sintonia con i cambiamenti della società. L’idea è di commissionare manifesti pubblicitari ad artisti di talento in virtù della convinzione che l’arte sia un linguaggio universale. Si rivela, questa, un’intuizione vincente che innesca da subito un circolo virtuoso facendo sì che la bevanda sia associata alla vitalità e alle aspirazioni cosmopolite della città di Milano. Agli artisti viene assicurata dalla committenza la massima libertà di progettare. Unico vincolo: comunicare il prodotto in modo elegante, una sfida che verrà affrontata in molti modi diversi.
Adolf Hohenstein, già scenografo alla Scala di Milano e direttore artistico delle Officine Grafiche Ricordi, ritrae con tecnica realista e in stile Art Noveau due eleganti uomini al caffè in attesa della bevanda (1901). E il garbo della comunicazione si consolida grazie al contributo di Marcello Dudovich che con ampie campiture di colore descrive dame eleganti in compagnia di ufficiali del regno (1913) in pieno stile Belle Époque (l’autore triestino, tra l’altro, disegnava anche le copertine de «La Lettura»). Il linguaggio della Campari si arricchirà di altre sfumature con le pennellate di Leonetto Cappiello, autore del celebre Spiritello (1921): il dinamismo della composizione e la vivacità del soggetto immaginario ne fanno subito un’icona.
Le bottiglie del prodotto che in un primo tempo facevano capolino in forma molto discreta, diventano protagoniste nelle opere di Marcello Nizzoli che le ritrae con occhio cubista mostrando come la réclame non tema il confronto con l’arte, essendosi ritagliata uno spazio autonomo. L’approccio dell’azienda alla comunicazione visiva sempre molto innovativo coinvolge anche artisti di diversa provenienza, facendo convivere molti linguaggi, come le particolari rappresentazioni di Ugo Mochi, eleganti silhouette che raccontano il saper vivere contemporaneo (1927-32).
Nel decennio 1926-36 un’altra impennata, con la collaborazione del geniale Fortunato Depero, che riteneva la pubblicità «un’arte viva che penetra e si diffonde ovunque, moltiplicata all’infinito e che non rimane sepolta nei musei». È così che lo stile di derivazione futurista irrompe nella comunicazione Campari. L’energia dirompente dell’artista trentino è molto efficace ma soprattutto a lui si deve il design della bottiglietta per il primo aperitivo monodose, trasparente, senza etichetta e a forma di bicchiere capovolto. Una perfetta operazione di marketing.
La comunicazione sui manifesti Campari riappare dopo cinque lustri: nel frattempo l’azienda aveva utilizzato medium diversi. Negli anni Sessanta il tratto sinuoso di Franz Marangolo esprime in pieno il gusto per la moda e le tendenze di quegli anni interpretando così il prodotto: disegna la bottiglietta di Depero che corre sbarazzina ammiccando. Mentre Bruno Munari nel 1964 in occasione dell’inaugurazione della metropolitana milanese realizzerà una grande affissione col compendio di tutti i marchi storici, per suggellare in modo definitivo il binomio Campari – Milano, ufficializzando la piena identificazione dei valori dell’azienda con quelli della città. Alla fine del secolo scorso, poi, il contributo dell’artista pop Ugo Nespolo, per i mondiali di calcio in Italia (1990), rinverdisce l’amore verso il manifesto da parte dell’azienda pur in un momento in cui sono gli spot pubblicitari ad avere un ruolo di primo piano nella comunicazione.
Come una galleria Ad Hohenstein, scenografo alla Scala, succedono Dudovich, Cappiello e Depero, al quale si deve la creazione della bottiglietta diventata icona