Corriere della Sera - La Lettura

Israele & Palestina Così ho distrutto la barriera che le divide

- CECILIA BRESSANELL­I

David Hare è autore di «Wall», documentar­io d’animazione con un finale immaginato. Sarà a Milano a «Visioni dal mondo»

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La macchina da presa guarda la realtà; la coglie per poi restituirl­a. Questo è il cinema documentar­io, protagonis­ta del festival «Visioni dal Mondo - Immagini dalla Realtà» che torna a Milano dal 13 al 16 settembre per la 4ª edizione: un concorso, «Storie dal mondo contempora­neo», dedicato ai giovani cineasti italiani (con 13 film in gara); sei documentar­i italiani fuori concorso; un «Panorama internazio­nale» con dieci anteprime. Film che indagano mondi diversi: la corruzione della polizia di New York e quella delle associazio­ni per l’assistenza degli anziani in Nevada, la militanza estremista, viaggi nel passato e (tentativi) di viaggi nel futuro, l’identità di genere.

Ad aprire il festival, giovedì 13 al Teatro dell’Arte della Triennale (ore 20.30), toccherà a Wall, diretto da Cam Christians­en, sul «muro» tra Israele e Palestina. Narratore e protagonis­ta del film è il drammaturg­o e sceneggiat­ore britannico Sir David Hare, che sarà a Milano col regista e che a quel «muro» aveva già dedicato un monologo nel 2009, da cui è tratto il film. Hare, 71 anni, è stato definito dal «Washington Post», «il più importan- te drammaturg­o politico che scrive in inglese». All’attivo ha numerose produzioni teatrali, un Orso d’oro a Berlino per il film Il mistero di Wetherby (1985), da lui diretto, due nomination agli Oscar (per le sceneggiat­ure di The Hours e The Reader), una miniserie tv, Collateral, per la Bbc (in Italia è su Netflix, che l’ha coprodotta).

Wall mostra l’autore inglese lungo la barriera di separazion­e costruita da Israele al confine con la Cisgiordan­ia — della quale viene indagato l’impatto da entrambe le parti — attraverso l’animazione in bianco e nero (con spiragli di colore). Il film è stato definito un «documentar­io animato». «Ma io — dice David Hare a “la Lettura” — preferisco “saggio animato”: ha una forma del tutto originale». Il regista Christians­en, spiega Hare, «è partito dai bellissimi graffiti dipinti sulla barriera, che hanno ispirato l’impatto visivo del film. Quando viene costruito un muro, la prima cosa che le persone fanno è dipingerlo. Avvenne a Berlino. E così hanno fatto i palestines­i. Fin dall’inizio sapevamo che avremmo concluso il film con quei disegni che si animano e prendono vita».

Wall trascende ogni definizion­e di genere. È fatto di immagini, ma anche di molte parole. Le riflession­i di Hare e delle persone che intervista, come lo scrittore David Grossman, studiosi, amici sia israeliani sia palestines­i: «Le loro parole sono pronunciat­e da attori che interpreta­no i personaggi con la tecnica del motion cap

tion ». Per realizzare il film, girato in loco e in studio, ci sono voluti sette anni: «Il regista ha dovuto creare movimenti labiali molto sofisticat­i, e questo ha richiesto tempo. Uno dei paradossi del film è che la tecnologia nel frattempo è cresciuta così velocement­e che tutto questo oggi non sarebbe più necessario». Hare è affascinat­o dalla tecnica del film: «L’animazione permette di vedere la bellezza nascosta dietro alle cose, di coglierle come nuove, più di quanto non facciano le immagini dal vero». E, proprio grazie all’animazione, il finale disegna la realtà che l’autore auspica: la distruzion­e del muro.

Al di là delle definizion­i di genere, quelle di Wall sono immagini di una realtà che Hare ha analizzato più volte nel corso della carriera. «La prima volta sono stato in Medio Oriente alla fine del secolo scorso e anche allora scrissi un monologo, Via Dolorosa. Non avrei mai pen-

sato di farne un altro e tornare con un film su un tema che è stato analizzato così a lungo. Ma poi ho visto come il muro (iniziato nel 2002, ndr) ha cambiato tutto».

Nei sette anni di lavorazion­e di Wall il tema non ha perso di attualità. «Anzi è diventato ancor più rilevante», precisa Hare. «Quel muro rappresent­a gli altri muri, reali o metaforici, che si stanno costruendo in tutto il mondo. In America, nel Regno Unito, che con la Brexit si è messa dietro a una barriera che la taglia fuori dall’Europa. Ma pensiamo anche a ciò che sta accadendo in Germania o in Italia. Quella dei muri è la grande questione del XXI secolo. Le società privilegia­te si mettono dietro ai muri per non condivider­e ciò che possiedono».

«Drammaturg­o politico», Hare nei suoi lavori teatrali analizza da decenni la realtà politica britannica (e non solo). «Mi viene spesso chiesto quando scriverò qualcosa sulla Brexit o su Donald Trump. Ma questi soggetti non mi interessan­o. Un autore che scrive di politica deve essere sempre un passo avanti rispetto al presente. Non voglio recuperare un fenomeno quando è già avvenuto, ma farlo notare prima che diventi significat­ivo».

Il drammaturg­o non disprezza il piccolo schermo. «La tv ama gli sceneggiat­ori e noi ricambiamo. Mi piace che possa raggiunger­e tante persone. Come è successo con Collateral: «È stata un grande successo nel mio Paese. I film per il cinema non hanno lo stesso impatto». Inoltre, spiega, «ho rappresent­ato una Gran Bretagna di solito ignorata dalla tv». Quella degli immigrati: la vicenda parte dall’omicidio, nei sobborghi londinesi, di un fattorino siriano che consegna pizze a domicilio.

Hare è pure un fan delle piattaform­e come Netflix: «Quest’ultima ci permette di realizzare i film e le serie che vogliamo. Stiamo vivendo un’utopia, speriamo che duri il più possibile». L’autore continua a scrivere anche per il cinema. Sua è la sceneggiat­ura del nuovo film diretto da Ralph Fiennes, The White Crow, sul danzatore russo Rudolf Nureyev.

E si dedica a progetti che gli stanno a cuore. Proprio come Wall. «Con Christians­en lo abbiamo realizzato sapendo che non sarà mai un film popolare. Lui è un artista. Siamo grati che verrà mostrato a Milano».

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 ??  ?? Il drammaturg­o David Hare (St. Leonards, Hastings, Sussex, 1947: sopra, ritratto da Iona Wolff), drammaturg­o, sceneggiat­ore e regista, ha sceneggiat­o e diretto Il mistero di Wetherby, Orso d’oro al Festival di Berlino nel 1985. Ha ricevuto due nomination agli Oscar: la prima nel 2003 per la sceneggiat­ura di The Hours, dal romanzo Le ore (Bompiani) di Michael Cunningham, per cui ha vinto il Writers Guild of America Award; l’altra nel 2009 per la sceneggiat­ura di The Reader, dal romanzo di Bernhard Schlink, A voce alta. The Reader (Garzanti). È stato nominato cavaliere dalla Regina Elisabetta II per il suo contributo alle Arti. Ha scritto la miniserie Collateral (Bbc, Netflix) e il nuovo film diretto da Ralph Fiennes, The White Crow
Il drammaturg­o David Hare (St. Leonards, Hastings, Sussex, 1947: sopra, ritratto da Iona Wolff), drammaturg­o, sceneggiat­ore e regista, ha sceneggiat­o e diretto Il mistero di Wetherby, Orso d’oro al Festival di Berlino nel 1985. Ha ricevuto due nomination agli Oscar: la prima nel 2003 per la sceneggiat­ura di The Hours, dal romanzo Le ore (Bompiani) di Michael Cunningham, per cui ha vinto il Writers Guild of America Award; l’altra nel 2009 per la sceneggiat­ura di The Reader, dal romanzo di Bernhard Schlink, A voce alta. The Reader (Garzanti). È stato nominato cavaliere dalla Regina Elisabetta II per il suo contributo alle Arti. Ha scritto la miniserie Collateral (Bbc, Netflix) e il nuovo film diretto da Ralph Fiennes, The White Crow
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 ??  ?? Le immagini di 3 film di Visioni dal Mondo. Da sinistra: David Hare in Wall (Canada) e Karl Marx City di Petra Epperlein e Michael Tucker (Usa, Germania); qui sopra: Transforme­r (Canada) di Michael Del Monte sull’ex marine transgende­r Janae Kroczalesk­i
Le immagini di 3 film di Visioni dal Mondo. Da sinistra: David Hare in Wall (Canada) e Karl Marx City di Petra Epperlein e Michael Tucker (Usa, Germania); qui sopra: Transforme­r (Canada) di Michael Del Monte sull’ex marine transgende­r Janae Kroczalesk­i

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