Corriere della Sera - La Lettura
Menzogna e sortilegio di essere Elsa Morante
Simonetta Greggio si è calata nel personaggio della sua scrittrice preferita narrandone l’esistenza in prima persona. E in francese. A «la Lettura» spiega come e perché
Avvicinamento «Da ragazza qui a Parigi intervistai Alberto Moravia. Mi disse: “Io non sono un grande. Mia moglie Elsa sì che era una grandissima autrice”»
«Sono arrivata a Parigi nel 1981, dopo il linguistico a Padova e a Roma. Ero una bambina». Trentasette anni e undici libri dopo, Simonetta Greggio usa come sempre la lingua francese per affrontare il suo scrittore feticcio, Elsa Morante. Elsa mon
amour, uscito in questi giorni per Flammarion, è un romanzo in prima persona, l’omaggio senza rete a un modo di intendere la letteratura e di stare al mondo. «Ho sempre adorato Elsa Morante, forse perché è entrata nella mia vita leggendola da sola, non attraverso la scuola. Da ragazza trovavo La Storia un libro scritto da dio ma pesante, preferivo L’isola di Arturo. Poi Elsa mi ha sempre accompagnata. Avevo già parlato con il mio editore di fare qualcosa su di lei, qualche anno fa assieme a Fanny Ardant le abbiamo dedicato una serata al Théâtre de l’Odéon, la sala era stracolma, ho pensato che Elsa stesse planando lì, che avesse voglia di tornare. Mi sono detta che era arrivato il momento». Simonetta Greggio ne ha ripercorso tutta la vita in un romanzo dove l’io narrante è lei, Elsa. «Ho detto al mio editore: “Se permetti, vorrei scrivere come se fosse Elsa a raccontare la sua stessa vita”. Chi mi dà la legittimità per farlo, per mettermi nei panni di un genio? Chi può concedere un patentino simile? Nessuno. Ma in fondo è il mio dodicesimo libro letterario (Simonetta Greggio ne ha scritti altri su cucina e giardini, ndr) e uno scrittore è un surfista: se non cerchi di prendere l’onda più alta non ha senso».
Appena tornata dalla Provenza dove vive per gran parte dell’anno, Simonetta Greggio parla a «la Lettura» del libro che in Francia sta diventando un caso letterario. Lo fa con un suo modo speciale, leggero e piacevole perché Simonetta sorride e ride spesso e «mi manca il lato depressivo di Elsa», ma senza l’ombra di ironia o distacco. Come la sua eroina, Simonetta Greggio prende le cose sul serio.
Così Elsa Morante è ricomparsa, per esempio sulla prima pagina del «Figaro». «Non avete idea dell’emozione nel rivedere la sua foto sui giornali, a tanti anni dalla morte (nel 1985, ndr). Ho pensato: “Hai visto, Elsa? Hai fatto bene a darmi fiducia, anche se all’inizio non eri convinta”. Le ho parlato tanto, l’ho sognata, ho sentito la sua disperazione. Per un anno ho letto tantissimo le sue opere e quel che si faceva nel suo mondo, di nuovo tutto Moravia, Sandro Penna e gli altri, mi sono impregnata di quel periodo. Poi ho scritto in pochi mesi, abbastanza velocemente. Mi è sembrato di vivere in quel tempo ricostruito più che nel tempo reale della scrittura. Ma in fondo, come diceva la nostra amata Simone Weil, “la vita è al 90 per cento sognata”». Ai francesi Elsa mon amour sta piacendo molto, «ma se qualcuno avesse fatto la stessa cosa con Duras o Yourcenar forse non sarebbero così contenti», dice Simonetta, che ricorda il precedente di Joyce Carol Oates con Marilyn per Blonde.
Simonetta Greggio si trasferì a Parigi dopo Roma «perché lì non c’era niente da fare a parte il cinema se sei “figlio di”, Berlino era ancora chiusa e New York troppo lontana. Mi è sembrata la scelta più naturale, e romantica». I famosi vent’anni a Parigi. «Ho fatto tutti i mestieri del mondo, da donna delle pulizie, e io detesto fare le pulizie, a babysitter, a hostess nei saloni dell’automobile. Mi sono iscritta all’École des hautes études perché c’era Kundera ma non ci andavo mai, non avevo soldi e quindi non avevo tempo. Ma ho cominciato a lavorare abbastanza presto come giornalista, un po’ ovunque. Il mio primo giornale è stato “City”, enorme, in bianco e nero, bellissimo, pieno di grandi di firme. Un giornale strano e bizzarro, del resto anche io ero strana e bizzarra, andava bene così».
Perché lei era strana e bizzarra? «Perché quando abitavo a Padova ho fatto le classiche fughe da casa, perché non andava bene niente, poi ero a scuola dalle suore quindi figurarsi, sono scappata. A Roma facevo lavoretti, davo ripetizioni. A Parigi non conoscevo nessuno, poi sono entrata nel giro, si andava a ballare al Palace e al cinema allo Studio 43, sono entrata in quel gran calderone di persone, arte, letteratura. Da ragazza della provincia italiana ho capito alla fine come si fa in certi ambienti a conoscersi tutti, semplicemente si è come si è e ci si frequenta tra simili. Io volevo scrivere, l’ho sempre saputo. C’è voluto un sacco di tempo ma alla fine sono riuscita a fare quello che volevo».
Di nuovo torna il parallelo con Elsa Morante, l’avere imparato a leggere e scrivere presto, verso i 3-4 anni, grazie alla madre, e la convinzione assoluta che la letteratura fosse «la cosa più importante al mondo». Il settimanale «Télérama» mandò Greggio a intervistare Alberto Moravia poco prima della morte, quando Alain Elkann ne stava scrivendo la biografia. «Ci incontrammo due volte, nell’ hôtel particulier di rue de Seine dove al tempo Elkann viveva con la fidanzata, un luogo incredibile, sembrava di stare nella Recherche... C’erano un sacco di foto incorniciate, bellissime, di Elkann e della fidanzata nudi. Moravia era simpatico, molto gentile, contento di avere davanti a sé quella ragazza giovane che lo guardava adorante. Mi ricordo che voleva assolutamente baciarmi e io gli dicevo: “La prego, andiamo avanti con questa intervista...”. Non fu pesante, neanche patetico. Struggente, piuttosto. E mi disse: “Sa, io non sono un grande scrittore, mi piace solo il primo libro. Mia moglie invece sì che era una grandissima scrittrice”. Moravia sapeva che Elsa era più brava di lui, lo sapevano anche Elsa e molti altri, me compresa».
Nel 2000, finalmente, il passaggio al mondo della letteratura. «Un’amica scrittrice mi ha detto: “Tu hai un sacco di racconti nel cassetto, è come se tenessi lì degli assegni che non sei andata a ritirare in banca”. Questa frase mi è piaciuta, mi sono detta che forse aveva ragione e ho mandato le mie novelle alle case editrici francesi e italiane». La prima a rispondere è stata la francese Stock, Einaudi qualche mese dopo quando ormai era troppo tardi, «ma resta il sogno di fare qualcosa con loro». Così Simonetta Greggio è diventata una scrittrice francese, che si divide tra Stock e Flammarion. «Nella prima maison ho avuto la fortuna di essere seguita da Jean-Marc Roberts, un angelo e un demone ma sicuramente l’editor da avere in quegli anni. Adesso da Stock lavoro con Capucine Ruat mentre a Flammarion con Guillaume Robert. Sono grandi amici, oltre che editor giovani e bravissimi che hanno investito su di me».
Nella vita di Elsa Morante e quindi in Elsa mon amour la menzogna e il segreto hanno una parte importante, imparati da piccola per vivere in una famiglia dove il vero padre era un altro uomo. «Il segreto serve a salvarsi ma anche a difendere spazi di libertà. Anche io, come Elsa, non sopporto l’ossessione contemporanea per la trasparenza e la dittatura della sincerità». Gli altri tratti comuni sono «il gusto del rischio, e la letteratura come fulcro della vita, diversa dai libri di intrattenimento, che vanno benissimo ma sono un’altra cosa». Elsa Morante rimase sposata sempre con Moravia nonostante gli altri amori di entrambi. «Si invaghiva degli omosessuali, da Luchino Visconti a Bill Morrow. Io no, e sono meno arcigna, meno depressa di Elsa, che prendeva troppe droghe, troppo alcol. Però, abbiamo in comune quella tendenza a innamorarci dei propri calvari... L’amore sulle linee di faglia, più che sulla costruzione».