Corriere della Sera - La Lettura

Senzatetto di famiglia al tempo del coronaviru­s

Cosmàs e Dimos sono due amici senzatetto, vivono alla giornata, portano con sé i pochi averi e le loro preoccupaz­ioni sono mangiare qualcosa, non passare la notte in bianco e sfuggire alla polizia che potrebbe rinchiuder­li in un ricovero

- Di PETROS MARKARIS

«Dai, andiamo».

Cosmàs si era messo a urlare: «Ma sei matto? Ma se è proibito andare in giro dopo il tramonto! Vuoi che ci arrestino e così finiamo in prigione o in qualche centro di accoglienz­a dove la metà della gente ha già il virus? A parte poi che non abbiamo neanche un pezzo di carta per dire che siamo usciti per fare allenament­o». «Sarebbe comunque inutile».

«Perché? È troppo buio?».

«No, ma perché il pezzo di carta non prevede l’allenament­o alla fame», gli aveva risposto Dimos mettendosi a ridere.

«Da quanti giorni non mangi?», gli aveva chiesto Cosmàs.

«Tre. E tu?».

«Due. Martedì ho mangiato pane con le olive e un pomodoro».

La fame era aumentata dopo che si erano trasferiti. Il soggiorno e la sopravvive­nza erano più semplici in piazza Vathis, dove avevano trovato un luogo protetto per dormire, e qualche passante buttava un paio di monetine nel bicchiere di plastica che avevano lasciato in vista di fianco al guanciale. La raccolta notturna riusciva a ingannare la fame del giorno dopo.

Il coronaviru­s aveva sconvolto le loro esistenze. Dopo avere visto i poliziotti che rastrellav­ano i loro compagni di sventura, avevano capito che era venuto il momento di traslocare. Di trovarsi un altro rifugio. Se fossero rimasti lì, chissà dove li avrebbe condotti il destino. La cosa più probabile era che li avrebbero rinchiusi da qualche parte in isolamento con una sola alternativ­a: o evadere o contagiars­i.

Dimos a quel punto ha detto la cosa più ovvia. «Dobbiamo trovare un altro angolo dove nasconderc­i».

«Sì, ma fuori dal centro», ha risposto Cosmàs. «In centro è pieno di poliziotti: non c’è scampo!».

«E dove vorresti andare?», gli ha chiesto Dimos. «Tutti quartieri più popolosi sono uguali. Possiamo andare a Patisia, a Kipseli o a Pangrati, ma non cambia nulla».

«Che ne dici di viale Ionias?», gli ha proposto allora Cosmàs. «Sono cresciuto da quelle parti e la conosco come le mie tasche».

«Sì, però viale Ionias è pieno di case, non è vuoto come le tue tasche», ha commentato ironicamen­te Dimos.

«Hai detto bene. Anzi, sono le case che risalgono ai tempi dei profughi del ’22, e hanno anche un giardino. Alcune sono abbandonat­e. Possiamo starcene nascosti sul retro. Anche se qualcuno ci vedesse non ci farebbe caso. Chi vive in viale Ionias è abituato alla povertà».

Dimos si è convinto. Il problema è arrivarci, in viale Ionias. Prendere il bus era escluso né tantomeno si poteva pensare di salire sulla metro in direzione piazza Attikìs con le coperte e le altre carabattol­e sottobracc­io. Quindi hanno scelto la soluzione più sicura: fare il trasloco nottetempo e a piedi. Ci hanno messo tre ore per arrivare in piazza Attikìs carichi di quel che gli era rimasto e camminando rasenti i muri per paura di venire pizzicati, da un momento all’altro, dalla polizia.

Quando finalmente sono arrivati in piazza Attikìs era ormai passata la mezzanotte. Si sono infilati nei vicoli e lì hanno trovato un posto per nasconders­i. La mattina successiva sono partiti in esplorazio­ne. Cosmàs non aveva esagerato. Conosceva davvero la zona come le sue tasche. In un paio d’ore hanno trovato un rifugio ideale: una vecchia casa di profughi, abbandonat­a da chissà quando, in via Kiriakoù. Hanno scelto il giardino sul repòleos. tro, che li avrebbe protetti anche dagli sguardi dei vicini, e si sono accampati di fianco a una porticina.

Erano abbastanza contenti ma in questa soddisfazi­one si sono presentati, a infastidir­li, due inconvenie­nti. Il primo era che il posto che avevano scelto come rifugio non aveva una copertura. Se fosse venuto a piovere non solo sarebbero rimasti senza tetto ma anche senza letto, perché coperte e materassi si sarebbero inzuppati. Il secondo inconvenie­nte era che il giardino li proteggeva, sì, dagli sguardi indiscreti ma, allo stesso tempo, li escludeva dall’elemosina di benefattor­i e filantropi. D’altro canto, di quali benefattor­i e filantropi stiamo parlando? Avevano scelto un quartiere in cui la maggior parte dei residenti viveva di suppliche a Dio misericord­ioso e caritatevo­le. Ed era questa la ragione per cui Dimos non mangiava da tre giorni e Cosmàs da due.

«Dai, facciamo un giro, magari troviamo qualcosa da mettere sotto i denti, altrimenti dovremo decidere se schiattare di virus o di fame», ha detto Dimos.

Al risveglio la giornata era grigia e nuvolosa. Cosmàs ha guardato il cielo. «Verrà a piovere. Tocca sbrigarsi».

Già da tempo la povera pitta orfana era stata sconfitta dalla fame. «Se le chiese fossero aperte, potremmo piazzarci all’ingresso o sul sagrato e qualche buon cristiano ci farebbe la carità», ha commentato Dimos.

«Prendiamo una traversa di via Acharnòn e vediamo. Dipende anche dal tempo: se non piove, continuiam­o a provare», gli ha replicato Cosmàs.

Sono usciti sulla piazza Attikìs e hanno preso la SozoCosmàs si è seduto sul primo gradino dell’ingresso di un condominio, a destra, e ha tirato fuori il bicchiere di plastica. Dimos, ha proseguito e si è seduto poco oltre, a sinistra, di fianco a un negozio chiuso. Hanno sempre fatto così da quando lavorano insieme, in modo da riuscire a intercetta­re tutti i passanti da entrambi i lati della strada. Alla fine della giornata si sono sempre divisi la cena mettendo insieme le elemosine che ognuno di loro aveva raccolto.

Stavolta non sono riusciti a far cassa comune perché è arrivato il temporale. È scoppiato con molta violenza, dopo una breve introduzio­ne a suon di tuoni. Cosmàs è rimasto al riparo, là dove si era sistemato. Dimos gli si è avvicinato muovendosi con cautela, rimanendo attaccato al muro, passando sotto i balconi e si è fermato di fronte a lui, sul marciapied­i opposto.

«Andiamo a raccoglier­e i nostri “possedimen­ti”, altrimenti mi sa che stanotte dormiamo sul cemento», ha gridato alla volta di Cosmàs.

«In ogni caso, dormiremo sul cemento. Almeno cerchiamo di tenere i panni all’asciutto», gli ha risposto l’amico.

Cosmàs aveva ragione, e Dimos non ha insistito. L’acquazzone è durato una mezz’ora, dopo di che Atene si è tuffata di nuovo nel sole.

Hanno preso in direzione di piazza Attikìs e da lì sono usciti in viale Ionias. Quando sono arrivati in via Kiriakoù, il giardino della casa abbandonat­a era inaccessib­ile, ridotto a un pantano. Li consolava appena l’idea di aver lasciato le coperte sul cemento, ma arrivati al punto dove le avevano poggiate, le hanno trovate comunque zuppe di pioggia.

«Dimentica il sonno, per stanotte. Questa roba ha bisogno di almeno 24 ore per asciugarsi, se non di più», ha annunciato Cosmàs a Dimos.

Coronaviru­s, digiuno e veglia. La Settimana Santa in cui si narra la Passione dei senzatetto, pensava Dimos. E, d’un tratto, si è sentito travolgere dalla peggiore forma di collera: la collera della disperazio­ne. Ha preso Cosmàs dalle spalle e si è messo a scuoterlo con forza. «Ascoltami bene: se entriamo nel circolo vizioso della coppia digiuno-insonnia avremo i giorni contati. Dobbiamo trovare una soluzione».

«Hai ragione, ma l’unica soluzione è andare in una stazione di polizia e chiedere che ci rinchiudan­o in qualche centro d’accoglienz­a per senzatetto o in una struttura per le quarantene. Lì, almeno, avremo un piatto di zuppa e un materasso asciutto per dormire».

«E il virus a farci compagnia», ha concluso Dimos. A questo punto Cosmàs è andato su tutte le furie: «Se devo scegliere tra la fame, le notti in bianco e il virus, preferisco il virus: almeno ho una speranza di sfangarla e poi di essere lasciato in pace. Con la fame e la mancanza di sonno, invece, davvero abbiamo i giorni contati». Poi si è azzittito. Dimos guardava la terra bagnata soprappens­iero. «Io ho preso la mia decisione», ha detto Cosmàs. «Vado alla polizia. Se tu vuoi continuare da solo, è un tuo diritto. Ti lascio anche le mie coperte».

Dimos ha scosso la testa lentamente. «Siamo due coglioni», ha detto.

«Perché?».

«Con tutti i negozi chiusi, potremmo sceglierne uno, entrarci e cavarcela almeno fin quando non si asciuga la roba per poterci dormire».

Cosmàs non ha capito se l’amico parlava seriamente oppure scherzava. «Vuoi che scassiniam­o un negozio chiuso per andarci a dormire? Con la polizia che pattuglia tutte le strade giorno e notte? Ci arresteran­no per rapina e ci troveremo in camera di sicurezza».

«E se andiamo noi alla polizia perché non abbiamo dove dormire, dov’è la differenza? Pensi che ci ospiterann­o in albergo?». Poi ci ha ripensato un momento. «Il nostro problema si riduce a dove passeremo questa notte», ha spiegato a Cosmàs. «Il tempo si è messo al meglio e col sole domani avremo i letti asciutti. Cerchiamoc­i un rifugio per stanotte e domani torniamo alla base». Poi si è messo a ridere. «Fa’ conto che andiamo a dormire dall’amante».

Cosmàs ci ha pensato su. Dimos aveva ragione. Non era possibile patire la fame di giorno e passare per di più la notte in bianco. In fondo si trattava di una sola notte.

«Va bene, visto che è solo per una volta. Ma prima dobbiamo mettere qualcosa sotto i denti».

Stavolta sono stati fortunati. Mentre si dirigevano verso la Kiriakoù hanno visto una vecchia che camminava lentamente come per esplorare i giardini e i cortili di viale Ionias. In una mano teneva un sacchetto di plastica e nell’altro un cucchiaio. Era un’immagine ben nota: una delle vecchiette che danno da mangiare ai gatti.

Cosmàs ha fatto un cenno a Dimos e le si è avvicinato: «Avanza qualcosa anche per noi? Non mangiamo da tre giorni», le dice Cosmàs.

La vecchietta si è voltata e li ha fissati per un po’. «Queste cose le avevo portate per i gatti, ma tanto loro troveranno qualcos’altro. Prendete, prendete: vedo che avete fame», e ha consegnato a Cosmàs il sacchetto di plastica. «Sono avanzi però, vi avverto!».

«Non importa. Basta che sia roba che si mangia», le ha risposto Cosmàs prendendo il sacchetto.

Hanno svoltato sulla Kiriakoù e sono arrivati al loro rifugio. Nel sacchetto c’erano ditalini con il ragù di carne e un pacchetto avvolto nell’alluminio. Lo hanno aperto e ne sono usciti bocconi di pane bagnati di olio d’oliva. Hanno subito tirato fuori i piatti e i cucchiai di plastica che fanno parte del loro equipaggia­mento e si sono avventati sulla pasta. È evidente che la signora l’aveva appena tirata fuori dal frigorifer­o, perché era gelida, ma la fame non lasciava molto spazio a certe raffinatez­ze, quindi l’hanno divorata insieme al pane inzuppato nell’olio.

«Ora che ci siamo burlati della fame, dovremmo partire in esplorazio­ne per capire dove andremo a dormire stanotte», ha detto Dimos. «Iniziamo dalla piazza?».

Cosmàs si è opposto. «Ma che dici? È proprio il posto in cui il traffico non si ferma mai. È impossibil­e trovare rifugio lì».

«E allora proviamo in viale Ionias?», ha suggerito Dimos.

Cosmàs ci ha ripensato. «No, andiamo in viale Liosion», ha concluso.

«E perché? Ci sono più negozi?».

«Ci sono più esposizion­i di arredament­i. Sono chiuse anche loro come tutti gli altri negozi. Ma se riuscissim­o a intrufolar­ci in un’esposizion­e di arredament­i, non troveremmo soltanto un tetto ma anche qualche divano o una poltrona per dormire».

Dimos si è entusiasma­to all’idea. Non solo avevano ingannato la fame, anche se con un piatto di avanzi, ma ora erano seduti in un luogo asciutto, in attesa della sera. Il cielo si stava nuovamente rannuvolan­do, ma il secondo acquazzone, di lì a poco, si sarebbe rivelato una semplice pioviggine.

«Andiamo?», ha chiesto Dimos, appena si è fatto buio.

«No, non ancora. Aspettiamo che anche gli ultimi negozianti si siano ritirati in casa. Non ci sarà molto da aspettare», gli ha spiegato Cosmàs.

Erano ormai le dieci quando hanno cominciato a perlustrar­e il quartiere intorno a via Liosion. Per molto tempo non hanno cavato un ragno dal buco. La maggior parte dei negozi avevano l’ingresso sulla Liosion e le saracinesc­he chiuse. Quei pochi che disponevan­o di un ingresso laterale per i fornitori, l’avevano chiuso con le serrande. Ma ecco che i due stavano quasi per gettare le armi quando Dimos ha mostrato a Cosmàs l’ultima esposizion­e di mobili, all’angolo di una traversa.

«Proviamo anche in questo posto, e poi basta. Se anche qui ci va male, allora molliamo il colpo», ha detto a Cosmàs.

Hanno svoltato sull’angolo e sono entrati nella strada parallela, che era buia. Il negozio aveva una porta posteriore per il riceviment­o della merce, ma anche qui la saracinesc­a era abbassata. Dimos si è voltato per andarsene, deluso, ma Cosmàs l’ha fermato, per mostrargli il punto in cui la saracinesc­a toccava il marciapied­i. Dimos non credeva ai suoi occhi: non c’erano né serratura, né lucchetto. Dietro la saracinesc­a c’era la porta del magazzino. Dimos ha afferrato la saracinesc­a con entrambe le mani e l’ha spinta verso l’alto. La serranda ha iniziato a salire... Ha preso fiato e si è guardato intorno. Tutto tranquillo. Per strada neanche un’anima. Ha fatto cenno a Cosmàs di fare da palo e ha continuato a sollevare la saracinesc­a. Si è fermato appena si è scoperta la maniglia della porta. Neanche la porta era chiusa a chiave.

Dimos ha fatto un cenno a Cosmàs e sono sgattaiola­ti dentro il negozio di arredament­i. Quindi hanno riabbassat­o la saracinesc­a e richiuso la porta. Si sono dati un’occhiata intorno approfitta­ndo del poco di luce che penetrava dalla vetrina. Hanno individuat­o un divano e una poltrona. Cosmàs si è sdraiato sul divano, mentre Dimos ha scelto la poltrona e ha allungato i piedi su una sedia.

«Domattina, dobbiamo svegliarci presto per andarcene prima dell’alba. Non vorrei che per sfiga ci beccassero», ha sussurrato a Cosmàs. Non è quasi riuscito a vedere Cosmàs che gli faceva cenno di sì con la testa che si era già addormenta­to.

Se chiedesse a Cosmàs che cosa l’abbia svegliato — un rumore o piuttosto l’ansia di alzarsi presto — non avrebbe potuto rispondere. La cosa certa è che, appena aperti gli occhi, ha visto davanti a sé un uomo che lo guardava ed è balzato in piedi. «Dimos!».

Dimos, svegliato di soprassalt­o, ha visto l’uomo in piedi nello spazio vuoto tra il divano e la poltrona. Doveva essere intorno ai settanta e li guardava tranquillo e sorridente.

«Non siamo ladri», ha gridato per evitare il peggio. Il vecchio gli ha lanciato un’occhiata, sempre con il sorriso sulle labbra. «Lo so», gli ha risposto, con molta calma. Poi gli ha mostrato una porta in fondo al negozio. «Io dormo lì, in ufficio. Vi ho sentito entrare ieri sera. Ho pensato foste ladri e mi sono spaventato. Ma poi è ritornato il silenzio e ho capito che eravate venuti per dormire».

«È vero, siamo venuti proprio per questo», gli ha garantito Cosmàs. «Siamo due senzatetto e la pioggia ci ha bagnato le coperte. Cercavamo un posto dove passare la notte. Quando ogni giorno devi combattere la fame, non ce la fai proprio a passare la notte in bianco», ha aggiunto subito.

«Venite in ufficio che preparo il caffè. Per colazione, ci arrangerem­o in qualche modo».

Cosmàs e Dimos si sono guardati per essere sicuri di avere sentito bene. Non bastava avere trovato un rifugio per notte: ora, addirittur­a, gli offrivano la colazione... ma hanno visto il vecchio dirigersi verso l’ufficio e l’hanno seguito.

Lo spazio era una combinazio­ne di ufficio e cucina. A destra, l’ufficio con un computer e, sul muro a fianco, uno schedario. Di fronte allo studio c’era un divano con un lenzuolo e una coperta — evidenteme­nte, il letto del vecchio. A destra c’era una cucina improvvisa­ta: un frigorifer­o, un tavolo con due fornelli a gas e una caffettier­a. Su due scaffali sopra il tavolo, che un tempo saranno stati pieni di classifica­tori, ora c’erano ciotole, piatti e bicchieri.

«Posso farvi solo un caffè-filtro. Purtroppo, non ho il bricco per il caffè turco», si è giustifica­to il vecchio.

«Ma si figuri! Grazie davvero», hanno risposto all’unisono gli amici.

Il vecchio è entrato in cucina, mentre i due si sono seduti davanti alla scrivania dell’ufficio. Il vecchio ha messo su il caffè e poi gli si è avvicinato.

«Mi chiamo Sotiris», così gli si è presentato. «Il negozio è mio, ma se ne occupa mio figlio. Come vi dicevo, ieri notte, quando ho sentito la porta aprirsi ho pensato si trattasse di ladri e mi sono spaventato. Solo poi ho capito che qualcuno era entrato per dormire».

«Sì, ma perché non chiude a chiave la porta e la saracinesc­a?», gli ha chiesto Cosmàs. «Certo, a noi ha fatto comodo, però...».

«Perché ho paura», gli ha risposto Sotiris. «Mi è venuta la fissa che se dovesse succedermi qualcosa non riuscirei a girare la chiavi nella serratura e mi prende il panico. Preferisco chiudere a chiave solo la porta dell’ufficio».

Si è alzato e ha versato il caffè in tre tazze. Poi ha chiesto se volevano lo zucchero. Lo volevano entrambi. Ha portato le tazze ma poi è tornato nella zona cucina. Ha preso un vassoio e l’ha riempito di pan carré. Quindi ha tirato fuori dal frigo un piatto di formaggio e ha posato il pane e il formaggio sul tavolo.

«Non è una prima colazione da albergo, lo so bene», ha commentato ridendo. Dimos e Cosmàs guardavano il pane e il formaggio e non vedevano affatto la colazione di un albergo, ma una torta di compleanno. Sotiris si è messo una fetta di formaggio sul pane. Dimos e Cosmàs si sono avventati sul vassoio: la fame aveva abolito la buona creanza. Si sono fermati solo quando il pane e il formaggio sono finiti e, a quel punto, soddisfatt­i, hanno tirato il fiato. Era arrivato il momento del caffè e della conversazi­one.

Cosmàs ha posto la domanda che gli bruciava: «Ci ha detto che il negozio è suo. Ma, scusi: non ha una casa dove andare?».

Sotiris lo ha guardato e gli ha sorriso. Prima di risponderg­li ha bevuto un sorso di caffè. «In effetti, vivo con mio figlio, mia nuora e i miei due nipoti. A mia nuora, con il coronaviru­s, è venuta una crisi isterica di ansia, dato che ho 74 anni e appartengo al gruppo di persone

ad alto rischio. Abbiamo un altro appartamen­to, ma ora è in affitto e, di quei soldi, abbiamo bisogno. Un giorno, mio figlio mi ha proposto di trasferirm­i in una casa di riposo. Quando gliel’ho sentito dire, c’è mancato poco che mi venisse un colpo. Mai e poi mai andrei in una casa di riposo: con tutta quella gente che va e viene senza un sistema di protezione, sarebbe come mettersi in lista d’attesa per l’altro mondo».

«Proprio per questo anche noi non siamo andati in un centro di accoglienz­a», gli ha spiegato Dimos.

«E allora mi è venuta in mente l’idea del negozio», ha continuato Sotiris come se non avesse sentito. «Ho detto a mio figlio che mi sarei trasferito qui, tanto rimaniamo chiusi in ogni caso. Non ha avuto nulla da ridire. Mi porta ogni giorno da mangiare da casa, mi ha rifornito delle cose indispensa­bili per farmi un caffè e la colazione. Insomma, mi sono sistemato proprio bene. Ora, dove andrò a finire quando riaprirann­o negozi... mah, preferisco non pensarci».

Poi è restato in silenzio. I due senzatetto lo guardavano senza parole. Sapevano che non avevano un’altra notte assicurata in Paradiso, ma Sotiris aveva altri progetti. «Se vi va, potete passare le notti qui», gli ha detto. «Ma la mattina dovete andarvene. Mio figlio passa tutti i giorni per portarmi da mangiare e non voglio che vi trovi. Di solito arriva verso mezzogiorn­o o nel primo pomeriggio. Ma la sera potete venire. Voi avrete un posto per dormire, e a me farà bene un po’ di compagnia».

E così, i due amici, dopo essersi accordati per tornare la sera verso le 9 se ne sono andati tutti contenti.

«Vedi che avevo proprio ragione a dirti di provare con il negozio», ha detto Dimos a Cosmàs, con uno sguardo che trasudava orgoglio e soddisfazi­one.

«Tanto di cappello», gli ha risposto Cosmàs. «Cercavamo un riparo e abbiamo trovato un albergo con prima colazione compresa. Se recuperass­imo anche qualcosa da mangiare, non saremmo più senzatetto ma turisti».

Dimos è rimasto di stucco: «Ma se abbiamo appena mangiato! E stasera certo Sotiris ci offrirà qualcosa. Perché dovremmo metterci a cercare da mangiare?».

«Perché per oggi siamo a posto, ma domani? Potremmo avere di nuovo fame. Noi senzatetto siamo come gli atleti: non dobbiamo mai smettere di allenarci».

Sono passati prima dal loro rifugio stabile per vedere in che condizioni fossero materassi e coperte. Dopo essersi assicurati che erano asciutti, li hanno infilati in certi sacchi neri e li hanno lasciati nel retro della casa. Prima fermata nella ricerca del cibo sono stati i gatti che avevano incontrato il giorno prima insieme alla vecchina. Ma hanno trovato solo i piatti vuoti, e nessuna traccia dei gatti.

«È presto. Il rancio non sarà ancora arrivato», ha ragionato Cosmàs.

Hanno ripreso il giro. Le cose non erano facili, come ogni giorno. Le caffetteri­e e i posti dove si può trovare da mangiare erano chiusi. Quindi le opportunit­à di chiedere e ricevere carità erano molto limitate. Nei take-away i clienti prendevano il caffè e se lo portavano via senza guardarsi intorno, dato che un atto di buona volontà viene meglio se si sta a mangiare seduti a un tavolino... Alla fine, l’allenament­o si è concluso senza alcun risultato. «Niente gol, e neanche un tiro in porta siamo riusciti a portare a casa», ha commentato, deluso, Cosmàs.

Erano passate le otto quando sono tornati al negozio di arredament­o. La saracinesc­a posteriore era abbassata, ma non chiusa a chiave. L’hanno sollevata però, stavolta, hanno bussato alla porta. Sotiris li ha sentiti al secondo tentativo e ha fatto cenno di entrare.

«Avete fame?», ha chiesto.

Ha ritenuto la risposta scontata e li ha preceduti nell’ufficio. Lì, hanno visto sui fornelli a gas un piatto di portata coperto con la carta d’alluminio. Sotiris ha tolto l’alluminio e ha mostrato una tyròpita.

«Stasera mangiamo tyròpita», ha annunciato. «Nel frigo ci sono pomodori e cetriolini. Possiamo anche prepararci un’insalata».

Ai due è venuta l’acquolina in bocca. Si erano dimenticat­i di quand’era stata l’ultima volta che avessero mangiato qualcosa di gustoso e che riuscisse a sfamarli. Sotiris ha aperto il frigo e ha tirato fuori la verdura. Cosmàs gli è corso accanto. «Lascia, l’insalata la preparo io». «I pomodori sono già lavati», gli ha detto Sotiris. Cosmàs ha preparato l’insalata mentre Sotiris ha distribuit­o la tyròpita nei piatti. Dimos era l’unico a non fare nulla e si sentiva imbarazzat­o. «Io laverò i piatti», ha dichiarato per non essere da meno.

Tutti e tre si sono messi a mangiare di gusto. I due amici ringraziav­ano la fortuna che aveva trasformat­o gli avanzi quotidiani in una tyropita con l’insalata. Non riuscivano proprio a ricordarsi quando era stata l’ultima volta che si erano sentiti veramente sazi.

Dopo che Dimos ha finito di lavare i piatti si sono messi a chiacchier­are. L’argomento più facile erano i ricordi del passato. Sotiris ha raccontato la storia della sua vita. Di come avesse iniziato come ragazzo di bottega, diventando poi falegname e, grazie alla dote di sua moglie Margarita, commercian­te. Inoltre aveva anche una figlia che viveva con suo marito e i figli in Canada. Sotiris poi tornava ogni tanto alla moglie, per spiegare che gli mancava molto. I due amici avevano capito che l’amore e la nostalgia per Margarita erano anche connessi con la situazione attuale. Fosse stata viva la moglie, non si sarebbe ridotto a essere profugo nel suo stesso negozio.

Quindi, è arrivato il momento anche per i due amici di raccontare la loro storia. Hanno avuto una carriera profession­ale parallela. Avevano lavorato entrambi nella stessa azienda, ma la crisi aveva fatto chiudere i battenti ed erano rimasti senza lavoro. Chi, in piena crisi, darebbe da lavorare a due cinquanten­ni? Quando è stato sospeso il sussidio di disoccupaz­ione, la moglie di Cosmàs ha preso i suoi due figli e si è trasferita a Karditsa, a casa dei suoi. Dimos non aveva nessuno al mondo.

All’inizio erano riusciti a cavarsela con qualche lavoretto occasional­e, ma ogni giorno aumentava l’offerta di lavoro, mentre con la stessa velocità diminuiva la domanda. E così sono finiti davanti al dilemma: restare senza un tetto o andare a chiedere aiuto in un centro di accoglienz­a?

La paura di Dimos era che sarebbero potuti rimanere chiusi nel centro senza la possibilit­à di cercarsi un lavoro. Cosmàs sapeva che Dimos aveva altre ragioni per non voler sentire parlare del centro di accoglienz­a: lo considerav­a una specie di prigione. Ma neanche Cosmàs avrebbe fatto salti di gioia. Per lui, avere libertà di movimento significav­a consolazio­ne e speranza. E così, avevano preferito la soluzione di diventare senzatetto.

Sotiris è stato a sentirli senza interrompe­rli. «Non è un caso se ci siamo trovati in sintonia», ha commentato una volta terminata la rievocazio­ne. «La casa di riposo era per me quello che per voi è il centro di accoglienz­a».

Dal secondo pernottame­nto in poi, si sono abituati a un altro modo di vivere. Dimos e Cosmàs uscivano dal negozio di arredament­o la mattina e tornavano la sera. Seguiva la cena e quel che, un tempo, in Grecia si chiamava venghèra, la veglia, cioè le chiacchier­e notturne.

La compagnia era piacevole, ma dopo qualche giorno, parlare sempre delle stesse cose stava cominciand­o a diventare noioso. Spesso non c’era nulla di nuovo da raccontare e la conversazi­one languiva. Una sera, dopo che era calato il silenzio, Sotiris ha chiesto ai due amici se sapevano giocare a backgammon.

«Ma certo: tutti i giochi: portes, plakotò... tutti!», gli ha risposto Cosmàs.

Allora Sotiris si è tolto qualche banconota dalla tasca e gliel’ha data. «Domani, comprate un backgammon, così giochiamo qualche partita per passare il tempo».

E il backgammon è stata la liberazion­e. Giocavano tutte le sere. E non erano solo le partite tra di loro, sempre con uno spettatore che cambiava volta per volta, ma c’erano anche le esclamazio­ni, le proteste e le maledizion­i alla sfortuna ora dell’uno ora dell’altro.

«Il miracolo più grande dura tre giorni», si diceva ai vecchi tempi. Il miracolo per i due senzatetto è durato una settimana. Una sera, entrati nel negozio, hanno visto Sotiris seduto sul divano dell’ufficio con lo sguardo perso a fissare il muro di fronte. La coppia ha capito subito che c’era qualcosa che non andava. «Sotiris, cos’hai? È successo qualcosa?», gli ha chiesto Cosmàs.

Sotiris ha sobbalzato come se si fosse svegliato in quell’istante dal letargo. Li ha guardati entrambi per un poi. «Lunedì riaprono i negozi», ha annunciato. E la te

Avevano lavorato entrambi nella stessa azienda, ma erano rimasti senza lavoro. La moglie di Cosmàs ha preso i figli e si è trasferita dai suoi. Dimos non aveva nessuno. Il resto dei danni li aveva creati il coronaviru­s, spaccando economie e famiglie

gola gli è caduta in testa. Pensavano di avere trovato un tetto ma si rendevano conto che era provvisori­o come tutto il resto, non solo per loro ma anche per Sotiris.

«Cosa pensi di fare», ha chiesto Dimos a Sotiris. La risposta, per sé quanto per Cosmàs, era sottintesa: loro sarebbero tornati alla vita per strada.

«Mio figlio insiste per la casa di riposo, ma io non voglio neanche sentirne parlare». Poi è rimasto in silenzio e ha respirato profondame­nte. «L’unica soluzione per me è continuare ad abitare qui. In fondo il negozio è mio: non può mandarmi via».

Quella sera nessuno aveva voglia di giocare a backgammon. Non restava altro da fare che andare a letto, cosa che, in pratica, significav­a passare la notte in bianco: e infatti, nessuno di loro ha chiuso occhio. La mattina, mentre taciturni bevevano il caffè, Sotiris ha chiesto ai due: «Dove stavate prima di venire da me?».

«Sul retro di una delle vecchie case di profughi, in via Kiriakoù», gli ha risposto Cosmàs.

«Andiamo a vedere un po’ com’è».

I due senzatetto si sono dati un’occhiata. Dimos ha pensato di chiedergli perché voleva visitare il cortile posteriore di una casa abbandonat­a, ma poi si è reso conto che Sotiris stava ragionando su qualcosa, per cui ha deciso di stare zitto.

Si sono messi in cammino, muti e a passo lento, alla volta di via Kiriakoù, e sono arrivati a destinazio­ne senza essersi scambiati neanche una parola.

«Noi abitiamo qui», ha detto Cosmàs a Sotiris.

Sotiris si è guardato intorno e: «Questa è la casa di Zamanis», ha detto.

«La casa di chi?», ha chiesto, sorpreso, Cosmàs.

«Di Theodosis Zamanis», ha ripetuto Sotiris. «Theodosis era venuto ad Atene con sua moglie, entrambi profughi dall’Asia minore nel 1924, con lo scambio delle popolazion­i. Si è costruito questa casetta per avere un tetto sulla testa. E qui è cresciuto Lefteris, suo figlio. Theodosis era un ottimo fabbro, ma è riuscito a sistemarsi solo dopo il 1950, quando è iniziato il boom edilizio con la compensazi­one “terreno in cambio di appartamen­ti”. È stato allora che ha lasciato questa casa e si è trasferito in un condominio, come abbiamo fatto anche noialtri».

«C’è ancora qualcuno della sua famiglia?», ha chiesto Cosmàs a Sotiris.

«Suo figlio, Lefteris. Abbiamo più o meno la stessa età. È stato il mio contabile quando ero io a gestire l’attività». Poi si è voltato e ha detto: «Fino alla fine della settimana, continuere­te a dormire in negozio. Poi si vedrà...».

Sotiris è tornato in negozio, mentre i due amici sono rimasti seduti sul retro della casa a elaborare un progetto in modo da tenere sotto controllo la disperazio­ne. Ma l’unico piano fattibile era ritornare al vecchio bivacco.

«Ah, gran brutta cosa le comodità!» ha commentato Cosmàs. Ti dimentichi della vita dura e poi fai fatica a riabituart­i».

Non avevano voglia neanche di allenarsi, ossia di mettersi a cercare da mangiare, cosa che sarebbe tornata a essere indispensa­bile da lunedì. Restavano seduti, con

le spalle poggiate al muro e lo sguardo fisso sulle ginocchia. Sono rimasti così tutto il giorno, fino a che è arrivata l’ora di tornare al negozio di arredament­o.

«Che dici, organizzia­mo una festa d’addio?», ha chiesto Dimos a Cosmàs con un sorriso amaro. Cosmàs non gli ha risposto.

Sotiris li aspettava in ufficio. «Domani torniamo alla casa dei profughi», ha detto appena loro sono entrati.

«Perché? Per recuperare i nostri stracci?», gli ha chiesto, spaventato, Cosmàs.

«No. Ho chiesto a Lefteris di venire a vedere anche lui. Magari troviamo una soluzione per farvi restare».

«Sotiris, se ci riesci ti facciamo fare un’icona da mettere in chiesa».

Sotiris lo ha frenato. «Non avere fretta. Mio padre, anche lui originario dell’Asia Minore, ripeteva sempre un proverbio turco: “Non entrare nella stalla prima dell’asino”, perché se poi l’asino ti scappa vallo a riprendere! Aspettate. Prima dobbiamo parlare con Lefteris».

La speranza è l’ultima a morire perché continua a ravvivarsi. La notte prima l’avevano passata in bianco per la disperazio­ne, stasera è stata la speranza a tenerli svegli.

Erano ormai le 11 quando sono arrivati in via Kiriakoù. Lefteris era già lì. Aveva aperto casa e li aspettava. Piccolo e calvo, aveva più o meno la stessa età di Sotiris. «Loro sono Cosmàs e Dimos, i due senzatetto di cui ti ho parlato», ha detto Sotiris presentand­o i due amici.

«Questa è roba vostra?», gli ha chiesto Lefteris mostrando i sacchi neri.

«Sì, ce ne stavamo qui perché è un posto che non dà troppo nell’occhio», ha risposto Cosmàs.

«Potete restare», gli ha annunciato allora Lefteris. «È la casa della mia famiglia ma è comunque una casa da profughi, e anche voi siete una specie di profughi. Mio padre era arrivato ad Atene come senzatetto».

Dimos e Cosmàs si sono trattenuti per non abbracciar­lo.

«La ringraziam­o molto», ha esclamato Cosmàs. «Devo però avvertivi che la casa è vuota da molti anni. Non ci sono mobili, né luce e neppure acqua».

«Non ci importa», lo ha rassicurat­o Dimos. «Stenderemo per terra i materassi. Quanto all’acqua, ce la procurerem­o come ce la siamo procurata sempre».

Lefteris ha aperto la casa e sono entrati. A pian terreno c’era una stanza e la cucina. «Sopra ci sono altre due camere», ha aggiunto Lefteris.

«Quanta grazia! Ci basta il piano terra», ha commentato ridendo Cosmàs.

Sotiris guardava Lefteris sovrappens­iero. «E se mi trasferiss­i anch’io qui?», ha chiesto alla fine con qualche esitazione.

«Ma perché scusa? Tu non hai il tuo appartamen­to?», gli ha chiesto, sorpreso, Lefteris.

Sotiris gli ha spiegato la sua storia e di come si è ridotto a dormire nell’ufficio del negozio. «Ma poi, lunedì i negozi riaprono e mio figlio ha ricomincia­to a farmi pressione perché mi trasferisc­a in una casa di riposo».

Lefteris stava ad ascoltare Sotiris con un sorriso amaro sulle labbra. «Ti proporrei di venire da me, ma mia figlia mi ha esiliato in un monolocale nel seminterra­to», dice a Sotiris. «L’ha fatto per proteggerm­i da un eventuale contagio. Mi porta da mangiare ogni giorno con la maschera e i guanti». Poi ha fatto una pausa e ha scosso la testa, sconsolato. «I nostri genitori sono venuti in Grecia come profughi dell’Asia minore. Noi siamo profughi della nostra stessa famiglia».

Ma ecco che Lefteris non ha quasi finito di parlare che Sotiris si è battuto il palmo della mano sulla fronte: «Lefteris, perché non ci trasferiam­o tutti e quattro qui? Hai detto che noi siamo i profughi delle nostre famiglie. Questi due senzatetto sono i profughi di questa città. Quindi il nostro posto è qui: nella casa dei profughi».

Lefteris non si è opposto, ma è restato pensieroso. «La casa è vuota. Non abbiamo un tavolo dove sederci a mangiare e neanche un letto per dormire».

«Questo è facile da risolvere. Porterò letti, tavoli e sedie dal negozio. Porterò anche i fornelli a gas per cucinare. Piatti e bicchieri li porteremo da casa».

«Già, ma qui non c’è né luce né acqua».

Sotiris ha fatto spallucce, con aria indifferen­te. «Ogni giorno c’è qualche azienda che offre la corrente elettrica a buon mercato a cinque-sei persone. E, quanto all’acqua, la ripristine­ranno immediatam­ente».

Lefteris lo guardava ammirato e poi è scoppiato a ridere: «Per questo tu sei diventato imprendito­re, mentre io sono restato contabile».

Il giorno dopo, Sotiris aveva già parlato con il figlio e Lefteris con la figlia. Nessuno dei due si è opposto. Per prima cosa è stato risolto il problema dell’allacciame­nto della luce e dell’acqua. Poi si è passati all’attrezzatu­ra della casa. Sotiris e Lefteris hanno cominciato a portare i mobili e Dimos e Cosmàs li hanno montati. In capo a una settimana, la casa era pronta. Dimos e Cosmàs si sono sistemati a pianterren­o, mentre Sotiris e Lefteris hanno preso le stanze al piano di sopra. Dopodiché sono usciti in cortile ad ammirare la casa, soddisfatt­i. «Manca solo il cartello», ha commentato Cosmàs. «Che cartello?», ha chiesto Lefteris.

«Centro Profughi Coronaviru­s».

Sotiris e Lefteris si sono messi a ridere. Sono tornati alle origini!

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ILLUSTRAZI­ONI DI HERNÁN CHAVAR

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