Corriere della Sera - La Lettura
Ricordi, speranza, paura Fukushima 10 anni dopo
L’11 marzo 2011, alle 14.46, il Giappone subisce il sisma
più violento. Sarà un triplo disastro: terremoto, tsunami e danni irreparabili alla centrale atomica di Fukushima Daiichi, con le radiazioni che resero inabitabile una vasta area intorno all’impianto, provocando l’evacuazione della popolazione. Oltre alle vittime, circa 20 mila, il Paese e il mondo intero dovettero rivedere le politiche energetiche. Dieci anni dopo una scrittrice esalta la capacità di reazione della sua gente e un autore che è anche un fisico, e che nel 2012 visitò l’area colpita, riflette sulla necessità di «un senso nuovo» per cogliere ciò che non sappiamo neppure concepire (Katsumata Susumu — suoi i fumetti di queste pagine — aveva intuito tutto)
Sono trascorsi dieci anni dall’incidente nucleare di Fukushima Daiichi, e ora, in Giappone, si assiste al tracollo del vecchio sistema sociale. Il governo, non pensando ad altro che a sfuggire alla crisi economica causata dalla pandemia di Covid-19, ha perseguito una linea politica ambigua e superficiale e ha fallito completamente nell’opera di controllo e prevenzione dei contagi.
A causa della solita logica del profitto e di una carenza cronica nella comunicazione istituzionale, i cittadini giapponesi non hanno potuto beneficiare di indicazioni chiare e univoche e si è finito con il determinare l’aumento dell’intensità e della durata del contagio. Di giorno in giorno continuano a fallire piccole e medie imprese, chiudono negozi e ristoranti e il tasso di disoccupazione e dei suicidi cresce a ritmo vertiginoso. La campagna vaccinale ha preso avvio solo da pochi giorni. Eppure lo Stato continua ad annunciare al mondo che l’Olimpiade di Tokyo si svolgerà regolarmente e segnerà la «rinascita» dopo il grande disastro di dieci anni fa.
Ma come si fa a pronunciare un termine del genere ora che una buona parte degli aiuti economici alle regioni colpite dal terremoto e dallo tsunami del 2011 è stata sospesa? Si tratterebbe, ammesso che fosse vero, di una «rinascita» molto parziale e soggetta a profonde differenze territoriali.
La situazione attuale a Fukushima è complessa e la verità risulta più che mai inafferrabile, anche perché la diffusione del coronavirus ha reso estremamente difficile effettuare servizi giornalistici e ricerche sul campo. Ormai è stato revocato l’ordine di evacuazione relativo alle aree circostanti alla centrale di Fukushima Daiichi, dove ovviamente la concentrazione delle radiazioni risultava più elevata, e anche quella zona si sta pian piano ripopolando. Tuttavia l’opera di smantellamento degli impianti nucleari procede a rilento e con numerose difficoltà.
L’intera area, per esempio, è costellata di enormi serbatoi di acqua utilizzata per il raffreddamento dei reattori nucleari che finiscono per intralciare non poco il lavoro stesso di smantellamento. E ora, dopo la scossa di magnitudo 7.3 del 13 febbraio scorso con epicentro al largo di Fukushima, l’incubo di dieci anni fa è tornato più prepotente che mai, quasi come fosse un nuovo avvertimento da parte delle forze della natura.
In questo clima a dir poco instabile, la staffetta della fiamma olimpica dovrebbe partire a fine marzo proprio da Fukushima e richiamare l’attenzione dell’intero pianeta. Ma, come se non bastasse, sono venute di recente alla ribalta le scellerate dichiarazioni sessiste del presidente del Comitato di Tokyo 2020, Mori Yoshiro, ex primo ministro all’inizio del nuovo millennio, che hanno indotto numerosi volontari a sospendere la loro collaborazione in vista dell’Olimpiade. Mori è stato spinto a dare le dimissioni con effetto immediato e il nome di chi dovesse succedergli — l’ex campionessa Hashimoto Seiko — è stato stabilito come al solito in gran segreto, senza la minima considerazione per il metodo del consenso, ponendo una volta di più in rilievo uno dei grandi difetti del vecchio sistema sociale nipponico.
Attualmente, dei 54 reattori nucleari esistenti sul suolo giapponese prima del disastro di Fukushima, 9 rispettano la normativa di riferimento per la sicurezza nucleare e sono in funzione. Per fortuna non è prevista la costruzione di nuovi impianti ma in futuro, nell’ambito dei provvedimenti per contrastare il surriscaldamento globale, non è da escludere che non ne vengano rimessi in funzione altri. E, in assenza di un piano concreto per la collocazione delle svariate tonnellate di rifiuti radioattivi ad alta intensità in depositi in strati geologici profondi, è facile immaginare che il combustibile esaurito resterà per chissà quanto tempo nelle piscine di stoccaggio provvisorio delle varie centrali.
Ecco ciò che penso oggi, a quasi dieci anni da quel terribile 11 marzo: la stragrande maggioranza delle persone, concentrata solo a vivere il momento presente, tende a mettere da parte e dimenticare la paura con eccessiva facilità. Invece bisognerebbe soprattutto
riflettere e gridare: «Non dimentichiamo Fukushima!». Perché, se si dimentica, prima o poi si ripeterà la medesima tragedia.
Nell’ultimo decennio la politica giapponese non è affatto cambiata ma a Fukushima è in atto una grande e sincera rinascita popolare, ben diversa dalla falsa «rinascita olimpica» promossa dal governo. Il volto e la parole della gente di Fukushima, che ha lottato e continua a lottare per fronteggiare la contaminazione radioattiva, i danni da disinformazione, una politica di divisione e lacerazione e una forte discriminazione, sono incredibilmente sereni e incoraggianti. Tutti si sono riavvicinati e hanno imparato molto dalla loro terra e dalla natura.
A questo proposito mi piace citare una ricerca nell’ambito della scienza del suolo condotta congiuntamente da alcuni ricercatori universitari e un gruppo di agricoltori locali: è stato dimostrato che un certo tipo di terreno granitico ha la proprietà di imbrigliare e bloccare le sostanze radioattive e di conseguenza permette la coltivazione di prodotti non contaminati. Inoltre ritengo importante sottolineare che la rinascita di questa regione e della sua comunità si sta realizzando anche grazie alla solidarietà e all’impegno di molte donne.
Una di queste è una scrittrice nota, Yu Miri, che si è trasferita a Minamisoma, a poco più di una ventina di chilometri dalla centrale di Fukushima Daiichi, e ha aperto una libreria e un piccolo teatro, dove insegna recitazione ai liceali locali. Wago Ryoichi, poeta di Fukushima, insegnante di liceo, è molto attivo socialmente fin dall’indomani della triplice catastrofe e continua a impegnarsi in varie iniziative che coinvolgono i giovani del posto.
In una terra unita da antiche e importanti tradizioni, l’arte e la cultura possono offrire alle persone la forza per andare avanti. E per andare avanti bisogna superare le divisioni, affrontare il buio più assoluto e risollevarsi tutti insieme dalla disperazione. Perché noi esseri umani, nei momenti peggiori, quando sembra che non ci sia più nulla da fare, siamo in grado di prenderci per mano e reagire.
Come possiamo sopravvivere in quest’epoca crudele, in questo nostro mondo dominato dall’inquinamento e da mille altri problemi? La risposta non è tanto nella scienza ma in mezzo a noi, nella forza dell’uomo comune.
Ce lo insegnano Fukushima e la sua gente, gente che ha ritrovato la speranza dopo aver toccato il fondo della disperazione. Tutto il pianeta deve condividere e fare tesoro dell’esperienza di Fukushima.