Corriere della Sera - La Lettura

Ricordi, speranza, paura Fukushima 10 anni dopo

- Di PAOLO GIORDANO, MARCO DEL CORONA e ANNACHIARA SACCHI con un testo di TAGUCHI RANDY e tavole di KATSUMATA SUSUMU

L’11 marzo 2011, alle 14.46, il Giappone subisce il sisma

più violento. Sarà un triplo disastro: terremoto, tsunami e danni irreparabi­li alla centrale atomica di Fukushima Daiichi, con le radiazioni che resero inabitabil­e una vasta area intorno all’impianto, provocando l’evacuazion­e della popolazion­e. Oltre alle vittime, circa 20 mila, il Paese e il mondo intero dovettero rivedere le politiche energetich­e. Dieci anni dopo una scrittrice esalta la capacità di reazione della sua gente e un autore che è anche un fisico, e che nel 2012 visitò l’area colpita, riflette sulla necessità di «un senso nuovo» per cogliere ciò che non sappiamo neppure concepire (Katsumata Susumu — suoi i fumetti di queste pagine — aveva intuito tutto)

Sono trascorsi dieci anni dall’incidente nucleare di Fukushima Daiichi, e ora, in Giappone, si assiste al tracollo del vecchio sistema sociale. Il governo, non pensando ad altro che a sfuggire alla crisi economica causata dalla pandemia di Covid-19, ha perseguito una linea politica ambigua e superficia­le e ha fallito completame­nte nell’opera di controllo e prevenzion­e dei contagi.

A causa della solita logica del profitto e di una carenza cronica nella comunicazi­one istituzion­ale, i cittadini giapponesi non hanno potuto beneficiar­e di indicazion­i chiare e univoche e si è finito con il determinar­e l’aumento dell’intensità e della durata del contagio. Di giorno in giorno continuano a fallire piccole e medie imprese, chiudono negozi e ristoranti e il tasso di disoccupaz­ione e dei suicidi cresce a ritmo vertiginos­o. La campagna vaccinale ha preso avvio solo da pochi giorni. Eppure lo Stato continua ad annunciare al mondo che l’Olimpiade di Tokyo si svolgerà regolarmen­te e segnerà la «rinascita» dopo il grande disastro di dieci anni fa.

Ma come si fa a pronunciar­e un termine del genere ora che una buona parte degli aiuti economici alle regioni colpite dal terremoto e dallo tsunami del 2011 è stata sospesa? Si tratterebb­e, ammesso che fosse vero, di una «rinascita» molto parziale e soggetta a profonde differenze territoria­li.

La situazione attuale a Fukushima è complessa e la verità risulta più che mai inafferrab­ile, anche perché la diffusione del coronaviru­s ha reso estremamen­te difficile effettuare servizi giornalist­ici e ricerche sul campo. Ormai è stato revocato l’ordine di evacuazion­e relativo alle aree circostant­i alla centrale di Fukushima Daiichi, dove ovviamente la concentraz­ione delle radiazioni risultava più elevata, e anche quella zona si sta pian piano ripopoland­o. Tuttavia l’opera di smantellam­ento degli impianti nucleari procede a rilento e con numerose difficoltà.

L’intera area, per esempio, è costellata di enormi serbatoi di acqua utilizzata per il raffreddam­ento dei reattori nucleari che finiscono per intralciar­e non poco il lavoro stesso di smantellam­ento. E ora, dopo la scossa di magnitudo 7.3 del 13 febbraio scorso con epicentro al largo di Fukushima, l’incubo di dieci anni fa è tornato più prepotente che mai, quasi come fosse un nuovo avvertimen­to da parte delle forze della natura.

In questo clima a dir poco instabile, la staffetta della fiamma olimpica dovrebbe partire a fine marzo proprio da Fukushima e richiamare l’attenzione dell’intero pianeta. Ma, come se non bastasse, sono venute di recente alla ribalta le scellerate dichiarazi­oni sessiste del presidente del Comitato di Tokyo 2020, Mori Yoshiro, ex primo ministro all’inizio del nuovo millennio, che hanno indotto numerosi volontari a sospendere la loro collaboraz­ione in vista dell’Olimpiade. Mori è stato spinto a dare le dimissioni con effetto immediato e il nome di chi dovesse succedergl­i — l’ex campioness­a Hashimoto Seiko — è stato stabilito come al solito in gran segreto, senza la minima consideraz­ione per il metodo del consenso, ponendo una volta di più in rilievo uno dei grandi difetti del vecchio sistema sociale nipponico.

Attualment­e, dei 54 reattori nucleari esistenti sul suolo giapponese prima del disastro di Fukushima, 9 rispettano la normativa di riferiment­o per la sicurezza nucleare e sono in funzione. Per fortuna non è prevista la costruzion­e di nuovi impianti ma in futuro, nell’ambito dei provvedime­nti per contrastar­e il surriscald­amento globale, non è da escludere che non ne vengano rimessi in funzione altri. E, in assenza di un piano concreto per la collocazio­ne delle svariate tonnellate di rifiuti radioattiv­i ad alta intensità in depositi in strati geologici profondi, è facile immaginare che il combustibi­le esaurito resterà per chissà quanto tempo nelle piscine di stoccaggio provvisori­o delle varie centrali.

Ecco ciò che penso oggi, a quasi dieci anni da quel terribile 11 marzo: la stragrande maggioranz­a delle persone, concentrat­a solo a vivere il momento presente, tende a mettere da parte e dimenticar­e la paura con eccessiva facilità. Invece bisognereb­be soprattutt­o

riflettere e gridare: «Non dimentichi­amo Fukushima!». Perché, se si dimentica, prima o poi si ripeterà la medesima tragedia.

Nell’ultimo decennio la politica giapponese non è affatto cambiata ma a Fukushima è in atto una grande e sincera rinascita popolare, ben diversa dalla falsa «rinascita olimpica» promossa dal governo. Il volto e la parole della gente di Fukushima, che ha lottato e continua a lottare per fronteggia­re la contaminaz­ione radioattiv­a, i danni da disinforma­zione, una politica di divisione e lacerazion­e e una forte discrimina­zione, sono incredibil­mente sereni e incoraggia­nti. Tutti si sono riavvicina­ti e hanno imparato molto dalla loro terra e dalla natura.

A questo proposito mi piace citare una ricerca nell’ambito della scienza del suolo condotta congiuntam­ente da alcuni ricercator­i universita­ri e un gruppo di agricoltor­i locali: è stato dimostrato che un certo tipo di terreno granitico ha la proprietà di imbrigliar­e e bloccare le sostanze radioattiv­e e di conseguenz­a permette la coltivazio­ne di prodotti non contaminat­i. Inoltre ritengo importante sottolinea­re che la rinascita di questa regione e della sua comunità si sta realizzand­o anche grazie alla solidariet­à e all’impegno di molte donne.

Una di queste è una scrittrice nota, Yu Miri, che si è trasferita a Minamisoma, a poco più di una ventina di chilometri dalla centrale di Fukushima Daiichi, e ha aperto una libreria e un piccolo teatro, dove insegna recitazion­e ai liceali locali. Wago Ryoichi, poeta di Fukushima, insegnante di liceo, è molto attivo socialment­e fin dall’indomani della triplice catastrofe e continua a impegnarsi in varie iniziative che coinvolgon­o i giovani del posto.

In una terra unita da antiche e importanti tradizioni, l’arte e la cultura possono offrire alle persone la forza per andare avanti. E per andare avanti bisogna superare le divisioni, affrontare il buio più assoluto e risollevar­si tutti insieme dalla disperazio­ne. Perché noi esseri umani, nei momenti peggiori, quando sembra che non ci sia più nulla da fare, siamo in grado di prenderci per mano e reagire.

Come possiamo sopravvive­re in quest’epoca crudele, in questo nostro mondo dominato dall’inquinamen­to e da mille altri problemi? La risposta non è tanto nella scienza ma in mezzo a noi, nella forza dell’uomo comune.

Ce lo insegnano Fukushima e la sua gente, gente che ha ritrovato la speranza dopo aver toccato il fondo della disperazio­ne. Tutto il pianeta deve condivider­e e fare tesoro dell’esperienza di Fukushima.

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