Corriere della Sera - La Lettura
Gli oggetti e i progetti definiscono l’uomo
La prima selce fu il primo atto di sfida alla natura
Non è una competizione tra natura e artificio il fatto che, secondo le indicazioni della rivista «Nature», le cose create da noi abbiano superato in peso nel 2020 la biomassa (a secco) del pianeta. Fa parte, da sempre, della storia dell’uomo: è il nostro destino, anche se ora siamo arrivati a un equilibrio «instabile».
Disegnare il nuovo, difendersi dalla natura, costruire il proprio habitat, procurarsi il cibo, realizzare la prima «casa», che cosa sono se non attività progettuali, destinate a opporsi allo stato di natura? Nella nostra civiltà l’oggetto non è mai naturale; la pietra diventa oggetto solo quando assume la funzione che noi desideriamo. In quello splendido libro di Neil MacGregor, per molti anni direttore del British Museum, intitolato La storia del mondo in 100 oggetti (Adelphi, 2012), le prime due «opere» indicate — il chopper e l’ascia da pugno di Olduvai, in Tanzania — sono tra gli oggetti più antichi prodotti coscientemente dall’uomo, circa 2 milioni di anni fa.
Da allora la nostra civiltà si è sempre misurata con il «progetto», ovvero replicare e perfezionare tutte le nostre capacità «protetiche». L’ascia da pugno ha accompagnato i nostri antenati per metà della loro storia e li ha messi in condizione di popolare prima l’Africa, poi il resto del mondo. Non a caso MacGregor conclude il suo viaggio con una lampada solare cinese del 2010. Questo significa che non possiamo fare a meno delle «cose»; l’uomo trasforma la natura,replicandola artificialmente, l’ha sempre esplorata, dal camminare a piedi nudi ai viaggi spaziali (ultimo in ordine di tempo, l’approdo a Marte). Progettare è naturale, anche se è necessario interrogarsi rispetto alla relazione con uno spazio finito; il nostro habitat è questo, per ora.
Broken Nature, il titolo della Triennale di Milano nel 2019, diretta da Paola Antonelli, curatrice del Dipartimento di Architettura e Design del Moma di New York, s’interrogava intorno ai limiti di uno sviluppo industriale, teso a spezzare l’unità e la complementarietà tra natura e artificio, mostrando alcune pratiche possibili per risolvere questa contraddizione: nuovi materiali ma anche la trasformazione degli scarti, per esempio le bucce d’arancia o la polvere del caffè, in oggetti come vassoi, tavoli, arredi per la casa. L’economia circolare non è più un’affermazione di principio; è una pratica insostituibile per disegnare e progettare, partendo dal riutilizzo di tutto ciò che è necessario per la realizzazione di oggetti, ricollocando così tutte le diverse tipologie di materiali al loro punto di partenza. Far circolare e non disperdere ciò che si progetta e si produce. Bisogna ampliare la nostra conoscenza. Da un lato, tentare di conoscere ciò che sappiamo di non sapere, più del 95% dell’universo (sarà questo il tema della prossima Triennale di Milano, 2022, Unknown Unknowns, affidato all’astrofisica Ersilia Vaudo dell’Agenzia spaziale europea); dall’altro, introdurre nelle pratiche quotidiane del design e dell’architettura interventi virtuosi.
Ad esempio, a ottobre di quest’anno, nell’ambito di Expo Dubai,il padiglione italiano, progettato da Italo Rota e Carlo Ratti, sarà totalmente realizzato nel segno della circolarità; alla conclusione della manifestazione, nulla sarà disperso, tutto tornerà al suo posto per una nuova vita. Sul piano invece della formazione, da alcuni anni l’architetto Mario Cucinella, con la sua School of Sustainability,contribuisce a formare professionisti — architetti, ingegneri, tecnici — destinati a operare negli studi di progettazione con questa particolare sensibilità e conoscenza. Senza dimenticare che, comunque, l’uomo tenterà sempre di superare i propri limiti: dal cavallo alla carrozza, dall’automobile all’aereo, dall’astronave a Perseverance per viaggiare su Marte. Non si può sopprimere questo desiderio progettuale; si tratta di declinarlo all’interno di uno sviluppo sostenibile e praticabile, nel segno di una bellezza funzionale. Senza mai dimenticare che siamo parte di un tutto che non sarà mai possibile conoscere definitivamente.