Corriere della Sera - La Lettura
Non un grande attore, ma una star
1901-1961 Arrivò al cinema perché sapeva cavalcare. Interpretò l’eroe americano. «Faccio me stesso, mi conosco bene...»
Aun certo punto di Frankenstein Junior, il dottore e la creatura si esibiscono in un numero musicale alla Fred Astaire: Puttin’ on the Ritz di Irving Berlin. Peter Boyle si mette a ululare i versi che gli lancia Gene Wilder: «Dressed up like a million dollar trooper/ Trying hard to look like Gary Cooper»...
«Assomigliare a Gary Cooper», perfino per il mostro, è sinonimo di eleganza e fascino, nonché di schietta americanità. Così recita la voce a lui dedicata dal Dizionario universale del cinema di Fernaldo di Giammatteo: «In abiti civili, militari o da cowboy (Cooper è) identificato dal pubblico con l’eroe solitario e affascinante, solitario e sprezzante, leale e sincero, per il quale l’onore, l’onestà e la giustizia sono i valori fondamentali». Insomma, un all American hero, amato dal pubblico più popolare, ma non solo. Uno come Ernest Hemingway lo considerava l’interprete perfetto per i personaggi tratti da suoi romanzi: ne girerà due, Addio alle armi e Per chi suona la campana.
Cooper (1901-1961) arrivò a Los Angeles negli ultimi anni del muto per fare il vignettista satirico. Ma siccome aveva bisogno di soldi e sapeva andare bene a cavallo (era originario del Montana), finì a fare la comparsa nei western. E lì, come nella più classica delle storie hollywoodiane, fu notato da Sam Goldwyn che ne fece una star.
In realtà, per sua stessa ammissione, non fu un grande attore: ma ebbe la fortuna di rappresentare al meglio un archetipo a cui lui stesso si ispirava nella vita. Come rivelò in un’intervista: «Mi limito a esprimere il mio io. Non che questo mi dispiaccia, ho una grande simpatia per il personaggio Gary Cooper. Noi due ci conosciamo da tanti anni...».
Uomo di fede (prima protestante, poi cattolico), ebbe posizioni politiche conservatrici e ferocemente anticomuniste. Ma ai tempi del maccartismo si schierò in difesa di Carl Foreman, lo sceneggiatore di Mezzogiorno di fuoco, che era finito sulla lista nera. Minacciò di lasciare il film se Foreman fosse stato licenziato. Cooper morì prematuramente per un cancro alla prostata scoperto troppo tardi, che il diretto interessato accettò serenamente come «il volere di Dio».