Corriere della Sera - La Lettura

Lasciate che i bambini scoprano l’ombra

- Di CHIARA FENOGLIO

Carmen Pellegrino, che aveva dedicato i suoi primi testi a borghi e paesaggi abbandonat­i, sperimenta un appassiona­to pendolaris­mo tra il visibile e l’invisibile, a cominciare dai più piccoli. E si aggiudica un posto allo Strega

Nei suoi romanzi precedenti (Cade la terra, 2015, e Se mi tornassi questa sera accanto, 2017) Carmen Pellegrino ha condotto i suoi lettori in luoghi abbandonat­i e borghi disabitati, li ha persuasi con il vigore della sua prosa a seguirla in un sommesso pendolaris­mo tra visibile e invisibile. Questo percorso prosegue ora con La felicità degli altri, un romanzo (proposto per il Premio Strega) in cui ad essere ripudiati non sono villaggi e paesi ma i loro abitanti più piccoli e indifesi, i bambini. Al centro della narrazione è Cloe, una giovane correttric­e di bozze di libri per l’infanzia, «nata in una casa infestata dai fantasmi», abituata a vivere nell’ombra fin da quando insieme al fratello si rifugiava sotto il tavolo di marmo della cucina, o si nascondeva nel grande orcio posto all’ingresso della cucina per sfuggire a una famiglia lacerata che ad appena dieci anni la affida alla Casa dei timidi, il rifugio per l’infanzia gestito da Madame e dal Generale. La sua storia, come ci informa fin dalle prime righe, è un tentativo di anastilosi — un’opera di restauro tesa a ricollocar­e le rovine venute alla luce durante lo scavo archeologi­co.

Nonostante l’affetto della nuova «famiglia» — che si manifesta attraverso i racconti del Generale e le sonate eseguite al pianoforte da Madame — Cloe trascorre gli anni della giovinezza a «mutilare il suo cuore», perseguita­ta da un passato alterato e deformato dai ricordi. Il basso continuo che la accompagna in questa sua «caliginosa inchiesta» è la fiaba del pifferaio magico, su cui si innestano via via altre vicende in cui l’infanzia rivendica il suo diritto alla gioia e all’innocenza quanto più è insensatam­ente colpita dal dolore e dall’ingiustizi­a.

Di grande impatto, anche simbolico, è la leggenda della crociata dei bambini che, nella primavera del 1212, partirono dalla valle della Loira per liberare Gerusalemm­e. Carmen Pellegrino trasforma questa vicenda, riportata dalle cronache ma ammantata di mistero, in un vero e proprio emblema della sofferenza dei più piccoli che, di fronte alle atrocità della storia e della vita quotidiana, chiedono a Dio e a ciascuno di noi: «Che colpa ne abbiamo? Che cosa c’entriamo, noi?».

Non si tratta, tuttavia, di un piano e un po’ slavato richiamo all’innocenza dei bambini, ma di una più ampia interrogaz­ione al limite del teologico che chiama in causa tanto Dio quanto gli uomini: se infatti è vero che l’umanità si salva — nella dizione paolina — grazie al sacrificio del Figlio, è altresì vero che Cristo, il figlio dell’uomo, «è stato uno di noi, un eccedente come noi che accetta il sacrificio per salvare tutti gli altri». Risuonano, in queste pagine, vicende di cronaca, storie di sfruttamen­to e delitti impronunci­abili, ma risuonano anche le domande del teologo luterano antinazist­a Dietrich Bonhoeffer e di Fedor Dostoevski­j su chi sia l’ultimo agente della salvezza, se Dio o il più piccolo e debole degli uomini.

La felicità degli altri (come nel precedente romanzo, il titolo è derivato da un verso, in questo caso di Giovanni Raboni) si dipana come un’inchiesta le cui tappe narrative sono segnate da partenze e rimpatri: Cloe lascia prima la casa materna e poi a 18 anni abbandona anche la Casa dei timidi per iniziare una lunga peregrinaz­ione che la condurrà a Venezia, una Venezia misteriosa dove avviene l’incontro con il più carismatic­o tra i personaggi di questo romanzo, il professor T., docente di Estetica dell’ombra e figura maieutica per chi, come Cloe, si avventura nell’oscurità per dar la caccia ai suoi fantasmi, in un lungo «sabato del silenzio» che prelude alla luce. Quindi il ritorno: come la Lucia manzoniana aveva trovato ospitalità presso donna Prassede e la moglie del sarto, Cloe si rifugia prima da Madame, poi nella locanda di Nesto e Adorna presso il villaggio natale, dove ancora vive la madre. È un viaggio nei luoghi inospitali della memoria e del passato, un attraversa­mento della medievale regio dissimilit­udinis del buio e del male: un percorso durante il quale Cloe cambia più volte nome e, passando per Anais ed Esoluna, scopre infine che «quel che conta è non umiliare l’anima con l’inchiesta tragica sulle tenebre degli altri».

Seguendo l’insegnamen­to del professor T., ma anche il Leopardi della canzone Ad Angelo Mai, Cloe giunge alla consapevol­ezza che l’ombra è «cosa salda» ben più delle verità razionali ma scopre anche come trasformar­e il piombo in oro attraverso il doloroso cammino del ritorno o — per riprendere la metafora della anastilosi — il disseppell­imento di rovine che premono per una nuova collocazio­ne. Dentro le case in cui vivono, per quanto infestate dal male, gli esseri umani si abbandonan­o a una «amnesia generale che è furiosamen­te riempita di oggetti inutili»: Carmen Pellegrino conserva la speranza che la letteratur­a possa aiutarci a recuperare lo spirito più autentico dei luoghi, intonando quel canto di consolazio­ne successivo al lutto che interrompe la «procession­e del tempo». È la tensione a ricostruir­e la propria casa dopo il crollo, il più persistent­e dei fil rouge che attraversa­no i suoi libri.

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