Corriere della Sera - La Lettura
Inattuale a 23 anni e 111 anni dopo (eppure così vivo)
Carlo Michelstaedter affidò ai versi la stessa ansia metafisica che riversò nei testi filosofici
Cade la pioggia triste senza posa a stilla a stilla e si dissolve. Trema la luce d'ogni cosa. Ed ogni cosa sembra che debba nell'ombra densa dileguare e quasi nebbia bianchiccia perdersi e morire mentre filtri voluttüosamente oltre i diafani fili di pioggia come lame d'acciaio vibranti. Così l'anima mia si discolora e si dissolve indefinitamente che fra le tenui spire l'universo volle abbracciare. Ahi! che svanita come nebbia bianca nell'ombra folta della notte eterna è la natura e l'anima smarrita palpita e soffre orribilmente sola sola e cerca l'oblio. A cavallo tra letteratura e filosofia l’opera di Carlo Michelstaedter rientra tutta nella costellazione dell’inattualità. Il suo momento s’attende in pratica da sempre, come se prima o poi i pianeti dovessero per forza allinearsi e favorire una sua ricezione più diffusa. Eppure questo allineamento a tutt’oggi non sembra davvero pensabile. Anzi, il sospetto è che lo scrittore goriziano sia inattuale per costituzione, in quanto è la sua stessa opera, versi o prosa che sia, a portare inscritta nel proprio codice genetico questa specie d’eterna, impossibile collocazione fuori tempo e luogo. E del resto le ragioni della sua necessità e presenza — Michelstaedter ha avuto nel corso del tempo lettori tanto esclusivi quanto appassionati e fedeli — risiedono paradossalmente proprio nel suo fare sempre parte a sé, nel suo essere comunque d’altra specie.
Se si escludono gli anni della formazione intellettuale e dell’apprendistato espressivo, la sua vicenda si concentra di fatto nel biennio 1909-1910. Sono questi i mesi delle sue poesie più consapevoli e mature, nonché della sua opera probabilmente più significativa, La Persuasione e la Rettorica, una tesi di laurea d’argomento filosofico che tuttavia Michelstaedter non arrivò a discutere. Il 17 ottobre 1910 si tolse infatti la vita con un colpo di rivoltella. Aveva compiuto da poco 23 anni. Esattamente il giorno prima aveva portato a termine il suo lavoro maggiore.
Le poesie e lo studio filosofico andrebbero dunque letti fianco a fianco, perché fanno parte di un’unica riflessione, sebbene condotta con strumenti diversi, sull’esistenza e sul destino dell’uomo. I motivi d’interesse, le argomentazioni di fondo, i passaggi logici, la visione delle cose, la radicalità dei pronunciamenti, sono comunque gli stessi. In entrambi i casi, tra l’altro, si tratta di opere postume. In particolare, i componimenti poetici hanno conosciuto nel corso del tempo diverse edizioni più o meno esaurienti. In tal senso il volume delle Poesie, uscito per Adelphi a cura di Sergio Campailla in una nuova edizione riveduta e ampliata, costituirà da oggi il Il testo è tratto dalle Poesie di Carlo Michelstaedter (Gorizia, all’epoca Austria-Ungheria, 3 giugno 1887 – Gorizia, 17 ottobre 1910: foto Archivio Corsera) curate da Sergio Campailla per Adelphi testo di riferimento per chi voglia leggere o studiare quest’autore. Rispetto alle edizioni precedenti, la novità è costituita da un gruppo di poesie dell’adolescenza, che come spiega il curatore (Campailla è il maggior studioso di Michelstaedter) sono sopravvissute in modo più eroico che rocambolesco. Come si potrà leggere nelle note ai testi, c’entrano infatti le persecuzioni razziali (lo scrittore era di famiglia ebraica) e soprattutto il coraggio di una vicina di casa negli anni della Seconda guerra mondiale.
Se si guardano di scorcio queste poesie ciò che colpisce non è l’originalità dell’intonazione o del tessuto espressivo, che anzi almeno nei primi anni risultano l’una e l’altro piuttosto scolastici (Carducci, d’Annunzio, una tradizione italiana un po’ enfatica quale si poteva studiare allora al ginnasio); ma la fissità e la dismisura dell’interrogazione, messa a fuoco, questa sì, prestissimo. Il grande, unico tema di Michelstaedter è l’endiadi vita-morte, declinata spesso e volentieri in quella amore-morte. E se pure non si tratta che delle due facce di una stessa medaglia, è comunque dal lato oscuro che pende sempre più lo sguardo del giovane poeta. Non è un caso allora che Leopardi sia l’autore, e di gran lunga, più influente su di lui. Basta sentirlo: «Così è fuggita e fugge giovinezza/ ed i miei sogni e la speranza antica»; o ancora: «Tu mi sei cara mille volte, o morte».
Non sorprende allora la totale assenza in Michelstaedter d’inclinazioni e interessi domestici, intimistici, crepuscolari. Non stava di casa in questo mondo, nelle «dolci e care cose» dell’esistenza quotidiana, come scrive nella sua poesia più bella, I figli del mare. Inadattabile e assolutista, era spinto però da un vitalismo non fisico, ma di natura intellettuale e spirituale. È questo che gli ha dettato gli accenti migliori, lì dove la logica e la volizione sconfinano nel cortocircuito del pensiero, fino al punto di non ritorno: «Vana è la pena e vana la speranza,/ tutta è la vita arida e deserta,/ finché in un punto si raccolga in porto,/ di sé stessa in un punto faccia fiamma».