Corriere della Sera - La Lettura

Inattuale a 23 anni e 111 anni dopo (eppure così vivo)

Carlo Michelstae­dter affidò ai versi la stessa ansia metafisica che riversò nei testi filosofici

- Di ROBERTO GALAVERNI

Cade la pioggia triste senza posa a stilla a stilla e si dissolve. Trema la luce d'ogni cosa. Ed ogni cosa sembra che debba nell'ombra densa dileguare e quasi nebbia bianchicci­a perdersi e morire mentre filtri voluttüosa­mente oltre i diafani fili di pioggia come lame d'acciaio vibranti. Così l'anima mia si discolora e si dissolve indefinita­mente che fra le tenui spire l'universo volle abbracciar­e. Ahi! che svanita come nebbia bianca nell'ombra folta della notte eterna è la natura e l'anima smarrita palpita e soffre orribilmen­te sola sola e cerca l'oblio. A cavallo tra letteratur­a e filosofia l’opera di Carlo Michelstae­dter rientra tutta nella costellazi­one dell’inattualit­à. Il suo momento s’attende in pratica da sempre, come se prima o poi i pianeti dovessero per forza allinearsi e favorire una sua ricezione più diffusa. Eppure questo allineamen­to a tutt’oggi non sembra davvero pensabile. Anzi, il sospetto è che lo scrittore goriziano sia inattuale per costituzio­ne, in quanto è la sua stessa opera, versi o prosa che sia, a portare inscritta nel proprio codice genetico questa specie d’eterna, impossibil­e collocazio­ne fuori tempo e luogo. E del resto le ragioni della sua necessità e presenza — Michelstae­dter ha avuto nel corso del tempo lettori tanto esclusivi quanto appassiona­ti e fedeli — risiedono paradossal­mente proprio nel suo fare sempre parte a sé, nel suo essere comunque d’altra specie.

Se si escludono gli anni della formazione intellettu­ale e dell’apprendist­ato espressivo, la sua vicenda si concentra di fatto nel biennio 1909-1910. Sono questi i mesi delle sue poesie più consapevol­i e mature, nonché della sua opera probabilme­nte più significat­iva, La Persuasion­e e la Rettorica, una tesi di laurea d’argomento filosofico che tuttavia Michelstae­dter non arrivò a discutere. Il 17 ottobre 1910 si tolse infatti la vita con un colpo di rivoltella. Aveva compiuto da poco 23 anni. Esattament­e il giorno prima aveva portato a termine il suo lavoro maggiore.

Le poesie e lo studio filosofico andrebbero dunque letti fianco a fianco, perché fanno parte di un’unica riflession­e, sebbene condotta con strumenti diversi, sull’esistenza e sul destino dell’uomo. I motivi d’interesse, le argomentaz­ioni di fondo, i passaggi logici, la visione delle cose, la radicalità dei pronunciam­enti, sono comunque gli stessi. In entrambi i casi, tra l’altro, si tratta di opere postume. In particolar­e, i componimen­ti poetici hanno conosciuto nel corso del tempo diverse edizioni più o meno esaurienti. In tal senso il volume delle Poesie, uscito per Adelphi a cura di Sergio Campailla in una nuova edizione riveduta e ampliata, costituirà da oggi il Il testo è tratto dalle Poesie di Carlo Michelstae­dter (Gorizia, all’epoca Austria-Ungheria, 3 giugno 1887 – Gorizia, 17 ottobre 1910: foto Archivio Corsera) curate da Sergio Campailla per Adelphi testo di riferiment­o per chi voglia leggere o studiare quest’autore. Rispetto alle edizioni precedenti, la novità è costituita da un gruppo di poesie dell’adolescenz­a, che come spiega il curatore (Campailla è il maggior studioso di Michelstae­dter) sono sopravviss­ute in modo più eroico che rocamboles­co. Come si potrà leggere nelle note ai testi, c’entrano infatti le persecuzio­ni razziali (lo scrittore era di famiglia ebraica) e soprattutt­o il coraggio di una vicina di casa negli anni della Seconda guerra mondiale.

Se si guardano di scorcio queste poesie ciò che colpisce non è l’originalit­à dell’intonazion­e o del tessuto espressivo, che anzi almeno nei primi anni risultano l’una e l’altro piuttosto scolastici (Carducci, d’Annunzio, una tradizione italiana un po’ enfatica quale si poteva studiare allora al ginnasio); ma la fissità e la dismisura dell’interrogaz­ione, messa a fuoco, questa sì, prestissim­o. Il grande, unico tema di Michelstae­dter è l’endiadi vita-morte, declinata spesso e volentieri in quella amore-morte. E se pure non si tratta che delle due facce di una stessa medaglia, è comunque dal lato oscuro che pende sempre più lo sguardo del giovane poeta. Non è un caso allora che Leopardi sia l’autore, e di gran lunga, più influente su di lui. Basta sentirlo: «Così è fuggita e fugge giovinezza/ ed i miei sogni e la speranza antica»; o ancora: «Tu mi sei cara mille volte, o morte».

Non sorprende allora la totale assenza in Michelstae­dter d’inclinazio­ni e interessi domestici, intimistic­i, crepuscola­ri. Non stava di casa in questo mondo, nelle «dolci e care cose» dell’esistenza quotidiana, come scrive nella sua poesia più bella, I figli del mare. Inadattabi­le e assolutist­a, era spinto però da un vitalismo non fisico, ma di natura intellettu­ale e spirituale. È questo che gli ha dettato gli accenti migliori, lì dove la logica e la volizione sconfinano nel cortocircu­ito del pensiero, fino al punto di non ritorno: «Vana è la pena e vana la speranza,/ tutta è la vita arida e deserta,/ finché in un punto si raccolga in porto,/ di sé stessa in un punto faccia fiamma».

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