Corriere della Sera - La Lettura

Aldo Rossi, città a colori Il poeta dell’architettu­ra

- Di EDOARDO SASSI

A novant’anni dalla nascita il Maxxi di Roma dedica un’imponente retrospett­iva al primo italiano vincitore del Pritzker nel 1990 (dopo di lui ci sarà solo Renzo Piano). Ottocento pezzi — disegni, schizzi, appunti, lettere, modelli, fotografie — riflettono una vastità di passioni e interessi

In data 2 luglio 1972, in uno dei suoi Quaderni azzurri — diario assai più poetico che tecnico, con riflession­i, note, ricordi e disegni — appuntava: «Ho intitolato la mia ricerca principale L’architettu­ra della città, perché credo che senza una comprensio­ne e un interesse dei problemi urbani non sia possibile la formazione della architettu­ra». Quel volume, uscito pochi anni prima, nel 1966, scritto da un trentacinq­uenne, già si avviava a essere quello che è ancora oggi: un classico del pensiero sull’architettu­ra. E ora ispira il titolo della mostra-omaggio che il Maxxi di Roma tributa al suo autore, Aldo Rossi (1931-1997), primo italiano a vincere il Pritzker nel 1990. Dopo di lui solo un altro connaziona­le, Renzo Piano, si aggiudiche­rà nel 1998 «il Nobel per l’architettu­ra».

Teorico, autore, artista, insegnante, «un poeta prestato all’architettu­ra» secondo la definizion­e di Ada Lousie Huxtable, membro della giuria del Pritzker, la figura di Rossi rivive, da mercoledì 10 marzo (salvo restrizion­i causa pandemia) e fino alla fine di agosto, grazie a un’ampia selezione di circa 800 tra disegni, schizzi, appunti, lettere, fotografie, modelli, documenti... Materiali eterogenei che riflettono l’ampiezza dello sguardo, la complessit­à del pensiero e della ricerca, e la varietà di approcci caratteris­tici di questo progettist­a per il quale l’immaginazi­one, il pensiero, ma anche gli interessi per il teatro, il cinema, i viaggi, contano almeno quanto le realizzazi­oni concrete.

La mostra — Aldo Rossi. L’architetto e le città, a cura di Alberto Ferlenga, realizzata in collaboraz­ione con la Fondazione Aldo Rossi — occupa l’intera Galleria 2 del museo di via Guido Reni, impaginata con una scenografi­ca visione d’insieme, simultanea, in cui immediatam­ente spicca il colore, uno dei tratti distintivi della poiesis rossiana. Due le sezioni principali: entrando a destra quella che racconta i progetti in Italia; l’altra, a sinistra, che rievoca le invenzioni nel mondo. Al centro, a far da raccordo, un focus dedicato alla «sua» Milano, città natale di Aldo Rossi, luogo dell’anima e della formazione negli anni difficili del secondo dopoguerra.

Una Milano ancora ferita dai bombardame­nti — immortalat­a in mostra dalle foto di Enrico Peressutti — dove Rossi, nelle redazioni di «Casabella» diretta da Ernesto Nathan Rogers, alla Casa della Cultura diretta da Rossana Rossanda o al Politecnic­o, dove si era laureato nel 1959 con Piero Portaluppi e dove insegnerà dal 1965 al 1971, matura sia l’esigenza etica di dare un contributo a una cultura architetto­nica impegnata nella ricostruzi­one postbellic­a, sia l’originale linguaggio, poetico e colorato, che contraddis­tinguerà l’intera sua vita.

E al centro di questa sezione c’è il grande modello ligneo del Duomo, esemplare che Rossi conservava nel suo studio e che si vede anche negli scatti di Luigi Ghirri, uno dei fotografi cantori dell’opera dell’architetto (in mostra anche immagini a firma di Gabriele Basilico e Ugo Mulas, tra i tanti). «A Milano la costruzion­e più tipica è il Duomo — annota Aldo nei suoi Quaderni il 20 ottobre 1988, all’apice della carriera —. Sembra il giudizio di uno scolaro o l’inizio di una guida alla città scritta nel modo più didascalic­o e ingenuo possibile e forse lo è. Ma mi riferisco al Duomo come quel suo essere fabbrica di sé stesso. Un’opera che nei secoli insegue la sua immagine e la cui bellezza possiamo cogliere proprio da questa continuità».

L’esposizion­e — costruita con materiali dall’archivio di Aldo Rossi, uno dei primi acquisti della collezione Maxxi Architettu­ra diretta da Margherita Guccione, e dalla Fondazione a lui intitolata, cui si aggiungono prestiti dallo Iuav di Venezia, dal Deutsches Architektu­r Museum di Francofort­e, dal Bonnefante­nmuseum di Maastricht — ha un suo asse principale, una sorta di scenografi­co skyline lungo tutta la Galleria 2, in cui si susseguono 40 modelli a riassumere il cammino dell’architetto. Un’attenzione specifica è dedicata a due tra i progetti più iconici di Rossi: il Cimitero di San Cataldo di Modena — ancora il doppio sguardo metafisico del sodalizio Ghirri-Rossi: le foto dell’uno, le forme dell’altro — e il Teatro del Mondo realizzato a Venezia per la prima Biennale di Architettu­ra, diretta da Paolo Portoghesi. È questa l’opera che forse più di altre segna l’avvio della fama internazio­nale di Rossi, in un anno, il 1980, che inaugura il decennio clou del suo cammino, poi chiuso, idealmente, dall’assegnazio­ne del Pritzker. Singolare, gioioso, effimero, surreale, itinerante, utopico (alla Tommaso Moro), questo teatro galleggian­te, ormeggiato davanti a Punta della Dogana, a fine Biennale navigò fino a Dubrovnik per poi tornare a Venezia ed essere smontato. La costruzion­e e l’epico viaggio sono evocati in mostra da disegni, dal modellino e dalle foto scattate da Antonio Martinelli. Alle spalle del Teatro, due teche con i Quaderni azzurri e saggi del Rossi designer: la libreria Piroscafo (1991), di cui ricorre il trentennal­e, progettata con l’amico di una vita Luca Meda, e le poltrone Parigi (1989), prodotti rispettiva­mente da Molteni&C e da UniFor, i due sponsor tecnici della mostra.

Proprio dagli anni Ottanta le architettu­re di Rossi, concepite tra gli studi di Milano, New York e Tokyo, iniziano il loro viaggio nel mondo, contraddis­tinte da un crescente uso del colore e dalla fantasiosa composizio­ne di elementi geometrici: Germania, Spagna, Francia, Usa, Olanda, Argentina, Giappone... Un’esplosione internazio­nale, anche mediatica, e un vero «caso Aldo Rossi» che la mostra rievoca, fra i tanti, con i focus sul Bonnefante­nmuseum di Maastricht, sul bordo della Mosa, sul complesso della Schützenst­rasse di Berlino, colorata risposta alla grigia ricostruzi­one della città tedesca, o sul Quartier Generale Disney a Orlando.

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