Corriere della Sera - La Lettura
Aldo Rossi, città a colori Il poeta dell’architettura
A novant’anni dalla nascita il Maxxi di Roma dedica un’imponente retrospettiva al primo italiano vincitore del Pritzker nel 1990 (dopo di lui ci sarà solo Renzo Piano). Ottocento pezzi — disegni, schizzi, appunti, lettere, modelli, fotografie — riflettono una vastità di passioni e interessi
In data 2 luglio 1972, in uno dei suoi Quaderni azzurri — diario assai più poetico che tecnico, con riflessioni, note, ricordi e disegni — appuntava: «Ho intitolato la mia ricerca principale L’architettura della città, perché credo che senza una comprensione e un interesse dei problemi urbani non sia possibile la formazione della architettura». Quel volume, uscito pochi anni prima, nel 1966, scritto da un trentacinquenne, già si avviava a essere quello che è ancora oggi: un classico del pensiero sull’architettura. E ora ispira il titolo della mostra-omaggio che il Maxxi di Roma tributa al suo autore, Aldo Rossi (1931-1997), primo italiano a vincere il Pritzker nel 1990. Dopo di lui solo un altro connazionale, Renzo Piano, si aggiudicherà nel 1998 «il Nobel per l’architettura».
Teorico, autore, artista, insegnante, «un poeta prestato all’architettura» secondo la definizione di Ada Lousie Huxtable, membro della giuria del Pritzker, la figura di Rossi rivive, da mercoledì 10 marzo (salvo restrizioni causa pandemia) e fino alla fine di agosto, grazie a un’ampia selezione di circa 800 tra disegni, schizzi, appunti, lettere, fotografie, modelli, documenti... Materiali eterogenei che riflettono l’ampiezza dello sguardo, la complessità del pensiero e della ricerca, e la varietà di approcci caratteristici di questo progettista per il quale l’immaginazione, il pensiero, ma anche gli interessi per il teatro, il cinema, i viaggi, contano almeno quanto le realizzazioni concrete.
La mostra — Aldo Rossi. L’architetto e le città, a cura di Alberto Ferlenga, realizzata in collaborazione con la Fondazione Aldo Rossi — occupa l’intera Galleria 2 del museo di via Guido Reni, impaginata con una scenografica visione d’insieme, simultanea, in cui immediatamente spicca il colore, uno dei tratti distintivi della poiesis rossiana. Due le sezioni principali: entrando a destra quella che racconta i progetti in Italia; l’altra, a sinistra, che rievoca le invenzioni nel mondo. Al centro, a far da raccordo, un focus dedicato alla «sua» Milano, città natale di Aldo Rossi, luogo dell’anima e della formazione negli anni difficili del secondo dopoguerra.
Una Milano ancora ferita dai bombardamenti — immortalata in mostra dalle foto di Enrico Peressutti — dove Rossi, nelle redazioni di «Casabella» diretta da Ernesto Nathan Rogers, alla Casa della Cultura diretta da Rossana Rossanda o al Politecnico, dove si era laureato nel 1959 con Piero Portaluppi e dove insegnerà dal 1965 al 1971, matura sia l’esigenza etica di dare un contributo a una cultura architettonica impegnata nella ricostruzione postbellica, sia l’originale linguaggio, poetico e colorato, che contraddistinguerà l’intera sua vita.
E al centro di questa sezione c’è il grande modello ligneo del Duomo, esemplare che Rossi conservava nel suo studio e che si vede anche negli scatti di Luigi Ghirri, uno dei fotografi cantori dell’opera dell’architetto (in mostra anche immagini a firma di Gabriele Basilico e Ugo Mulas, tra i tanti). «A Milano la costruzione più tipica è il Duomo — annota Aldo nei suoi Quaderni il 20 ottobre 1988, all’apice della carriera —. Sembra il giudizio di uno scolaro o l’inizio di una guida alla città scritta nel modo più didascalico e ingenuo possibile e forse lo è. Ma mi riferisco al Duomo come quel suo essere fabbrica di sé stesso. Un’opera che nei secoli insegue la sua immagine e la cui bellezza possiamo cogliere proprio da questa continuità».
L’esposizione — costruita con materiali dall’archivio di Aldo Rossi, uno dei primi acquisti della collezione Maxxi Architettura diretta da Margherita Guccione, e dalla Fondazione a lui intitolata, cui si aggiungono prestiti dallo Iuav di Venezia, dal Deutsches Architektur Museum di Francoforte, dal Bonnefantenmuseum di Maastricht — ha un suo asse principale, una sorta di scenografico skyline lungo tutta la Galleria 2, in cui si susseguono 40 modelli a riassumere il cammino dell’architetto. Un’attenzione specifica è dedicata a due tra i progetti più iconici di Rossi: il Cimitero di San Cataldo di Modena — ancora il doppio sguardo metafisico del sodalizio Ghirri-Rossi: le foto dell’uno, le forme dell’altro — e il Teatro del Mondo realizzato a Venezia per la prima Biennale di Architettura, diretta da Paolo Portoghesi. È questa l’opera che forse più di altre segna l’avvio della fama internazionale di Rossi, in un anno, il 1980, che inaugura il decennio clou del suo cammino, poi chiuso, idealmente, dall’assegnazione del Pritzker. Singolare, gioioso, effimero, surreale, itinerante, utopico (alla Tommaso Moro), questo teatro galleggiante, ormeggiato davanti a Punta della Dogana, a fine Biennale navigò fino a Dubrovnik per poi tornare a Venezia ed essere smontato. La costruzione e l’epico viaggio sono evocati in mostra da disegni, dal modellino e dalle foto scattate da Antonio Martinelli. Alle spalle del Teatro, due teche con i Quaderni azzurri e saggi del Rossi designer: la libreria Piroscafo (1991), di cui ricorre il trentennale, progettata con l’amico di una vita Luca Meda, e le poltrone Parigi (1989), prodotti rispettivamente da Molteni&C e da UniFor, i due sponsor tecnici della mostra.
Proprio dagli anni Ottanta le architetture di Rossi, concepite tra gli studi di Milano, New York e Tokyo, iniziano il loro viaggio nel mondo, contraddistinte da un crescente uso del colore e dalla fantasiosa composizione di elementi geometrici: Germania, Spagna, Francia, Usa, Olanda, Argentina, Giappone... Un’esplosione internazionale, anche mediatica, e un vero «caso Aldo Rossi» che la mostra rievoca, fra i tanti, con i focus sul Bonnefantenmuseum di Maastricht, sul bordo della Mosa, sul complesso della Schützenstrasse di Berlino, colorata risposta alla grigia ricostruzione della città tedesca, o sul Quartier Generale Disney a Orlando.