Corriere della Sera - La Lettura
Faremo ruotare i tesori delle Terme di Diocleziano
Stéphane Verger, da poco direttore del Museo nazionale romano, accoglie «la Lettura» in questo straordinario complesso archeologico, ricchissimo di depositi mai visti. «Vogliamo aprire a tutti giardini e magazzini»
L’Artemide di Ariccia è in una cassa in legno aperta frontalmente. Imponente. Misteriosa. È al centro dell’Aula I delle Terme di Diocleziano, lì nella sua custodia impolverata dal tempo, di fronte ad altre simili, azzurre, più recenti. Documenti e foto sbiadite incollate sopra spiegano che cosa c’è all’interno. Reperti tornati da mostre in musei lontani, Cina o Stati Uniti, o protetti dopo rinvenimenti casuali avvenuti tempo fa. La dea della caccia scruta dall’alto le protezioni lignee che conservano statue sorelle della sua epoca, sarcofagi di epoca cristiana, arti mutilati di divinità minori. La maestosità è intatta, nonostante il legno impolverato che da anni la conserva e preserva; un cartellino sbiadito, scritto a mano da un archeologo del passato, svela che venne ritrovata in località Cese nel 1919.
«È una copia, un rifacimento in marmo del II secolo d.C. di una statua greca del V a.C. — racconta Stéphane Verger, direttore del Museo nazionale romano — io stesso prima l’avevo vista e studiata solo sui manuali. Osservarla per la prima volta dal vivo è stupefacente». Un aggettivo per nulla esagerato, perché entrare nei magazzini del Museo nazionale romano, visitati da «la Lettura», in parte conservati nelle Aule da I a VII del complesso monumentale, provoca una suggestione difficile da raccontare. Ci si avvicina alla bellezza pura della storia romana scolpita nel marmo e narrata da visi e leggende impressi su sarcofagi, steli funerarie, mosaici, busti, epigrafi. Vicende che sono divenute pietre e marmi, ma anche racconti eterni, che solo archeologi, studiosi e curatori finora hanno visto.
Lo stesso direttore, in carica dal novembre 2020, quando è entrato per la prima volta nei depositi, pensava di trovarsi prevalentemente davanti a gessi, poi ha scoperto che i rifacimenti erano pochissimi, «la maggior parte dei pezzi sono originali e tantissimi quelli di pregio».
Scoperti in molti casi in scavi urbani, mentre si costruivano palazzi, strade, piazze o stazioni della metropolitana, oppure durante i grandi interventi urbanistici che hanno riguardato la capitale nei secoli. Pezzi poi archiviati, studiati e conservati lì in attesa di una nuova vita. Che per molti non è mai arrivata.
Come la grande base circolare in marmo, scolpita finemente, dove con ogni probabilità era poggiato un grande monumento, «che mostra le Menadi danzanti», spiega Verger. Di fronte a questa base monumentale ci sono altre casse azzurre sigillate, dentro i ritrovamenti che provengono dal «porto fluviale», datati 29/X/07: così è scritto su un foglietto attaccato. E da allora lì conservati. «La ricchezza delle continue scoperte che offre Roma con i suoi dintorni rende i nostri depositi posti vivi, in movimento e mai sufficienti, anche per questo stiamo lavorando per mostrare in maniera stanziale parte dei pezzi più pregiati nascosti nei nostri magazzini e contemporaneamente pensiamo di farne ruotare altri, magari più piccoli, organizzando mostre tematiche — aggiunge Verger, riprendendo una riflessione fatta anche da Vincenzo Trione su “la Lettura” # 480 del 7 febbraio — che permettano di far conoscere ai visitatori anche quello che c’è dietro il museo conosciuto».
Le grandi Aule delle Terme non ancora visitabili sono edifici enormi (per comprenderne la vastità si pensi che l’VIII, già area espositiva, misura 44 metri per 20) che si andranno ad aggiungere a quelle già aperte al pubblico. Le Terme di Diocleziano — erette nel IV secolo d.C. — sono un complesso monumentale unico per dimensioni e per l’eccezionale stato di conservazione: è il più grande stabilimento termale costruito nel mondo romano. Trasformato da Michelangelo, che vi realizzò la basilica di Santa Maria degli Angeli e la Certosa, ospita il Museo nazionale romano fondato nel 1889, accresciuto dalle preziosi acquisizioni di Palazzo Massimo, Palazzo Altemps e Crypta Balbi.
In questo viaggio privilegiato nei depositi l’occhio non sa dove fermarsi, se sul mosaico poggiato da anni nell’Aula VII, un intreccio vegetale perfetto; o su quello conservato nell’ambiente successivo che proviene da scavi fatti a Palazzo Chigi, come spiega una scritta a matita su un cartellino; o sul sarcofago cristiano del III secolo d.C. con i volti degli sposi e l’iscrizione che ne racconta la famiglia e la provenienza. Sono decorati con sculture di inspirazione biblica, con il prodigio di Giona e la balena e un Gesu miracoloso che risveglia Lazzaro, restituisce la vista a un cieco, moltiplica i pani e fa camminare un paralitico.
Usciti all’esterno, attraversata la natatio, la grande piscina delle Terme, si entra in un giardino che da tempo è un ricovero (coperto con onduline) di altari e stele funerarie, «ritrovate nelle necropoli di Roma dall’Ottocento in poi», dice Verger. Opere (tante) che nessuno ha mai visto. Come un busto di Zeus del II secolo d.C., riproduzione di una statua greca. «Vogliamo trasformare quest’area esterna da magazzino — continua il direttore — in un giardino di “pietra”, aperto ai visitatori, allestendolo con i reperti che custodisce da anni». Un progetto simile riguarderà il deposito «Garibaldini», struttura enorme che nei programmi di Verger potrebbe diventare il primo «magazzino visitabile». Qui i reperti deposti in cassette di plastica, numerate e archiviate con indicazioni della provenienza, sono conservati su ripiani calpestabili da cantiere. Teste di fanciulli, busti di divinità, visi di vestali e dee, piedi di atleti si intravedono fra travi in legno e tubi Innocenti: in attesa di essere mostrati riposano accanto a imballi con opere provenienti da sequestri di reperti rubati o trafugati, ritrovati prima di scomparire nei mercati clandestini d’arte di mezzo mondo.
Obiettivo del direttore: «Vogliamo valorizzare e mostrare quello che conserviamo con cura. Vogliamo rendere disponibili ulteriori spazi espositivi già nostri — continua — per mostrare a tutti la ricchezza del museo dietro le quinte, anche illustrando il lavoro di conservazione». Come quello che appare già perfetto nel deposito dei «bolli», archiviati in cassetti verdi scorrevoli che si aprono a scatto e mostrano laterizi marchiati: fondamentali per gli studiosi, affascinanti per un visitatore.
Un altro progetto futuro riguarda il vicino Palazzo Massimo, dove molte opere sono incastonate in casse nei muri dietro le pitture, «come accade al Colombario di Villa Pamphili di cui una parte non è visibile — conclude Verger — o agli affreschi di Villa Farnesina, che vogliamo fare riaffiorare nella loro interezza portando alla luce il dipinto dietro il dipinto».