Corriere della Sera - La Lettura
«Perché ho premiato i disegni più strani»
L’autrice e artista Beatrice Alemagna racconta la sua esperienza di giurata alla Mostra degli Illustratori della Bologna Children’s Book Fair. «Scelti lavori che contengono un grido di libertà, riflesso del periodo che stiamo vivendo»
La voglia di libertà, accumulata in dosi massicce durante l’anno della pandemia si traduce, in una prospettiva artistica, nel tentativo di «uscire dai confini della pagina», di andare «oltre i contorni di una figura», di smarcarsi da «ciò è ben fatto ma prevedibile», a vantaggio di «qualcosa di inatteso e strano» che possa stupire e far correre la fantasia. Così Beatrice Alemagna, la più internazionale delle autriciillustratrici italiane (e non solo perché da più di vent’anni vive a Parigi) tira le fila della sua prima volta da giurata alla Mostra degli Illustratori della Bologna Children’s Book Fair.
La novità, che potrebbe rimanere anche nelle successive edizioni, è che i lavori si sono svolti a distanza: anziché l’infilata di tavoli zeppi di illustrazioni tra cui la giuria si aggira per le valutazioni, tutto è avvenuto attraverso una piattaforma su cui gli oltre 3.200 partecipanti hanno caricato i loro lavori e dove i giurati si sono ritrovati per discutere, confrontarsi e, infine scegliere i vincitori: 76 set di illustrazioni realizzati da 77 artisti (un set è opera di una coppia di autori).
«Era un’esperienza che sognavo da una vita — racconta —, da quando da bambina andavo alla fiera, che allora era aperta anche al pubblico. Quando me l’hanno proposto all’inizio non volevo perché ci tenevo a essere lì, ero preoccupata della distanza: i disegni talvolta bisogna “sentirli”, hanno un odore e una texture che occorre vedere da vicino. Ma l’occasione era imperdibile: ho accettato e alla fine è stata la scelta giusta. L’aspetto sorprendente è stato che, anche a distanza, siamo riusciti a essere molto affiatati e rispettosi l’uno dell’altro. Abbiamo lavorato in armonia e fatto scelte all’avanguardia dando la priorità, sempre partendo da livelli professionali, a lavori che uscivano dai canoni dell’illustrazione, premiando autori che hanno fatto scelte coraggiose».
Un’illustratrice che cosa guarda innanzitutto in un’illustrazione?
«Un insieme di aspetti. Il disegno è una lingua con una grammatica che bisogna conoscere, ma occorre anche saper sfuggire alle regole se no è solo un virtuosismo e sfoggio di tecnica. Ci sono l’emozione e il tono e, come in un discorso, bisogna saper capire come “colorare” una parola. È un insieme molto fragile e delicato di fattori, basta una sola immagine che crea un senso di incompiutezza o un contrasto troppo marcato e l’intero lavoro si indebolisce. Da giurata ho scelto come punto di partenza lavori che riuscivano a stupirmi».
È stato un anno particolare, pensa che la pandemia e quello che ha significato abbiano influito sul suo sguardo? Come?
«Mi sono accorta a posteriori che non solo io, ma come giuria abbiamo dato rilievo, magari inconsciamente, a lavori che evocavano una sorta di voglia di sfuggire a qualcosa che può controllare, stringere e frustrare. La maggior parte dei lavori scelti contiene un grido di libertà. In questo vedo un riflesso del periodo che stiamo vivendo».
Da creativa come ha vissuto gli ultimi dodici mesi?
«È stato un anno complicato. Quando c’è stato il primo confinamento l’ho presa male. Mi dicevo: il mondo sta crollando, stiamo per morire tutti, non posso passare il tempo a disegnare! Mi sentivo come chi sul Titanic, mentre affonda, lucida l’argenteria. Ho avuto uno stop ed è stato come un blackout; poi ho ricominciato partendo da me, da quello che mi piaceva davvero, cioè disegnare, e lasciando il resto da parte. L’effetto è stata una spinta creativa, inattesa, da cui sono nati due progetti che vedranno la luce nel novembre prossimo: una riscrittura di Biancaneve dei Grimm dal punto di vista della regina e una serie di disegni di aree di gioco prima vuote, quasi abbandonate, poi con i bambini».
In carriera ha illustrato i testi di Guillaume Apollinaire, Aldous Huxley, Ágota Kristóf, Raymond Queneau, poi Astrid Lindgren e Gianni Rodari (l’ultimo libro di Alemagna uscito in Italia è, nel 2020, «A sbagliare le storie» di Rodari). Come si maneggiano i giganti della letteratura?
«L’unico modo per me è dimenticarmi che sono grandi autori, così evito di esserne schiacciata. Li affronto come se fossero testi di qualsiasi altra persona, senza pensare né all’onere né all’onore. Mentre lavoravo al libro di Huxley, il suo unico testo per bambini, ho dimenticato che gli editori avevano fatto a gara per assicurarselo. Disegnare è per me qualcosa da fare in libertà, se perdi quest’approccio il disegno ne risente».