Corriere della Sera - La Lettura
Latte e sangue La mia Nigeria vicina all’Oscar
Desmond Ovbiagele ha superato la selezione iniziale con un film su due sorelle rapite dai jihadisti
«Quando dieci anni fa lasciai il mio lavoro alla City di Londra e tornai a Lagos, mai avrei immaginato di ritrovarmi per un attimo in corsa per l’Oscar». Sorride via Zoom Desmond Ovbiagele, passato dalla banca d’investimento al set, ora regista del primo film nigeriano ammesso al prestigioso premio dell’Academy. Siamo in Nigeria e uno pensa subito ai film leggeri di Nollywood. Sbagliato. Dal lavoro frenetico tra titoli azionari e servizi finanziari Ovbiagele è passato alle riprese ad alto rischio nella terra di Boko Haram. Il suo The Milkmaid, che abbiamo visto in anteprima, è la storia della relazione struggente tra due sorelle rapite dagli estremisti islamici, che reagiscono in modo opposto a questo evento traumatico. La scenografia che esalta la bellezza di questo angolo d’Africa con le sue foreste lussureggianti e il cielo intenso contrasta con la violenza e il sangue in scena. Il terrore arriva mentre Zainab, la minore, si sta sposando e il villaggio è in festa. L’atmosfera felice viene interrotta bruscamente da spari e fiamme. Le ragazze, portate via a forza, vengono separate: Aisha, la maggiore, riuscirà a scappare ma poi tornerà sui suoi passi, alla ricerca di Zainab. «Ho voluto indagare su come queste ragazze si adattino o meno al nuovo stile di vita imposto dai ribelli, la loro resilienza, le diverse strategie di sopravvivenspiega il regista, anche autore e sceneggiatore della pellicola, ispirata a fatti realmente accaduti.
Prima del rapimento le due protagoniste erano «milkmaid», mungitrici. Lei ha detto di essersi ispirato a quelle ritratte sul retro della banconota nigeriana da 10 naira: in che senso?
«Ho preso ispirazione da due figure simbolo per dire che a finire nelle mani degli estremisti possono essere ragazze qualunque. Ho voluto sgombrare il campo da equivoci creati per esempio dal clamore internazionale suscitato nel 2014 dal rapimento delle studentesse di Chibok, che erano giovani istruite. Loro sono una minoranza, la maggior parte dei rapimenti in Nigeria coinvolge donne non istruite, per una semplice questione demografica».
Il film esplora emozioni, mentalità e trasformazioni anche dei carnefici.
«L’intento era quello di andare oltre il ritratto dei terroristi come mostri, di cercare di entrare nelle pieghe della loro mentalità alla ricerca di tratti umani che alcuni conservano, come emerge dalle ricerche fatte prima di realizzare il film: c’è anche chi si innamora delle vittime. Questo non è un film costruito sulle caricature hollywoodiane del bene e del male, ma una storia complessa di indottrinamento e lavaggio del cervello. È il risultato di una ricerca di come i “cattivi” a un
certo punto della propria vita sono stati “buoni”. Non credo che siano nati ribelli, estremisti, violenti».
Durante le riprese siete stati scambiati per jihadisti e alcuni di voi sono stati arrestati. Com’è andata?
«Parte della troupe ci stava raggiungendo al Nord quando a un checkpoint è stata bloccata dalle guardie, insospettite dal materiale di scena che stava trasportando. La situazione è deteriorata quando gli abitanti di un villaggio vicino, attaccato il giorno prima, hanno scambiato i colleghi per gli aggressori. Sono stati prima picchiati e poi incarcerati. Abbiamo impiegato una settimana per chiarire l’equivoco e farli tornare liberi».
Perché avete deciso di correre dei rischi e girare il film nel Nordest della Nigeria, dove imperversano i jihadisti?
«Malgrado questa location abbia reso la produzione un’impresa, anche dal punto di vista logistico, non ho mai avuto dubbi al riguardo. Desideravo che il film fosse autentico».
Il film ha già vinto 5 Africa Movie Academy Award, incluso il miglior film, ma è stato escluso dalla shortlist per l’Oscar. È deluso?
«Una punta di delusione per essere stati eliminati al primo giro c’è, ma la soddisfazione di avere avuto la possibilità di concorrere, di avere raggiunto la linea del via, prevale. Siamo orgogliosi di avere portato per la prima volta la Nigeria agli Oscar. Questo film è stato interamente prodotto qui con mezzi nostri, finanziato attingendo alla rete delle conoscenze. Spero che sia anche di incoraggiamento per quei registi locali che non vogliono per forza realizzare film commerciali».
Spera sia di stimolo per andare oltre Nollywood?
«L’industria cinematografica nigeriana finora ha prodotto soprattutto commedie, storie d’amore, thriller. Ma The Milkmaid è diverso non soltanto per il tema. È in lingua hausa, quella parlata nel Nord Nigeria, mentre Nollywood ricorre per lo più all’inglese. E i tempi di lavorazione sono diversi: il copione era già pronto nel 2017, ma poi ci sono voluti 4 anni per realizzarlo».
Nel film non si cita mai Boko Haram, perché?
«Al di là delle sigle, il jihadismo purtroppo non conosce frontiere. Mi interessava far vedere il costo umano dell’estremismo religioso che sta investendo una grande parte dell’Africa come un virus. È un fenomeno in crescita in Paesi come Ciad, Niger, Camerun, Burkina Faso, Mali, Mozambico e Congo. L’idea è aiutare il mondo a capire che cosa patiscono le vittime, chi sono gli aggressori, la loro cultura, che cosa li spinge verso l’estremismo: il problema va affrontato».
La censura nigeriana vi ha obbligato a tagliare alcune parti. Quali?
«Abbiamo dovuto eliminare le scene di preghiera, per evitare di ingenerare confusione tra le pratiche islamiche ortodosse e le distorsioni dei jihadisti».
Perché è scappato dalla City? E com’è approdato al cinema?
«Nel cinema ho sfogato la mia vena creativa che non riuscivo a esprimere nella City. Del resto mia madre è una scrittrice di romanzi (Helene Ovbiagele, ndr), mio padre Bruce invece lavorava come giornalista alla Bbc. Per questo erano andati a Londra, dove sono nato. A 4 anni, il ritorno a Lagos, dove sono cresciuto. Ho fatto lì anche l’università. Sono tornato a Londra per il master e poi mi sono fermato a lavorare. Dieci anni fa il nuovo cambiamento. I miei genitori erano molto preoccupati per l’aspetto economico, lasciavo un lavoro molto remunerativo e si chiedevano, giustamente, come potessi mantenermi con il cinema».
Quando uscirà il film?
Abbiamo fatto proiezioni limitate in Nigeria, il lancio per il pubblico è previsto entro due mesi: in Nigeria ci sono restrizioni per il Covid ma i cinema sono aperti. Comunque stiamo valutando anche di divulgarlo su piattaforme online come Netflix».