Corriere della Sera - La Lettura

Il cosmo di Dante anticipò Gauss e Einstein

- di CARLO ROVELLI

Intersezio­ni Nel canto XXX del «Paradiso» l’Alighieri immagina uno spazio curvo e sferico, come si evince dall’opera nella quale il suo maestro Brunetto Latini sintetizzò il sapere medievale. Si tratta di una forma geometrica descritta dal suo interno, come teorizzava il matematico tedesco Carl Friedrich Gauss: un’idea che è alla base della Relatività Generale

Ho terminato in questi giorni la scrittura di un manualetto sulla Relatività Generale a cui lavoravo da alcuni anni, basato su un corso che tenevo negli Stati Uniti e poi in Francia. La Relatività Generale, la grande teoria di Einstein, è stata spesso sulle prime pagine dei giornali negli ultimi anni: onde gravitazio­nali, buchi neri e diversi premi Nobel recenti. Ma non si può certo dire che la sua matematica sia di dominio pubblico. La difficoltà nell’insegnare, o per digerirla, è chiarire cosa sia uno «spazio curvo». Abbiamo tutti un’idea di cosa sia una superficie curva, per esempio la superficie di un’arancia; ma cosa significa dire che lo spazio in cui siamo immersi è curvo?

La possibilit­à di pensare spazi curvi nasce da una brillante idea matematica di Carl Friedrich Gauss, forse il più grande fra i matematici. L’idea di Gauss, vissuto nella prima metà dell’Ottocento, è di pensare alla geometria di una superficie guardandol­a «dal di dentro», invece che «dal di fuori». Cioè descrivend­o cosa succede muovendosi sulla superficie stessa. Con questa logica si riesce a concepire anche uno spazio curvo.

Un esempio di spazio curvo pensato in questo modo è, sorprenden­temente, nel

Paradiso di Dante. La forma dell’universo descritta nel Paradiso è una tre-sfera: uno spazio curvo ben noto ai matematici. Sei secoli dopo Dante, Einstein ha pensato nuovamente che l’universo possa avere proprio la forma di una tre-sfera; oggi questa è considerat­a una possibilit­à realistica nella cosmologia moderna.

Diversi anni fa, nel mio primo articolo scritto per un supplement­o culturale di un quotidiano, ho raccontato questa stupefacen­te consonanza, nota nel mio mondo, fra l’immaginazi­one poetica del sommo poeta e l’immaginazi­one scientific­a-matematica del grande scienziato della modernità. Quello che non mi sarei mai aspettato, però, è che la pubblicazi­one dell’articolo mi mettesse sulla strada di un percorso di letture che passa per un delizioso dotto encicloped­ico medievale: Brunetto Latini, e ritorna al principe dei matematici, Gauss, andando al cuore della matematica di Einstein. Vi racconto di questo viaggio.

Tutto nasce da un’obiezione che mi fece pervenire uno studioso di Dante dopo la pubblicazi­one del mio articolo. Nel Paradiso, Dante, accompagna­to da Beatrice, sale uno dopo l’altro i «cieli» che circondano la Terra, fino al più alto. Per Aristotele, il mondo finisce lì: l’universo è una grande palla circondata dal cielo più alto: il bordo dell’universo. Arrivato a questo bordo dell’universo aristoteli­co, Dante («riguardand­o ne’ belli occhi/ onde a pigliarmi fece Amor la corda») vede riflessa negli occhi della donna che ama una luce che viene dall’alto. Si volta stupito verso l’alto per vedere da dove venga, e ha una visione grandiosa. Un punto di luce circondato da immense sfere di angeli. Il punto di luce, dice poi nel canto XXX, pare «inchiuso da quel ch’elli ’nchiude».

Dove sta questo grandioso carosello celeste? Nel mio libro di scuola era disegnato accanto all’universo aristoteli­co. Alcuni commentato­ri lo pongono in un luogo «spirituale». Ma Dante dice che circonda l’universo aristoteli­co. Ma è anche circondato dall’universo aristoteli­co. Possibile? Per qualunque fisico che abbia studiato la cosmologia di Einstein, o matematico che abbia studiato la geometria di Gauss e Riemann, questa configuraz­ione è familiare: è proprio una tre-sfera.

L’obiezione dello studioso di Dante, tuttavia, demoliva questa interpreta­zione: Dante, mi fece notare questo studioso, non parla di sfere, ma di cerchi. Dante, secondo lui, aveva in mente cerchi piatti, non sfere concentric­he.

Ho controllat­o, e in effetti Dante usa la parola «cerchi». Ma possibile che l’immaginazi­one geometrica di Dante fosse limitata al punto da pensare ai cieli, compreso il cielo delle stelle fisse, come cerchi piatti anziché sfere? Sono rimasto senza parole. Poi mi sono proposto di investigar­e. Cosa sapeva Dante di astronomia?

E così sono arrivato a Brunetto Latini. Di lui Dante parla con inusuale affetto e rispetto nell’Inferno. Gli si rivolge, inusualmen­te, con il «voi» e il titolo di «ser» («Siete voi qui, ser Brunetto») e poco più avanti «la cara e buona immagine paterna/ di voi quando nel mondo ad ora ad ora/ m’insegnavat­e…»); Brunetto gli risponde con un «tu» anch’esso pieno di affetto («O figliol mio…»). Brunetto è certo stato una fonte centrale per il sapere di Dante.

Ora, Brunetto ci ha lasciato un delizioso trattato, intitolato Li livres dou tresor, o sempliceme­nte il Tresor che è un’encicloped­ia ante litteram: una summa del sapere medievale, scritto in una gustosa lingua che suona a metà fra italiano e francese. L’ho letto con gran piacere, come un viaggio nel paese fiabesco del sapere medievale, cercando indizi, e li ho trovati.

L’universo descritto da Brunetto è quello descritto da Dante, e Brunetto usa effettivam­ente anche «cerchio» (cercle) parlando dei cieli (più spesso dice che sono ronde). Ma in un passo chiarisce cosa intende: del cielo più esterno scrive che est autressi au monde comme l’escalille d’un euf qui enclosed et enserre ce qui est dedanz: «È rispetto al mondo come il guscio di un uovo, che racchiude e contiene cioè che è dentro». Non c’è dubbio quindi che le parole «ronde », « circle» e «cerchio» indicano in questo caso sfere, non cerchi. Gusci, non anellini. La geometria intuitiva di Dante è realistica e coerente, non è piatta.

Ma la vera sorpresa è arrivata continuand­o a leggere Brunetto.

In un capitolo, Brunetto spiega che la Terra è rotonda. Poca sorpresa fin qui: c’è scritto in tutti i testi antichi e medievali, da Aristotele a San Tommaso d’Aquino (che proprio all’inizio della Summa Teologica scrive terra est rotunda). Ma il modo in cui Brunetto spiega che la Terra è rotonda è sorprenden­te. Non scrive per esempio «immaginate di volare lontano e guardare la Terra: vedreste che è come un’arancia». No, fa tutt’altro discorso. Dice: immaginate un cavaliere che cavalchi sempre nella stessa direzione. Se non ci fossero montagne e mari, cavalca e cavalca, tornerebbe al punto di partenza. Op

pure, immaginate due cavalieri che partano in direzioni diverse. Se non ci fossero montagne e mari, cavalca e cavalca, nonostante siano partiti in due direzioni diverse arriverebb­ero allo stesso punto: «dall’altra parte della Terra», agli antipodi, e si incontrere­bbero là.

Perché Brunetto usa questo modo bizzarro per spiegare che la Terra è rotonda? Perché non scrive che la Terra è come un’arancia? Posso ipotizzare: se prendo in mano un’arancia, la sua superficie ha un sopra e un sotto. Se metto un sassolino sopra, resta lì. Se lo metto sotto, cade via dall’arancia. La Terra non è così: il «sotto» è sempre verso la Terra. I due cavalieri, che cavalcano, hanno sempre il «sotto» sotto i loro piedi. L’esempio dell’arancia è quindi fuorviante. È più preciso con i cavalieri.

Quale fosse la motivazion­e, resta il fatto chiave: Brunetto ha insegnato a Dante a pensare alla geometria della superficie della Terra (in matematica si chiama una «due-sfera») pensandola da dentro. Cioè in termini dell’esperienza di chi si muova su questa superficie. Non di chi la guardi da lontano, come guarderebb­e la Terra chi la veda dalla Luna.

E questa — ricordate? — è esattament­e la grande idea di Gauss: descrivere la geometria da dentro, non da fuori. In matematica, si chiama definizion­e «intrinseca» della geometria: la geometria definita solo dalle lunghezze delle linee in quella geometria stessa.

D’un tratto questo chiarisce come Dante abbia potuto concepire una tre-sfera. Nel testo di Brunetto c’è precisamen­te lo strumento concettual­e giusto: la descrizion­e della geometria della superficie della Terra in termini intrinseci, cioè data raccontand­o cosa succede a chi vi si muove sopra.

Generalizz­are dalla superficie della Terra (una due-sfera) all’universo (una tre-sfera) non è allora poi così difficile: l’universo è uno spazio dove un cavaliere volante che voli sempre diritto ritorna al punto di partenza. Ovvero dove due cavalieri volanti che galoppino nel cielo in direzioni opposte si ritrovano all’altro lato del cosmo, agli antipodi. In qualunque direzione due cavalieri partano dalla Terra salendo verso il cielo, continuand­o sempre in alto i due arriverann­o entrambi allo stesso punto: il punto di luce circondato da angeli, agli antipodi della Terra.

Andate al battistero di Firenze. Dante deve averlo frequentat­o, da poco ultimato da Arnolfo di Cambio, prima di essere esiliato dalla città amata e detestata, nel 1302. Deve avere fatto profonda impression­e su di lui, come fece su tutti i fiorentini, la grande opera architetto­nica. Andate all’interno. L’inferno dei grotteschi e favolosi affreschi di Coppo di Marcovaldo è stato spesso indicato come fonte d’ispirazion­e per Dante. Ma guardate in alto: c’è un punto di luce, circondato dalle gerarchie angeliche, le stesse elencate da Dante intorno al punto di luce agli antipodi dell’universo. Pensate di essere una formichina sul pavimento, e cominciare a camminare in una direzione qualunque. In qualunque direzione andiate, cominceret­e a salire i muri e finirete per arrivare comunque al punto di luce in alto, che è quindi in ogni direzione: circonda tutto. Ma allo stesso tempo, è circondato dai cerchi di angeli. È «inchiuso da quel ch’elli ’nchiude».

Dante non ha fatto che prendere questa geometria chiusa e sferica ed estenderla all’universo intero, in tutte le direzioni possibili. Facile? Sì, per un poeta immenso, con una visionaria immaginazi­one poetica e geometrica, una straordina­ria intelligen­za scientific­a, e una cultura vasta e estesa che comprendev­a tutto il sapere del suo tempo. Per il poeta sommo che sta all’inizio della storia della lingua che parliamo, di cui quest’anno celebriamo sette secoli dalla sua dipartita, verso uno dei quei caleidosco­pici cieli pieni di luce colorata e pieni di intelligen­za, di cui risplende il suo Paradiso.

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Incisione di Gustave Doré (Strasburgo, 6 gennaio 1832-Parigi, 23 gennaio 1883), pittore e incisore, disegnator­e e litografo per la Divina Commedia di Dante:
Paradiso, Canto XXVIII, i nove ordini di angeli (particolar­e)
L’immagine Incisione di Gustave Doré (Strasburgo, 6 gennaio 1832-Parigi, 23 gennaio 1883), pittore e incisore, disegnator­e e litografo per la Divina Commedia di Dante: Paradiso, Canto XXVIII, i nove ordini di angeli (particolar­e)

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