Corriere della Sera - La Lettura
Gli eroi di Omero a pezzi ma il canto resta intero
Alice Oswald ha preso in mano l’«Iliade» e l’ha spolpata di tutte le parti d’azione, trasformando i passi non narrativi e le similitudini naturalistiche in tracce della vita dei personaggi. Un lungo epicedio pieno di «pietas»
In tanti, tra il Novecento e oggi, si sono confrontati con la letteratura dei primordi per una questione di visione
Poche imprese appaiono più ardue, per un poeta contemporaneo, che rifarsi direttamente al grande repertorio di miti e opere del mondo classico, tanto più quando si tratta dei testi fondativi della tradizione occidentale. Da più di un secolo, infatti, la poesia ha percorso per lo più le strade del quotidiano, dell’ordinario, della vita di donne e uomini comuni. Di conseguenza risulta oltremodo difficile parlare di eroi, di destini che riposano nella pienezza del loro significato, senza il filtro di contromisure relativizzanti, di riserve critiche e in qualche misura diminutive. Perché allora il rischio si rivela invariabilmente lo stesso: l’enfasi, la retorica, la lingua che rimbomba a vuoto, l’anacronismo del dire come del sentire.
Eppure l’attrazione per quegli antichi testi continua ad agire. Sono davvero tanti, infatti, i poeti che tra il Novecento e oggi hanno sentito la necessità di confrontarsi con la letteratura dei primordi non in modo estrinseco, per mera via letteraria, ma per una questione di visione e comprensione della realtà. Altezza, pienezza, respiro, energia, dignità della vita: si tratta quasi sempre di questo. Solo per restare in un ambito non estraneo al lettore italiano, si possono ricordare Omeros, il poema di Derek Walcott, la smisurata Odissea di Nikos Kazantzakis (33.333 versi tradotti di recente da Nicola Crocetti), Averno di Louise Glück, ma anche, stavolta in riferimento alle leggende dei popoli del nord, il libro omonimo, Nord appunto, di Seamus Heaney.
A questi riferimenti, per altro sommari, si può aggiungere ora una nuova opera poetica: Memorial. Uno scavo dell’«Iliade» della britannica Alice Oswald (1964), uscito per Archinto tradotto da Rossella Pretto e Marco Sonzogni. Apparso in lingua originale nel 2011, è un lavoro che ha avuto in patria riconoscimenti importanti (l’autrice, da qualche anno docente di Poesia all’Università di Oxford, è stata la prima donna in assoluto a ottenere quest’ambitissima cattedra). Ma anche da noi ha riscosso subito apprezzamenti autorevoli, in particolare da Giuseppe Conte e Roberto Mussapi, non a caso i due esponenti forse più importanti di una possibile costellazione poetica in lingua italiana che si distende tra mito e epos.
In senso proprio Memorial è una traduzione, ma condotta secondo criteri così selettivi e discriminanti da renderla un’opera molto particolare. Va sotto il nome di Alice Oswald, infatti, e non sotto quello di Omero. «Questa è una traduzione dell’atmosfera dell’Iliade, non della sua vicenda», dichiara l’autrice nell’attacco del suo breve scritto introduttivo, rivelando anche come il suo intento, che poi è il grande sogno che sostiene la sua sfida poetica, sia stato di restituire in lingua inglese l’enargheia originaria del poema omerico, vale a dire «l’insostenibile fulgore della realtà» di cui offre testimonianza (a loro volta i traduttori italiani hanno lavorato efficacemente tra il testo inglese e la tradizione omerica in lingua italiana). Di qui l’esclusione di tutte le parti narrative, il che significa dell’intera azione del poema, in favore dell’alternanza di similitudini naturalistiche e dei nomi dei tanti e tanti personaggi con la traccia, fissata in pochi versi, della loro vita.
Il risultato è una specie di lungo, interrotto epicedio, in cui il destino degli uomini viene parificato alla natura e alle sue leggi, lì dove giustizia e ingiustizia sembrano non esistere più. La pietas, del resto, non ha bisogno di spiegazioni e di aggettivi: «E anche ETTORE morì come gli altri/ Dei Troiani era a capo/ Ma tra gola e clavicola una lancia/ Centrò il minuscolo candido lembo/ Dove siede l’anima umana».