Corriere della Sera - La Lettura
Il metodo Palamara tra le Carré e Sordi
Mettete tutto al condizionale (e con la condizionale). L’inizio è da John le Carré de noantri. Una notte all’hotel Champagne politici e magistrati brindano, come nella canzone di Peppino di Capri, al nuovo organigramma del potere giudiziario. Il Sistema (che è anche il titolo del libro) si regge sulla legge quadro di ogni sistema: io do una cosa a te, tu dai una cosa me. Nel Sistema vige la regola del tre: una Procura indaga, un giornale amico pubblica, un partito politico gode. Funziona sempre, da Berlusconi a Renzi. Nei tribunali gira la battuta: «La vera separazione delle carriere non dovrebbe essere quella tra giudici e pm ma tra magistrati e giornalisti». Luca Palamara, figlio d’arte, presidente più giovane nella storia dell’Associazione nazionale magistrati, supertrafficante giudiziario e politico, accusato da Francesco Cossiga in diretta tv di avere una faccia da tonno («tonno Palamara»), fondatore del Metodo che porta il suo nome (il manuale Cencelli dei giudici), ora declassato a Moggi del Consiglio superiore della magistratura e radiato, si confessa ad Alessandro Sallusti. Anche Palamara, come tutti ormai, ha la sua narrazione. Gli avrebbero fatto pagare il tentativo di far alleare i magistrati di centro e di destra contro quelli di sinistra, alfieri del massimalismo giustizialista. Quanto ai suoi maneggi, Palamara parla in terza persona: «Solo uno stupido può pensare che Palamara abbia fatto tutto da solo». Muoia Sansone con tutti i Filistei: «Perché io non solo ero in prima fila. Avevo il potere, insieme ad altri, di decidere chi doveva stare in prima fila». Come Jep Gambardella della Grande bellezza, Palamara non voleva solo partecipare alle feste, voleva avere il potere di farle fallire. La storia di un crac, quello di un sistema politico-giudiziario, è al primissimo posto dei bestseller con distacco abissale. Merita tanto successo? Sì, è una ottima spy story con un protagonista all’Alberto Sordi. E fa paura.