Corriere della Sera - La Lettura
L’AUTOBIOGRAFIA DEL PAESE
Ecco un museo completamente nuovo rispetto ai modelli internazionali, spazio di ricerca e di relazioni interdisciplinari. Ma è anche il primo grande museo della cultura industriale italiana dove gli oggetti della vita quotidiana sono riconoscibili e riportati alle condizioni materiali e intellettuali che li hanno resi possibili. È una grande autobiografia del nostro Paese, risultato di un patto tra diverse generazioni di studiosi e progettisti, in primo luogo i nostri maestri che, se lo potessero visitare, ritroverebbero i loro punti di vista messi in opera. In ordine di tempo, Gillo Dorfles e l’intuizione che «i concetti di arte e di design verranno sempre più interscambiandosi»; Tomás Maldonado che nel ’61 affermava: «Il disegno industriale è finalizzato alla costituzione di un ambiente materiale coerente per sopperire ai bisogni materiali e spirituali dell’uomo»; Vittorio Gregotti, che ha sottolineava «la condizione sperimentale e pionieristica del design italiano».
La generazione più recente è la protagonista di questa nuova narrazione: il curatore Beppe Finessi, sia nella rappresentazione delle 26 edizioni del Compasso d’Oro sia per quanto riguarda l’analisi del design nella mostra Uno a Uno, progetto di Pierluigi Cerri, una visione «darwiniana», inedita, di questa disciplina. Senza dimenticare il compianto Marco Romanelli, nella ricostruzione del primo Compasso d’Oro femminile, Renata Bonfanti, fondamentale per ricordarci che il mondo artigianale mantiene il suo ruolo centrale nella cultura industriale. Giulio Castelli, il vero inimitabile pioniere del design come industria, è presente con un bellissimo omaggio, a cura di Federica Sala. E 139 manifesti di altrettanti grafici italiani fanno da cornice, mettendo in fila i 139 Premi alla Carriera. Tutto tiene; un museo, nello spirito di Aby Warburg: «La storia delle arti come comparazione antropologica».