Corriere della Sera - La Lettura

Artista: sostantivo molto femminile Non solo Artemisia

- Di STEFANO BUCCI

Avrebbe dovuto inaugurare il 2 marzo al Palazzo Reale di Milano, ma per ora resterà visibile solo attraverso visite guidate virtuali: è la grande rassegna dedicata alle «Signore dell’arte» del ’500 e ’600, talentuose, talvolta acclamate, più spesso trascurate. L’esposizion­e aiuta a scrivere una pagina di storia ancora in gran parte bianca

Iprotagoni­sti di questi dipinti (molto spesso maestosi per dimensioni, cornici, personaggi) sono gli stessi che affollano le tele (altrettant­o maestose) dei loro contempora­nei maschi Pietro da Cortona, Domenichin­o, Guercino, Allori, Baglione, Stanzione, Procaccini, Reni, Strozzi... Sono le mirabolant­i e terribili storie di Giuditta, della Maddalena Penitente, di Galatea che cavalca il mostro marino, di Porzia, della Sibilla persica, di Eleonora I Gonzaga raccontate da donne-artiste che, tra Cinque e Seicento, non ebbero paura a confrontar­si nemmeno con temi all’apparenza più maschili come San Francesco che riceve le stimmate, una partita a scacchi, Davide con la testa di Golia.

La mostra, già allestita, che doveva inaugurars­i martedì 2 marzo al Palazzo Reale di Milano (inaugurazi­one e apertura posticipat­e a causa del Covid-19) è in fondo una celebrazio­ne di un’arte nogender, senza distinzion­e di sesso, che vede protagonis­te figlie, mogli, sorelle di pittori, accademich­e o donne di religione che hanno dimostrato che il talento non conosce recinti. Perché Elisabetta Sirani, Ginevra Cantofoli, Fede Galizia, Lavinia Fontana, Orsola Maddalena Caccia, Giustina Fetti (ovvero Suor Lucrina), Sofonisba Anguissola, Artemisia Gentilesch­i, Giovanna Garzoni rappresent­ano una cotura stellazion­e di giovani talentuose che, seppur con storie e successo differenti, fanno comprender­e che il ruolo acquisito in Italia dalle donne nel corso del XVI e XVII secolo «non sia legato solo a singoli episodi sporadici o straordina­ri, ma un fenomeno che abbraccia tutta l’Italia».

Le signore dell’arte. Storie di donne tra ’500 e ’600 in programma fino 25 luglio traccia un percorso al femminile che idealmente collega la mostra su Giovanna Garzoni del maggio-giugno 2020 nell’Andito degli Angiolini di Palazzo Pitti, a Firenze (La grandezza dell’universo nell’arte di Giovanna Garzoni) all’Amazzone nella pittura, la monografic­a che dal 2 luglio 2021 al 24 ottobre 2022 al Castello del Buonconsig­lio di Trento (sempre Covid permettend­o) renderà giusto omaggio a Fede Galizia, tra le prime a ottenere riconoscim­ento e successo internazio­nali. Un successo che continua: la sua Natura morta con vaso di vetro con pesche, fiori di gelsomino, mele cotogne e una cavalletta è stata venduta da Sotheby’s a New York nel 2019 per oltre due milioni di euro mentre la Lucrezia della Gentilesch­i ha raggiunto, sempre nel 2019, da Artcurial a Parigi, il record di 4.777.000 euro.

Promossa dal Comune di Milano-Cule realizzata da Palazzo Reale e Arthemisia, con il sostegno di Fondazione Bracco, Le signore dell’arte rientra nel palinsesto I talenti delle donne, promosso dall’Assessorat­o alla Cultura del Comune di Milano e dedicato all’universo femminile. Curata da Anna Maria Bava, Gioia Mori e Alain Tapié (catalogo Skira) l’esposizion­e milanese è un viaggio più che nell'arte, nella vita (e nel privato) di 34 artiste: raccontate attraverso 134 opere, che — spiegano i curatori — testimonia­no «un’intensa vitalità creativa tutta al femminile, una vitalità comunque già molto moderna» cha accomuna artiste più o meno note (67 i prestatori, dagli Uffizi al Museo di Capodimont­e, dalla Pinacoteca di Brera alla Galleria nazionale dell’Umbria, dalla Galleria Borghese ai Musei Reali di Torino, dalla Pinacoteca nazionale di Bologna al Musée des Beaux Arts di Marsiglia).

Tra le scoperte ci sono personaggi come la nobile romana Claudia del Bufalo, artista dilettante, ma dalla personalit­à erudita e raffinata, con una storia simile a quelle di molte sue contempora­nee: il suo Ritratto di Faustina del Bufalo sarebbe infatti rientrato nel novero dei dipinti eseguiti da pittrici ed erroneamen­te attribuiti a uomini (e questo pur essendo chiarament­e leggibile la firma dell’artista). E opere esposte per la prima volta: la

Pala della Madonna dell’Itria di Sofonisba Anguissola, realizzata in Sicilia, a Paternò, nel 1578 e mai uscita prima d’ora dall’isola; la pala di Rosalia Novelli Madonna Immacolata e San Francesco Borgia, unica opera certa dell’artista, del 1663, dalla Chiesa del Gesù di Casa Professa, sempre a Palermo; o la tela Matrimonio mistico di Santa Caterina di Lucrezia Quistelli del 1576, della parrocchia­le di Silvano Pietra (Pavia).

Poi ci sono le celebrità. A cominciare da Artemisia Gentilesch­i che con la grande mostra appena conclusa alla National Gallery di Londra e che nel 2022 avrà un’appendice alle Gallerie d’Italia di Napoli (di questi giorni è il ritorno nelle Collezioni Comunali di Bologna di uno dei suoi capolavori, il Ritratto di Gonfalonie­re) ha fatto in qualche modo da battistrad­a alle Signore dell’arte. Figlia di Orazio, sorella di Francesco (anche lui pittore, ma meno talentoso) Artemisia è diventata, per i curatori, «icona di consapevol­ezza e rivolta»: artista e imprenditr­ice, la sua arte rivaleggia con quella degli stessi pittori uomini dell’epoca e il suo successo «la porta allo scarto dalla sua categoria sociale, simbolo di lotta contro l’autorità e il potere artistico paterno, contro il confinamen­to riservato alle donne».

Stesso ruolo da leader sarà quello di Sofonisba Anguissola: cremonese che visse oltre dieci anni alla corte di Filippo II a Madrid, per poi spostarsi in Sicilia quando sposa il nobile Fabrizio Moncada, e poi a Genova dopo il secondo matrimonio con Orazio Lomellini, e di nuovo in Sicilia, dove nel 1624 incontrerà Antoon van Dyck. Di lei (oltre alla Pala della

Madonna assoluti dell’Itria) come saranno la Partita esposti a scacchi capolavori (del 1555, provenient­e dal Muzeum Narodowe di Poznan, Polonia), oggetto di un importante restauro realizzato grazie alla collaboraz­ione con il Museo civico Ala Ponzone di Cremona. E ancora Lavinia Fontana — bolognese, figlia del pittore manierista Prospero Fontana — che a 25 anni sposa il pittore imolese Giovan Paolo Zappi alla sola condizione di poter continuare a dipingere, facendo così del marito il proprio assistente in uno scambio di ruoli per l’epoca inusuale — presente con 14 opere, tra cui l’Autoritrat­to

nello studio (1579), la Consacrazi­one alla

Vergine (1599) e alcuni dipinti di soggetto mitologico di rara sensualità. Fino a Elisabetta Sirani, in mostra «con potenti tele in cui sono raffigurat­i il coraggio femminile e la ribellione di fronte alla violenza maschile», come Porzia che si ferisce

alla coscia (1664) e Timoclea uccide il capitano di Alessandro Magno (1659) del Museo di Capodimont­e. E a Ginevra Cantofoli con la sua Giovane donna in vesti

orientali (1650 circa).

Cinque le sezioni della mostra: nella prima, Le artiste del Vasari, si scopre che nelle sue Vite del 1550 Vasari aveva dedicato una sola biografia a una donna, la bolognese Properzia de’ Rossi (in quella del 1668 avrebbe aggiunto Sofonisba Anguissola); nella seconda (Artiste in convento) si scoprono figure come Caterina Vigri o Plautilla Nelli, definita «la prima pittrice fiorentina» dalla mostra del 2017 agli Uffizi, entrata a 14 anni nel convento domenicano di Santa Caterina in Cafaggio, imbevuta di mistica savonaroli­ana, «interprete appassiona­ta della poetica figurativa ispirata al magistero di Savonarola nel campo delle arti e al nuovo modello disciplina­to di santità femminile della riforma tridentina»; nella terza

(Storie di famiglia) attraverso le vicende di Barbara Longhi, Chiara Varotari, Maddalena Natali e di Marietta figlia di Tintoretto si ricreano universi domestici spesso segnati dalla prevaricaz­ione; nella quarta vengono celebrate le Accademich­e

(sarà la mantovana Diana Scultori nel 1580 la prima donna a essere ammessa in un’associazio­ne di artisti); la quinta è invece interament­e dedicata ad Artemisia.

Gli uomini? A loro in questo «racconto avvincente, che parla di viaggi attraverso l’Italia e l’Europa o di lunghe clausure, di percorsi interrotti precocemen­te o di vite quasi centenarie, di produzioni artistiche prolifiche o limitate, di comportame­nti trasgressi­vi o condotte morigerate» toccano ruoli di comprimari. Così i due ritratti di Carlo Emanuele I Duca di Savoia e di Emanuele Filiberto eseguiti da Giovanna Garzoni, al centro di un progetto scientific­o finanziato dalla Fondazione Bracco che ha permesso di svelare i disegni preparator­i sottostant­i, non sono tanto dimostrazi­one di un regale potere maschile, ma dell’incredibil­e talento di una pittrice-miniaturis­ta.

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Giovanna Garzoni (Ascoli Piceno,1600Roma, 1670), Ritratto di Carlo Emanuele I Duca di Savoia (1632-16377, olio su tela): questo e il ritratto di Emanuele Filiberto, sempre di Giovanna Garzoni, sono gli unici due ritratti maschili della mostra. Entrambi sono al centro di un progetto scientific­o sostenuto dalla Fondazione Bracco
Il progetto Giovanna Garzoni (Ascoli Piceno,1600Roma, 1670), Ritratto di Carlo Emanuele I Duca di Savoia (1632-16377, olio su tela): questo e il ritratto di Emanuele Filiberto, sempre di Giovanna Garzoni, sono gli unici due ritratti maschili della mostra. Entrambi sono al centro di un progetto scientific­o sostenuto dalla Fondazione Bracco
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