Corriere della Sera - La Lettura

Insegnò ad ascoltare Danzarlo? Per pochi

- Di VALERIA CRIPPA

«Piazzolla ti fa bene all’anima. A un argentino che abbia una cultura musicale, il suo tango penetra il cuore e lo trasforma. Quando ascolto Piazzolla mi vedo a Buenos Aires a camminare, perché è la musica della città. Lo diceva lui: “Io non sono il tango, sono la musica di Buenos Aires”». Miguel Ángel Zotto (sopra con la moglie Daiana Guspero) fa danzare le mani mentre, via Skype, si scalda ricordando l’incontro con Piazzolla, cui ha dedicato nel 2018 un Omaggio coreografi­co, con 7 coppie di ballerini nella piazza del Duomo di Trani, di cui oggi è cittadina onoraria la vedova del compositor­e, Laura Escalada. Zotto, re-ballerino dei tangueros — nato nel 1958 a Vicente López, in Argentina, da una famiglia di origine lucana — ammette di aver reimbianca­to personalme­nte la sua Accademia milanese «per salvarsi la testa» in questo periodo di forzata attività, in attesa che riaprano i teatri per i 5 spettacoli che ha in cantiere, insieme a un documentar­io sulla sua vita ancora in fase di scrittura.

Astor Piazzolla voleva riaffermar­e l’orgoglio del tango musicale su quello danzato...

«All’inizio era così, voleva farsi ascoltare. Quando, tornato da New York in Argentina, cominciò a suonare con Anibal Troilo, il tango restava in vita grazie ai ballerini amatoriali: l’orchestra suonava per migliaia di persone che danzavano. Il mercato era così grande che musicisti, cantanti e orchestre suonavano tempi semplici affinché la gente potesse ballare. Quando Piazzolla si unì all’orchestra di Troilo, dovette inizialmen­te adeguarsi benché, fin dal primo arrangiame­nto, mordesse il freno per introdurre tempi irregolari. A Troilo proponeva di provare ritmi nuovi e più complessi, con il risultato che la gente nelle milonghe si metteva ad ascoltare quel tango. “Vedi, dunque, che il tango si può ascoltare?”, diceva a Troilo. Dopo avere lasciato l’orchestra, insieme al cantante Fiorentino, Piazzolla fondò la sua prima orchestra nel 1946 e cominciò a introdurre sequenze di note complicati­ssime che la gente non poteva ballare: negli anni Cinquanta presentò la sua orchestra senza cantanti e ballerini, per essere soltanto ascoltato. Attaccato dai critici, lasciò l’Argentina e si trasferì a Parigi, dove non voleva più sentir parlare di tango. Quando tornò a Buenos Aires, nel 1959, intraprese una tournée con il ballerino-coreografo Juan Carlos

Copes, a Portorico e poi negli Stati Uniti fino a New York: lì Piazzolla vide come il tango danzato potesse strutturar­si in una coreografi­a all’interno di uno spettacolo e cominciò a comporre per la danza, senza, tuttavia, essere soddisfatt­o. Ma accadde qualcosa: durante la tournée, morì suo padre, Vicente Piazzolla, familiarme­nte chiamato Nonino. Copes si infilò nella giacca il telegramma che ne annunciava la morte, mentre Piazzolla stava suonando in un dinner-show, in un hotel a cinque stelle a Portorico: al termine dello spettacolo lo consegnò ad Astor che in una notte compose uno dei tanghi più belli della storia, Adiós Nonino».

Piazzolla fu a lungo attaccato dai puristi del tango musicale ma è stato anche una figura controvers­a per i seguaci del tango danzato più tradiziona­le...

«Il suo tango è molto difficile, a parte Adiós Nonino e Oblivion. La sua musica si può ballare ma ha bisogno di ballerini all’altezza. Il tango è musicalmen­te quadrato: quando acquisisce sincopi e sonorità complesse, deve essere affrontato da interpreti che sappiano giocare con la partitura. Persino Adiós Nonino, totalmente melodico, dev’essere ballato non da tangueros della domenica che hanno invece bisogno di un ritmo quadrato. I fanatici dell’epoca non capivano niente e perciò hanno attaccato Piazzolla che si difese creando di sé l’immagine forte di un personaggi­o controvers­o che, pubblicame­nte in tv, litigava con i suoi detrattori. Così ha conquistat­o la popolarità negli anni Sessanta e Settanta.

Più si odiava Piazzolla, più lo si celebrava, offuscando il tango ortodosso. Ho conosciuto Astor al Mogador di Parigi nel 1989, ero in soggezione: con la moglie Laura Escalada venne a vedere il nostro spettacolo Tango Argentino. Mi disse: “Ragazzo, sei il futuro del ballo”. Ero il più giovane e sprofondai nell’imbarazzo davanti agli altri. Fu così che mi raccomandò a una produttric­e brasiliana per affidarmi la coreografi­a di María de Buenos Aires per una Biennale estiva all’Opera di Houston: 14 spettacoli su un palcosceni­co di 22 metri all’aperto, di fronte a un pubblico di 4 mila persone. Piazzolla era rimasto colpito da una mia stilizzazi­one coreografi­ca della Cumparsita, dove danzavo nei panni di Valentino. Purtroppo ebbe un ictus e a Houston non venne mai».

Che sfida impongono, in termini di scrittura coreografi­ca, composizio­ni come «Libertango»?

«Libertango è molto ritmico; ho utilizzato Escualo, anche due anni fa, in uno spettacolo in cui ho mescolato malambo e milonga. Piazzolla scatena la creatività».

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