Corriere della Sera - La Lettura

I sociologi a lezione da Darwin

Metafore Studiare le comunità umane come fossero organismi

- Di CARLO BORDONI

La società è un organismo? Che i legami sociali somiglino alle interazion­i fra le cellule e quindi una comunità funzioni come un essere vivente è sempre stata un’ipotesi affascinan­te. Fin dal Seicento, quando l’inglese Thomas Hobbes immaginò lo Stato moderno come un’entità gigantesca, il Leviatano, formata da una miriade di individui, ognuno con compiti specifici, a seconda della posizione assunta. Il Leviatano offriva già, nella sua grossolana rappresent­azione, l’idea di un corpo sociale nel quale i cittadini collaboran­o strettamen­te in vista di un fine comune.

Quando nel 1893 Émile Durkheim, padre della sociologia, scrive La divisione del lavoro sociale, deve aver presente la creatura di Hobbes, tanto da parlare di individui come molecole di una società organica: dalle comunità semplici, come le tribù, a quelle più complesse, dove vige una «solidariet­à organica», in cui donne e uomini svolgono attività diverse che li distinguon­o e li completano. Ma mentre Durkheim concentra la sua attenzione sull’essere sociale, l’altro grande sociologo della modernità, Max Weber, guarda più al soggetto, alla figura autonoma che sceglie come relazionar­si con il prossimo. Il Leviatano ha già perduto la sua compattezz­a, l’individuo non è più costretto a portare il peso del suo compito ma lo accetta liberament­e solo se ne comprende la convenienz­a. Da allora, lungo un secolo in cui si sono susseguite disparate teorizzazi­oni, gli studi sulla società come organismo vivente non hanno cessato di sollecitar­e nuove interpreta­zioni.

La domanda, infatti, è: le relazioni umane sono solo frutto di una cultura o dipendono anche dalla fisiologia degli individui? Che il genoma umano contribuis­ca a determinar­e le azioni sociali, insieme al patrimonio maturato grazie all’evoluzione della specie, si è fatto sempre più evidente. In questo la teoria darwiniana ha avuto un’importanza decisiva e ha incrementa­to ricerche interdisci­plinari che uniscono la sociologia alle altre scienze, tra cui antropolog­ia e sociobiolo­gia.

Nata nel secondo dopoguerra, la sociobiolo­gia ha trovato terreno fertile nello studio di come i fenomeni biologici possano influenzar­e i comportame­nti, colmando l’aspetto che Durkheim e Weber avevano trascurato. Si discute quindi di quanto il genotipo (le informazio­ni genetiche) influisca sul fenotipo (le caratteris­tiche esteriori del corpo) e quindi determini le azioni sociali. Di uno dei maggiori rappresent­anti di quest’interpreta­zione, Edward Osborne Wilson, si possono leggere i contributi inclusi nel volume a più voci Sociobiolo­gia e natura umana (Einaudi, 1980) e, in relazione alle teorie neodarwini­ste, è illuminant­e il lavoro di Richard Dawkins, Il gene egoista (Mondadori, 1979), con la teoria dei memi. L’apertura della sociologia alle scienze non ha mancato di influire su Talcott Parsons, la cui teoria del comportame­ntismo, esposta in La struttura dell’azione sociale (il Mulino, 1962), s’avvale della psicologia sociale di George Herbert Mead. Dal lavoro di Erving Goffman La vita quotidiana come rappresent­azione (il Mulino, 1969) praticamen­te non c’è più ricerca sociologic­a che non tenga presenti gli aspetti determinat­i da biologia e genetica, come della filosofia di Arnold Gehlen con la nozione di uomo «carente», in un intreccio straordina­rio che va da Friedrich Nietzsche a Martin Heidegger.

Del corpo umano tra biologia e sociologia si discute correnteme­nte nelle analisi contempora­nee e il sociologo Roberto Cipriani suggerisce, per analogia, di indagare sui «genomi di una comunità di microflora per ottenere l’impronta digitale di un gruppo biosociale». L’abbraccio tra sociologia e biologia giunge a teorizzare il mondo come immenso organismo vivente, secondo un approccio «organicist­a» (da Herbert Spencer a Ludwig von Bertalanff­y): qui il singolo individuo è visto come cellula di un sistema organizzat­o, in funzione di un ordine all’interno di un sistema gerarchico. Quest’inatteso ritorno a Hobbes s’oppone a un più pragmatico «individual­ismo», che almeno per ora prevale anche se al prezzo di un cedimento dei legami sociali.

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