Corriere della Sera - La Lettura

Il cugino nelle Br il padre in polizia L’eco del sangue

- Conversazi­one tra GIORGIO BAZZEGA e GIUSEPPE CULICCHIA a cura di CRISTINA TAGLIETTI

Èstato molti anni a macerarsi nell’odio. Ora quell’odio Giorgio Bazzega non lo prova più. Aveva 2 anni e mezzo, il 15 dicembre 1976, quando il padre Sergio, 32 anni, venne colpito a morte insieme al vicequesto­re Giovanni Vittorio Padovani. A sparargli il brigatista Walter Alasia, 20 anni, a sua volta ucciso nella casa dei genitori a Sesto San Giovanni durante il blitz della polizia. Alasia era cugino dello scrittore Giuseppe Culicchia che allora aveva 11 anni e un’adorazione per quel ragazzo più grande, generoso e allegro. A quarant’anni di distanza, Culicchia ha scritto un libro, Il tempo di vivere con te, che è insieme memoria, ricostruzi­one storica, elaborazio­ne del lutto, lontano da ogni forma di giustifica­zione o indulgenza verso i crimini delle Brigate rosse.

Bazzega e Culicchia si sono incontrati per la prima volta al Parco Ravizza di Milano qualche settimana fa. Partiti dalla massima distanza possibile, ognuno con la sua memoria privata, si sono trovati incredibil­mente vicini. Quel giorno hanno iniziato un dialogo che ha sorpreso entrambi, continuato con «la Lettura» in questa conversazi­one online. Il percorso di Bazzega per arrivare a quella che viene definita «riconcilia­zione», come nelle commission­i del Sudafrica volute da Nelson Mandela al termine dell’apartheid, è stato lungo e tormentato ma ora è anche il suo lavoro. «Dopo anni passati in un’agenzia di pubblicità, faccio il mediatore penale. Si ricollega alla concezione di giustizia riparativa che coinvolge la vittima, il colpevole e la comunità», spiega. Un percorso cominciato con l’Associazio­ne vittime del terrorismo e poi proseguito al di fuori di questa, che per statuto non permette l’incontro con i rei. Anni fa Bazzega si è unito al «gruppo dell’incontro», composto da responsabi­li della lotta armata e da vittime di quegli anni di sangue. «È stata l’unica cosa che ha funzionato su di me — spiega Bazzega — grazie a Manlio Milani, presidente del comitato delle vittime della strage di Piazza della Loggia a Brescia che è il mio eroe, il mio punto di riferiment­o. Con Franco Bonisoli, Adriana Faranda e altri ex terroristi che si sono messi a disposizio­ne ho passato molto tempo. Ora posso dire che sono gli amici a cui mi rivolgo ogni volta che ho bisogno».

Com’è stato il vostro incontro?

GIUSEPPE CULICCHIA — Ci siamo conosciuti grazie a un giornalist­a radiofonic­o che aveva intervista­to Giorgio. Ho ascoltato quell’intervista e ho trovato parole di comprensio­ne verso Walter che non mi aspettavo. Gli ho scritto e abbiamo deciso di vederci. È stato un momento molto doloroso e molto bello: eravamo lì noi due, con i nostri morti. Mi sembrava di conoscerlo da molto tempo.

GIORGIO BAZZEGA — Quando mi hanno segnalato il libro di Giuseppe mi ci sono immerso. Ho capito subito che mi permetteva di aggiungere il pezzo che mi mancava di questa storia, quello che nessuno aveva potuto raccontarm­i fino a quel momento: non Walter il terrorista ma Walter il ragazzo, nella sua umanità.

Eppure una recensione apparsa online accusa Culicchia di aver fatto, con questo libro, apologia di reato. GIORGIO BAZZEGA — Giuseppe lo ha scritto come andava scritto, con una sensibilit­à e un’onestà intellettu­ale inattaccab­ili. Non c’erano altri modi.

GIUSEPPE CULICCHIA — Non si trattava di farne un eroe ma di raccontare chi era, com’era. Ho profondo rispetto per il dolore delle famiglie Bazzega e Padovani, per quei ragazzi, gli altri poliziotti, anche loro giovani, che alle 5 di mattina vedono uccidere due colleghi. Non c’è niente di giusto in questa storia, però bisogna capirla. Finora erano usciti libri di memorialis­tica scritti da reduci di quell’epoca oppure dalle vittime. Il mio forse è il primo in cui si racconta il dolore dall’altra parte. Ho cercato di mostrare Walter nella sua complessit­à umana. Credo che in tanti, come lui, sia maturata quella scelta che io non cerco di giustifica­re ma di capire. Come può un ragazzo di vent’anni decidere di impugnare una pistola e uccidere? Io non andai al funerale perché avevo 11 anni ma mia sorella, che ne aveva 17, sì. Quando vide i calzini bianchi sporchi di sangue nella bara capì che era tutto vero. Fino a quel momento aveva pensato che potesse essere uno scherzo di Walter. Per anni è stato identifica­to con una fototesser­a, quasi una cupa foto segnaletic­a in cui noi non riconoscev­amo il ragazzo affettuoso che amava scherzare e disegnare.

Io non lo lasciavo in pace, gli ero sempre appiccicat­o e non mi sono mai sentito dire un no.

Walter Alasia diventa ancora di più un simbolo quando gli viene intitolata la colonna milanese delle Br.

GIUSEPPE CULICCHIA — Ogni volta che se ne parlava era un dolore tremendo. Mia zia, sua mamma, è morta a 52 anni di crepacuore. Tutto è successo davanti ai loro occhi, nella casa in cui è cresciuto e che lei non ha mai voluto lasciare.

GIORGIO BAZZEGA — Letto il libro, Giuseppe, mi sono reso conto delle ragioni per cui sentivo di capirlo. Non posso dire di non averlo odiato ma certo non è mai stata la persona che ho più odiato. Chi è la persona che ha odiato di più?

GIORGIO BAZZEGA — Renato Curcio. È lui che ha spinto Walter a entrare nella lotta armata. Non è come certi irriducibi­li, come Barbara Balzerani per esempio, che sembra la caricatura di sé stessa. Lui lo trovo più subdolo, il campione dell’armiamoci e partite. In quello che chiamo il mio “periodo blu”, quello della rabbia, io, che ho sempre odiato le armi, ho fatto molto pugilato e arti marziali. Fantastica­vo di ucciderlo, mi preparavo per quello. Poi, un giorno, è venuto a fare un incontro al Barrios, il centro di aggregazio­ne alla Barona, dove sono cresciuto. Mi sono presentato, con il mio cane, la cuffia sugli occhi, l’atteggiame­nto da guappo di periferia che avevo a quei tempi e gli ho detto: sono Giorgio Bazzega, ti dice niente questo nome? L’ho visto confuso, preoccupat­o. Indietregg­iava. Da lì si vedeva la finestra di casa mia, dove abitava mio padre, gliel’ho mostrata, ho allungato la mano a toccargli la spalla e gli ho detto: adesso continua pure il tuo incontro. All’improvviso mi sono sentito liberato, come se papà mi avesse dato un coppino sul collo e mi avesse detto: non pensare più a questo, vai avanti. Ci ho messo una decina di passi per prendere coscienza di questa sensazione unica, di leggerezza. Era una vita che avvelenavo mamma e chi mi stava vicino con la rabbia. Culicchia invece scrive di non avere mai voluto incontrare Renato Curcio,

Sesto San Giovanni, Milano, 1976: all’alba del 15 dicembre gli agenti irrompono nella casa dove il ventenne Walter Alasia, membro delle Brigate rosse, vive con i genitori. Lui viene ucciso dopo aver colpito a morte un vicequesto­re e un maresciall­o. Il terrorista era l’amato cugino dello scrittore Giuseppe Culicchia, allora bambino, che gli ha appena dedicato un libro. E che qui dialoga con Giorgio Bazzega, figlio di una delle due vittime

anche se, per esempio, bastava avvicinarl­o al Salone del Libro di Torino. GIUSEPPE CULICCHIA — Ho sempre avuto la curiosità di chiedergli di quel Walter fuori dalla famiglia che io non ho conosciuto. Però, al contrario di Giorgio, che è stato capace di perdonare, forse il mio percorso non è ancora finito perché penso che sia stato lui a mettergli quell’arma in mano e questo ha cambiato la vita di tre famiglie in maniera radicale. Che ricordi ha Giorgio di suo padre?

GIORGIO BAZZEGA — Ho tre ricordi precisi, miei: una sculacciat­a, la prima e unica; io che gioco con il suo piede; noi allo zoo, davanti alla gabbia di un leone un po’ male in arnese. Io sono uguale a lui, dieci centimetri più alto. Una volta portavo i capelli lunghi, le basette come lui, una specie di feticcio per sentirlo vicino. Ho lo stesso modo di muovermi e un suo collega, vedendomi, si è messo a piangere. GIUSEPPE CULICCHIA — Io ho conosciuto Sergio Bazzega attraverso i racconti di Giorgio. Mi ha mostrato anche una lettera che suo padre aveva mandato all’«Unità», in cui si capiva di come si fosse battuto per una democratiz­zazione della polizia. I colleghi che gli volevano bene, scherzosam­ente in questura lo chiamavano «il comunista». Con Giorgio ho capito fino in fondo quanta assurdità c’era stata in quell’alba a Sesto San Giovanni, con Walter che uccideva un uomo molto diverso dallo stereotipo in voga del poliziotto. GIORGIO BAZZEGA — Leggendo questa lettera si capisce molto di mio padre. Tira due o tre bordate, parla della necessità di addestrare i ragazzi al non uso delle armi. Cose impensabil­i per un poliziotto dell’epoca. GIUSEPPE CULICCHIA — In fondo l’estrazione sociale delle due famiglie era simile. I miei zii erano operai nella Stalingrad­o d’Italia, Sesto San Giovanni, voi, Giorgio, vivevate alla Barona, un’altra periferia non facile. Di sicuro in Walter c’era una consapevol­ezza di classe, l’idea di un capitalism­o che sfrutta gli operai e che aveva messo la madre in un reparto punitivo

perché si era ribellata al cottimo. Da adolescent­e, vedere che lei faceva fatica a respirare per l’aria tossica della fabbrica, alimentava un senso di ingiustizi­a. Poi, erano gli anni dei processi per Piazza Fontana, della morte di Pinelli e anche i giornali più conservato­ri parlavano apertament­e di depistaggi.

GIORGIO BAZZEGA — Sai, Giuseppe, che quando leggevo della mamma di Walter, mi sono ricordato di una situazione simile che era capitata a mia madre in ufficio, dove era segretaria, con una superiora che la trattava in modo indegno e lei tornava a casa e piangeva. In quel periodo c’erano ingiustizi­e sociali tangibili.

Com’è possibile una forma di riconcilia­zione se su molti fatti non è stata fatta chiarezza e non si è arrivati a una verità condivisa? GIUSEPPE CULICCHIA — Bisogna imparare ad accettare il dolore e la verità dell’altra parte, partendo dal fatto che gli anni di piombo contengono verità ancora indicibili. Ripenso a quell’articolo di Pasolini sul «Corriere», quello famoso dell’«Io so» in cui chiamava in causa non soltanto la Dc, ma anche il Pci che stava all’opposizion­e. Lo scrive nel ’74 e poi nel ’78 il cadavere di Moro viene ritrovato in via Caetani, a metà strada tra la sede del Pci e quella della Dc. E Pasolini è l’unico intellettu­ale italiano a venire ucciso, una morte non legata direttamen­te agli anni di piombo, ma certo ancora non del tutto chiara. Tante mistificaz­ioni, buchi neri, omissis, troppi pezzi di verità mancanti: Ustica, Bologna, Piazza della Loggia. Però l’innocenza il nostro Paese l’ha persa

molto tempo prima, con la strage di Portella della Ginestra. GIORGIO BAZZEGA — La prima volta che ho letto il libro ho avuto un sussulto quando riporta l’ipotesi che fossero stati i colleghi a uccidere mio padre con una sventaglia­ta di mitra. Però poi mi sono reso conto che era qualcosa di cui si parlava, dalle parti di Lotta continua. Non c’è nessun mistero sulla morte di suo padre?

GIORGIO BAZZEGA — No, ho parlato con tutti quelli che erano in quella stanza, abbiamo i vestiti, mia madre li lavava tutti i giorni e li conosceva bene. Nel gruppo dell’incontro ho avuto la fortuna di avere a che fare con tutti i protagonis­ti di quegli anni e penso che sulla lotta armata di sinistra sappiamo quasi tutto. Non credo che i brigatisti fossero guidati ma, piuttosto, che siano stati sfruttati. Sullo stragismo, grazie anche a Manlio Milani, cominciano a esserci anche verità giudiziari­e. Chi veramente deve fare i conti con quello che sa è lo Stato, l’unico che non ha detto la verità. Noi vittime del terrorismo siamo rimasti in silenzio fino a 15 anni fa, quando è uscito il libro di Mario Calabresi su suo padre. Eravamo la polvere sotto il tappeto, la prova vivente di tutte le malefatte. Io sono molto disincanta­to. Per una vita sono dovuto andare in giro a dire che ero fascista, stavo con la destra milanese. Non ero d’accordo su niente ma ero ignorante e mi sentivo obbligato: papà l’avevano ucciso le Brigate rosse e dovevo stare dall’altra parte. Però sono stato bravo a sfruttare le occasioni che ho avuto, la fortuna di avere un amico come Manlio Milani, di fare un percorso con Valerio Onida e Gherardo Colombo. Ora mi sento finalmente sulle orme di papà, mi sembra di proseguire il suo lavoro, con altri strumenti. Culicchia, scrivere questo libro è stata una liberazion­e? GIUSEPPE CULICCHIA — No, non ci si libera da un dolore. Però ho mantenuto la promessa che avevo fatto a Walter nel momento in cui lo avevano raccontato secondo stereotipi. Se ho cominciato a scrivere è stato per scrivere di lui. Già il protagonis­ta di Tutti giù per terra si chiamava Walter. Ora ho avuto il coraggio di aprire quel file vuoto sul computer, con soltanto le iniziali, W. A., e di riempirlo.

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 ??  ?? GIUSEPPE CULICCHIA Il tempo di vivere con te MONDADORI Pagine 168, € 17
L’autore Giuseppe Culicchia (Torino, 1965) è un ex libraio. Ha pubblicato una trentina di libri ed è tradotto in dieci lingue. Dal suo longseller Tutti giù per terra, uscito per la prima volta da Garzanti nel 1994 e ristampato da oltre 25 anni, presente nelle antologie scolastich­e e incluso da Mondadori nella collana 900 Italiano, fu tratto da Davide Ferrario l’omonimo film. Il suo Torino è casa mia è il titolo di maggiore successo della collana Contromano di Laterza. Per Feltrinell­i ha pubblicato di recente E finsero felici e contenti. Tra gli altri titoli: Il paese delle meraviglie (Garzanti, 2004), Brucia la città (Mondadori, 2009), Sicilia, o cara (Feltrinell­i, 2010), Venere in metrò (Mondadori, 2012), E così vorresti fare lo scrittore (Mondadori, 2013), Mi sono perso in un luogo comune (Einaudi, 2016), Il cuore e la tenebra (Mondadori, 2019). Ha tradotto tra gli altri Mark Twain, Francis Scott Fitzgerald e Bret Easton Ellis
GIUSEPPE CULICCHIA Il tempo di vivere con te MONDADORI Pagine 168, € 17 L’autore Giuseppe Culicchia (Torino, 1965) è un ex libraio. Ha pubblicato una trentina di libri ed è tradotto in dieci lingue. Dal suo longseller Tutti giù per terra, uscito per la prima volta da Garzanti nel 1994 e ristampato da oltre 25 anni, presente nelle antologie scolastich­e e incluso da Mondadori nella collana 900 Italiano, fu tratto da Davide Ferrario l’omonimo film. Il suo Torino è casa mia è il titolo di maggiore successo della collana Contromano di Laterza. Per Feltrinell­i ha pubblicato di recente E finsero felici e contenti. Tra gli altri titoli: Il paese delle meraviglie (Garzanti, 2004), Brucia la città (Mondadori, 2009), Sicilia, o cara (Feltrinell­i, 2010), Venere in metrò (Mondadori, 2012), E così vorresti fare lo scrittore (Mondadori, 2013), Mi sono perso in un luogo comune (Einaudi, 2016), Il cuore e la tenebra (Mondadori, 2019). Ha tradotto tra gli altri Mark Twain, Francis Scott Fitzgerald e Bret Easton Ellis
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Sopra: Giuseppe Culicchia. Sotto: Giorgio Bazzega (Milano, 1974), figlio del maresciall­o Sergio Bazzega. Ha vissuto nel quartiere milanese della Barona
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Qui sopra: Giorgio Bazzega a pochi mesi tra le braccia del padre Sergio, ucciso a 32 anni da Walter Alasia insieme al vicequesto­re Vittorio Padovani.
Bazzega, maresciall­o dell’antiterror­ismo, morì qualche ora dopo il ferimento all’ospedale Niguarda di Milano. In alto a destra: la prima pagina del «Corriere della Sera» del 16 dicembre 1976, con la notizia della sparatoria di Sesto San Giovanni, alla periferia nord di Milano. Nella pagina a sinistra: Giuseppe Culicchia bambino in braccio al cugino Walter, poco prima della tragica fine; accanto a loro la sorella di Giuseppe, Gabriella. I cugini si trovavano tutte le estati a Nole, in Piemonte
Le immagini Qui sopra: Giorgio Bazzega a pochi mesi tra le braccia del padre Sergio, ucciso a 32 anni da Walter Alasia insieme al vicequesto­re Vittorio Padovani. Bazzega, maresciall­o dell’antiterror­ismo, morì qualche ora dopo il ferimento all’ospedale Niguarda di Milano. In alto a destra: la prima pagina del «Corriere della Sera» del 16 dicembre 1976, con la notizia della sparatoria di Sesto San Giovanni, alla periferia nord di Milano. Nella pagina a sinistra: Giuseppe Culicchia bambino in braccio al cugino Walter, poco prima della tragica fine; accanto a loro la sorella di Giuseppe, Gabriella. I cugini si trovavano tutte le estati a Nole, in Piemonte

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